Post-esotismo e traduzione militante. Il caso di Les aigles puent di Lutz Bassmann

Questo articolo propone un’analisi dell’universo letterario noto come post-esotismo, frutto dell’inventiva dello scrittore francese Antoine Volodine, e si pone l’obiettivo di approfondirne le specifiche e le potenzialità in ambito traduttivo.

Nella prima parte, l’articolo offre una panoramica delle forme e dei contenuti di questa struttura letteraria così complessa, restringendo poi il campo a uno solo degli eteronimi di Volodine, Lutz Bassmann, che con la pubblicazione presso le Éditions Verdier di Haïkus de prison e Avec les moines-soldats nel 2008 ha sfondato la barriera della diegesi passando dallo status di personaggio a quello di autore vero e proprio. Il focus si sposta in seguito sul libro Les aigles puent e sulla traduzione dell’opera, un processo durante cui è stato fondamentale tenere conto dell’incredibile numero di contraintes o “vincoli discreti” nascosti tra le pagine, oltre che della millimetrica precisione linguistica che caratterizza i testi post-esotici. L’onere del traduttore in questo caso non risiede tanto nella ricerca di equivalenti soddisfacenti quanto nel reperire il maggior numero possibile di riferimenti insiti nei testi, i vincoli più o meno discreti, preservandoli correttamente senza cancellarli né evidenziarli.

Per non discostarsi troppo dal cuore pulsante di questa letteratura, naturalmente refrattaria a ogni tipo di inquadramento scientifico-letterario, è stato necessario un continuo dialogo tra testi critici, interviste e opere post-esotiche vere e proprie. Dall’analisi di questi aspetti è scaturita una serie di riflessioni sulle implicazioni socio-politiche della letteratura e, soprattutto, della traduzione.

Antoine Volodine e l’edificio post-esotico

La carriera di scrittore di Antoine Volodine prende il via nel 1985, con la pubblicazione presso le edizioni Denoël di Biographie comparée de Jorian Murgrave,  in una collana di opere di fantascienza. Il passaggio alle Éditions de Minuit nel 1990 segna il debutto nella letteratura generale, ma il termine ufficiale di post-exotisme anarcho-fantastique, inizialmente ironico, sarà coniato solo in seguito.

In tanti, soprattutto nelle prime fasi, hanno provato a stabilire rapporti tra la vita privata di Volodine e il post-esotismo, cercando ogni volta di smascherare, all’interno dei testi, presunti richiami alla letteratura tradizionale. Dalla fantascienza al nouveau roman, dal post-modernismo alle avanguardie, per anni si è cercato di assimilare la sua opera a quella degli autori più disparati, come se l’unico modo di giustificarne l’esistenza fosse ricondurla al canone letterario occidentale. A chi cerca di classificarlo, Volodine non dà soddisfazioni: porsi in continuità con qualsiasi tipo di tradizione non gli interessa, quella che propone è una letteratura dell’altrove, del parallelo e del possibile.

Filiazioni e genealogie a parte, è evidente la grande indipendenza dal canone di cui gode il post-esotismo, letteratura sfaccettata e composita, formata da più livelli interpretativi che funzionano solo all’unisono ma pur sembrando impossibili da afferrare contemporaneamente. In dialogo diretto con l’inconscio del lettore, il post-esotismo ha la prima e principale caratteristica di non essere descrivibile attraverso le categorie letterarie tradizionali. Come ogni autore – Volodine e Bassmann, ma anche Elli Kronauer e Manuela Draeger – ogni testo gode di un certo livello di individualità che ne permette l’esistenza in quanto singola unità, ma è solo in un’ottica corale che se ne realizzano a pieno le potenzialità. Il post-esotismo è un cantiere aperto, un edificio in costruzione che sarà completo solo quando l’ultima pietra, quella della quarantanovesima opera, sarà stata posata.

Oltre alle opere pubblicate con le diverse case editrici (all’attivo abbiamo Denoël, Minuit, Gallimard, Seuil, École des Loisirs, Verdier, L’Olivier) secondo uno schema non casuale che garantisce a ogni eteronimo un margine di risonanza individuale da mettere poi al servizio del collettivo post-esotico, esiste un numero incalcolabile di interventi, articoli, racconti, testi teatrali, adattamenti radiofonici, ecc. L’ampiezza di portata del post-esotismo lo rende mutevole, puntiforme, difficilmente rappresentabile nella sua totalità: non si può sperare di coglierne l’essenza se non si è disposti a considerarlo al tempo stesso come un unicum indivisibile e un mosaico che riunisce al suo interno gli elementi più disparati.

Nel corso degli anni, interrogato da critici e giornalisti desiderosi di capire dove collocare il post-esotismo, Antoine Volodine ha elaborato una serie di risposte brevi e concise, variabili ma sempre mirate a ribadirne l’alterità rispetto alla tradizione:

Qu’est-ce donc que le post-exotisme ?

 

Une littérature de l’ailleurs, venue de l’ailleurs, allant vers l’ailleurs.

Une littérature internationaliste, cosmopolite, dont la mémoire plonge ses racines dans les tragédies du XXe siècle, les guerres, les révolutions, les génocides et les défaites du XXe siècle.

Une littérature étrangère écrite en français.

Une littérature qui lie indissolublement l’onirique et le politique.

Une littérature des poubelles, en rupture avec la littérature officielle.

Une littérature carcérale de la rumination, de la déviance mentale et de l’échec.

Un édifice romanesque qui a surtout à voir avec le chamanisme, avec une variante bolchevique du chamanisme (Volodine 2006).

Ecco quindi che il post-esotismo diventa una letteratura straniera, nazionalmente indeterminata e geograficamente indistinta, che ambisce a liberarsi dai tratti culturali insiti in ogni lingua. Il francese post-esotico è quindi una lingua «straniera per natura» (Volodine 2001), svuotata da ogni elemento culturalmente caratterizzante e poi di nuovo riempita di riferimenti indecifrabili e sonorità aliene. Per riuscire a trasportare il lettore in questa dimensione apolide, i post-esotici si servono di una serie di espedienti che provocano nel lettore l’insorgere di una sensazione di inquietudine e straniamento. L’onomastica è l’esempio più evidente di questa strategia: gli antroponimi sono tutti rigorosamente ibridi e mirano a confondere il lettore, rendendo impossibile risalire a origini definite. A parte alcune rare eccezioni, anche le coordinate spaziotemporali sono oscure e inintelligibili, quando non deliberatamente contraddittorie. L’unica condizione posta al lettore è la sospensione dell’incredulità; una volta accettato il vincolo che impone di non cercare di ricondurre il post-esotismo alla realtà, i meccanismi difensivi insiti in esso saltano uno dopo l’altro, e lo straniamento cede il passo a una nuova complicità tra scrittori, personaggi e lettori, che potranno allora scorgere nella penombra sagome dai contorni vagamente familiari. È proprio in questo che risiede una delle più spettacolari abilità post-esotiche: i narratori ricreano un ambiente noto ma estraneo al tempo stesso, la cui comprensione è affidata a una sorta di memoria arcaica e collettiva, che funziona per immagini e archetipi e fa leva sui sensi più inconsci e primitivi.

L’onirismo e lo sciamanismo, influenze molto importanti a livello stilistico e contenutistico, aprono le porte al fantastico e permettono di spostarsi e viaggiare tra mondi paralleli: questo è ciò che distingue il post-esotismo dal resto della letteratura ufficiale, troppo spesso incagliata nella sua stessa univocità. Così, l’impasto romanzesco che lo alimenta trova sempre il modo di rinnovarsi, continuando a nutrire gli ideali di collettività, fratellanza e comunione su cui si basa la militanza politica post-esotica. Queste scrittrici e questi scrittori sono idealisti disillusi, combattenti sconfitti, profeti della rivoluzione mondiale ormai sfiniti, capaci solo di aspettare il sopraggiungere della fine. Il contatto con la realtà è sempre più intermittente, ma non rinunciano agli ideali rivoluzionari che da sempre guidano la loro lotta alla cultura dominante. L’ormai irreversibile vittoria del capitalismo li ha privati del futuro e costretti a un presente di reclusione, e non resta loro altra scelta che rivangare il passato in maniera ossessiva, rivivendo in loop i momenti più tragici. A differenza del nemico, terribile entità senza volto, non temono il fallimento e non esitano a dichiararsi sconfitti. Si schierano dalla parte delle vittime, degli umiliati, delle moltitudini di fantasmi e mendicanti che lottano per sopravvivere nelle zone più periferiche e inospitali del mondo, con l’ostinata irriducibilità di chi non ha più niente da perdere.

Il ricorso agli eteronimi, meccanismo di difesa fondamentale per preservare la clandestinità dei membri del gruppo, comporta il necessario rifiuto della paternità dell’opera e della conseguente notorietà tanto bramata dagli scrittori ufficiali. Al contrario, nella più totale rinuncia di sé, gli autori post-esotici scelgono di dissimulare la propria voce, unendola a quella dei compagni e delle compagne, usando le proprie opere per ricordare chi non c’è più, scambiando personalità e mescolando firme, finendo per spaccare la narrazione su molteplici livelli, in un gioco di specchi già di per sé sufficiente a minare le certezze più basilari della letteratura tradizionale. L’attivismo politico non è un semplice substrato del post-esotismo ma una vera e propria matrice che contribuisce al fine ultimo: il rifiuto di una società imperialista e di consumo, fondata su valori disumanizzanti e quindi inaccettabili.

Voci all’interno del coro: Lutz Bassmann e Les aigles puent

Ultimo evaso dal carcere diegetico del post-esotismo, Lutz Bassmann è uno degli esponenti più eloquenti di questa corrente. Lo incontriamo in Le post-exotisme en dix leçons, leçon onze (1998, Éditions de Minuit) dove viene presentato come l’ultimo combattente post-esotico rimasto, ormai prossimo a spegnersi insieme all’ultimo barlume di resistenza. A lui si deve il meticoloso lavoro terminologico pensato per sopperire alle mancanze della critica tradizionale e permettere ai prigionieri e alle prigioniere di emanciparsi definitivamente dalla letteratura ufficiale. Una volta raggiunta questa indipendenza, per il post-esotismo si apre una seconda stagione in cui Bassmann (evaso o redivivo?) vede aumentare il proprio spessore fino a varcare la soglia della dimensione diegetica, arrivando a noi come uno scrittore se non proprio in carne e ossa di certo tangibile e indipendente.

I primi tratti distintivi della poetica bassmanniana sono la durezza della voce e la crudezza dei contenuti. Non a caso, è possibile riscontrare un uso particolarmente marcato di ciò che Volodine definisce humour du désastre, un effetto di distacco paradossale, grottesco e semicomico che si basa sulla normalizzazione di eventi tragici e sul contrasto tra gli orrori narrati e il modo in cui questi vengono presentati. Facendo ricorso a forme narrative brevi, Bassmann ritrae una collettività di individui composta per la maggior parte da Untermenschen, superstiti subumani alle prese con un mondo ormai invivibile in cui ognuno è diventato la priorità di sé stesso, persone che vivono separate le une dalle altre, proprio perché ormai schiacciate dalle urgenze della mera sopravvivenza. Tra i superstiti si trovano anche gli emissari di una fantomatica Organizzazione che non risponde più a nessun ideale e che incarna una delle più importanti tematiche post-esotiche: il fallimento di ogni ideale e della rivoluzione stessa, resa impossibile dalle divisioni interne ai movimenti.

Dal punto di vista della forma, nella poetica di Bassmann si possono individuare alcuni meccanismi che mirano a immergere i lettori in una sorta di realtà aumentata. Tra questi c’è il principio che regola il funzionamento delle cosiddette entrevoûtes, sottogenere post-esotico che consiste nel riproporre lo stesso racconto in due versioni, uguali tra loro non per parola ma avvenimento per avvenimento, secondo lo stile più tipico di Bassmann, che fa della ripetizione un vero e proprio espediente narrativo pensato per far emergere nel lettore un profondo senso di déjà-vu. Un’altra invenzione attribuibile a questo eteronimo consiste nel partire da una frase-costola molto breve, a cui si aggiungono via via sempre nuovi elementi fino ad ottenere un testo breve ma completo. In una certa misura, questo espediente richiama il processo creativo post-esotico tout court: si parte da un’immagine cardine intorno a cui si sviluppa tutta la narrazione, fino al compimento dell’opera. Le immagini sono centrali nel post-esotismo, un vero e proprio motore che spinge gli scrittori e le scrittrici a crearne sempre di nuove, siano esse evocate tramite la scrittura o ispirate da pittura, cinema e teatro. La risposta post-esotica al bisogno di trovare uno strumento comunicativo espressivo e capace di trasmettere immagini eloquenti è il narrat, un altro sottogenere di cui tutti i post-esotici si servono ampiamente:

Les narrats, on le sait, peuvent être définis comme des instantanées de prose. Ils fixent sur le papier quelques éléments d’une situation ou d’une parole, ils impressionnent le papier avec une ou deux images fortes, ils immobilisent un geste et, à partir de cela, le lecteur peut développer sa rêverie, exactement comme il le ferait en face d’une photographie traitant un sujet insituable ou bizarre (Volodine 1999-2000: 142).

L’importanza delle immagini spiega la frequenza e la forza delle descrizioni nei testi post-esotici, curate nel minimo dettaglio, onnipresenti e pervasive. Nessuna parola è lasciata al caso e la ripetizione di aggettivi e frasi intere contribuisce a creare un sottofondo ritmato che accompagna la lettura del narrat dall’inizio alla fine. Attirare lettori e lettrici dentro alle immagini è la vera magia sciamanica messa in atto dai post-esotici.

Les aigles puent è il terzo libro di Bassmann, uscito nel 2010 presso le Éditions Verdier in occasione di una triplice pubblicazione che ha tutto l’aspetto di un’azione di guerriglia letteraria (in parallelo anche Écrivains di Volodine, con Seuil, e Herbes et Golems di Manuela Draeger, con L’Olivier). Classificato nel frontespizio come roman, questo libro è in realtà una raccolta di narrat chiusi in una cornice narrativa che fa da sfondo e garantisce la coesione. Un narratore onnisciente ma in qualche modo implicato nelle vicende racconta la storia di un personaggio in punto di morte, Gordon Koum, che si trova a sua volta a raccontare le storie dei compagni e delle compagne di lotta. Strutturalmente ibrido, questo libro riunisce al suo interno diversi sottogeneri tipicamente post-esotici, un’entrevoûte e numerosi narrat, a cui si aggiungono capitoli di inedita fattura. Uno sguardo all’indice è sufficiente a inquadrare le diverse tipologie di capitolo:

Cendres (1)

Cendres (2)

À la mémoire de Benny Magadane

À la mémoire d’Antar Gudarbak

Cendres (3)

Ici a brûlé Maryama Koum

À la mémoire de Golkar Omonenko

Pour faire rire Ayïsch Omonenko

Pour faire rire encore Ayïsch Omonenko

À la mémoire de Bahamdji Bariozine

Cendres (4)

Pour faire rire Sariyia Koum

À la mémoire de Mario Gregorian

À la mémoire du groupe Avenir Radieux

Pour faire rire Maryama Koum

Cendres (5)

Cendres (6)

À la mémoire de Leonal Baltimore

Cendres (7)

Pour faire rire Ivo Koum

Pour faire rire Gurbal Koum

Pour faire rire Maroussia Vassiliani

Ici a brûlé Rita Yongfellow

À la mémoire de Gordon Koum

Pour faire rire tout le monde (Bassmann 2010: 153)

I capitoli intitolati Cendres seguono le vicende di Gordon Koum che torna da una missione per conto del Partito. Sulla strada di casa ha un brutto presentimento e in effetti al suo arrivo scopre che nella notte sono state sganciate bombe di nuova generazione che hanno distrutto tutto. La città non esiste più, al suo posto c’è una distesa di catrame nero e bitorzoluto, sotto cui si trovano sua moglie, i suoi tre figli e tutte le persone che ha conosciuto e amato. Ignorando gli avvertimenti sulla tossicità delle rovine, Koum si addentra tra le macerie, illudendosi di poter fare ancora qualcosa. Quando le radiazioni iniziano a fare effetto, Gordon Koum sfrutta le sue doti da ventriloquo e le ultime energie che gli restano per dare voce a un pettirosso e a un pupazzo golliwog misteriosamente scampati alla distruzione. Insieme a loro, Gordon Koum racconta le storie dei compagni uccisi, disgregati e trasformati nell’orrendo catrame che ricopre  quella che un tempo era la città. Proprio a queste storie sono dedicati i capitoli À la mémoire de e Pour faire rire, pensati per ricordare i morti e distrarli, intrattenendoli sul cammino verso la rinascita. I due capitoli Ici a brûlé – ma anche Cendres (7) – hanno una funzione memoriale e sono costruiti a partire dall’espediente della frase-costola. Un’altra particolarità da segnalare è la corrispondenza di contenuti tra il primo e il penultimo capitolo. Entrambi narrano il ritorno di Gordon Koum e la scoperta della città disintegrata, la sua disperazione e gli ultimi istanti di vita, in pieno accordo con la strategia della ripetizione di Bassmann. I due capitoli si richiamano e si completano l’un l’altro, riprendendo i medesimi contenuti e conferendo al romanzo la struttura circolare tipica delle entrevoûtes. L’ultimo capitolo, Pour faire rire tout le monde, esula da questa circolarità e appare come un epilogo, un’aggiunta a una storia già completa e soprattutto un elogio all’humor del disastro: non importa quanto la situazione possa essere tragica, gli Untermenschen vivranno la propria drammatica quotidianità fino alla fine, a testa alta e con orgoglio, rivendicando sempre con fierezza la non-appartenenza alla specie umana dominante.

La traduzione

Le istanze sovranazionali di cui questa letteratura si fa portavoce fanno sì che la classica distinzione tra approcci traduttivi stranianti e adattanti appaia superflua. In questo caso la cultura di partenza è un prodotto letterario, quindi lo straniamento sarà presente in modo molto più ampio e pervasivo: si parte dallo straniero, dall’estraneo e dall’altro per fare ritorno, seguendo il percorso circolare che ormai conosciamo, allo straniero, all’estraneo, all’altro. Ecco allora emergere la necessità di adottare un approccio traduttivo fluido, che permetta di produrre un testo di arrivo efficace e fruibile ma anche capace di accogliere e integrare gli elementi che esulano dalle categorie classiche della letteratura. In linea generale, si è scelto un approccio adattante per quanto riguarda gli effetti destinati a sorprendere il pubblico francofono, per preservarne le particolarità soprattutto nei passaggi in cui forma e contenuto si fondono. Al tempo stesso si è accordata grande attenzione alla conservazione degli elementi stranianti rispetto alla cultura francese – parole straniere, culturemi e riferimenti insoliti – che sono stati mantenuti tali e quali, salvo piccoli accorgimenti mirati a non compromettere la leggibilità del testo.

Bassmann soppesa con grande attenzione gli elementi marcati da inserire in una prosa sobria ma pur sempre molto ricercata. La trasmissione di immagini resta un obiettivo primario, motivo per cui ogni elemento occupa una posizione predefinita all’interno di un disegno più ampio. Facendo caso alle scelte lessicali operate nella descrizione dei vari scenari, si notano diversi cambiamenti di atmosfera; le ambientazioni dei narrat raccontati da Koum, dal golliwog e dal pettirosso mutano continuamente, e per quanto le situazioni descritte possano essere problematiche, è quasi sempre possibile astrarsi dalla drammaticità del momento grazie all’humor del disastro. Lo scenario in cui si muove Gordon Koum, invece, è avvolto da una pesante cappa di oscurità che rende vana ogni speranza. Gli aggettivi più ricorrenti descrivono un paesaggio nero, buio, tenebroso, in cui ogni cosa è carbonizzata e sepolta sotto strati di catrame e bitume, ridotta ad ammassi di macerie, rovine, rottami. Tutt’intorno regnano il silenzio, il vuoto, la disperazione, l’orrore. Se altrove ancora persiste una qualche forma di resilienza, per Gordon Koum non c’è più via d’uscita.

Dopo l’immagine, nel processo creativo post-esotico subentra la voce. I personaggi borbottano, sospirano, singhiozzano, urlano, berciano, sbraitano e rantolano, ma data la loro non-umanità fanno propri anche diversi atteggiamenti animaleschi, aggiungendo ruggiti, muggiti e ruminazioni alla gamma già vasta delle loro modalità espressive. In tutti questi casi, si è cercato di preservare e riprodurre la grande varietà lessicale attraverso una scelta di equivalenti altrettanto variabile, in accordo con le immagini veicolate dal testo. Chiaramente, l’uso che Bassmann fa del lessico non si limita alle sfumature sensoriali; la variazione linguistica viene sfruttata in tutti i suoi livelli, passando dai tecnicismi ai riferimenti al francese medievale, fino a espressioni basse e colloquiali. L’effetto che ne deriva è sempre sorprendente, di grande contrasto e costantemente marcato dalla volontà di rifiutare e sovvertire la neutralità. Anche in questi casi, si è cercato di salvaguardare le particolarità, mantenendo il più possibile invariate le accezioni, le connotazioni e l’effetto di estraneità rispetto al cotesto.

Le stesse priorità hanno dettato l’approccio alla traduzione dei neologismi (di cui Bassmann fa un uso più discreto rispetto a Draeger e Volodine) e del lessico tecnico e settoriale, che attinge ai campi più disparati e si pone in ulteriore contrasto con l’ambiente devastato e gli straccioni che lo abitano. Un tipo di terminologia a cui si è prestata particolare attenzione in fase di analisi traduttologica è quella strettamente post-esotica, che andrebbe trattata tenendo sempre in considerazione l’importanza della componente intertestuale. Se in francese, per ovvie ragioni, i termini che descrivono le strutture interne e i concetti fondamentali del post-esotismo ricorrono sempre uguali, l’inevitabile ma sostanziale eterogeneità che caratterizza le traduzioni italiane rappresenta una grossa perdita in termini di coesione interna dell’edificio.

Traduttori, gli ultimi post-esotici?

Come la buona letteratura, anche le buone pratiche traduttive hanno una funzione comunitaria, dove per buono si intende attivo e attento alle istanze sociali. Parlando della teoria dei polisistemi e in particolare del ruolo della traduzione nel polisistema letterario, Itamar Even-Zohar (1990) sottolinea che un sistema può aver bisogno di ricorrere alla traduzione quando si trova a un punto di svolta, spesso generato dalla crisi dei modelli preesistenti. La traduzione gioca un ruolo attivo nelle forze innovative che influiscono sui mutamenti socio-culturali in corso e dimostra come le interferenze tra sistemi siano una condizione necessaria del processo. In genere, i testi da inserire nel sistema sono scelti in base alla compatibilità con i modelli attivi in quel momento, ma un intervento che miri a indirizzare la tendenza verso obiettivi specifici è senza dubbio possibile. Tra le figure capaci di influenzare i sistemi troviamo i traduttori, il cui ruolo non dovrebbe limitarsi alla ricerca dei modelli più adatti a riprodurre strutture estranee, ma provocare una rottura rispetto a quegli stessi modelli. Anche Lawrence Venuti (1999: 201) sostiene una posizione simile quando scrive che un traduttore può optare per un approccio straniante «anche scegliendo di tradurre un testo che rappresenti una sfida per il canone contemporaneo della letteratura straniera nella lingua d’arrivo».

Analizzando l’uso mirato e strumentale che Volodine e i post-esotici fanno del francese, è impossibile non prenderne in considerazione le implicazioni politiche. La lingua è oggetto e veicolo di dinamiche di potere, come dimostrato storicamente dalle innumerevoli occasioni in cui una lingua dominante è stata imposta a scapito delle minoranze – e con essa un pensiero, delle istituzioni. Gli esempi non mancano anche a livello intralinguistico, se si pensa alle modalità espressive tipiche dei sistemi totalitari, riprese e scimmiottate dagli autori post-esotici: attraverso l’uso di slogan statici, svuotati e basati su stereotipi, gli estremismi limitano la circolazione delle idee e la capacità di comprendere concetti estranei, riducendo il mondo a un insieme di categorie monolitiche. Riappropriarsi di tutti i registri possibili, inclusi quelli del nemico, e proporre visioni fantastiche e spudoratamente surreali è l’ultima arma che questi scrittori-guerrieri hanno a disposizione per forzare i modelli troppo stretti che li imprigionano. Per portare avanti la lotta è fondamentale l’intervento del lettore, chiamato a prendere posizione ed esortato a riempire con la memoria e l’esperienza personale gli spazi lasciati vuoti e volutamente nebulosi da autori e autrici, consentendo alle narrazioni post-esotiche di espandersi su livelli esperienziali potenzialmente infiniti.

Se la partecipazione del lettore è necessaria al post-esotismo (e alla letteratura tutta), è lecito pensare che la complicità tra gli autori e chi ne traduce i testi sia ancora maggiore. Per natura, il traduttore è chiamato a mettere la propria voce al servizio di quella altrui, a eclissarsi per lasciare che sia il testo a parlare, rinunciando a priori alla paternità dell’opera. Quando anche la voce dell’ultimo post-esotico si sarà spenta, i traduttori e le traduttrici rimarranno gli unici a poter riprendere in mano i testi, riconoscere le singole voci e rendere giustizia a ognuna. Volenti o nolenti, i traduttori post-esotici diventano parte di una grande polifonia e partecipano alla creazione di una rete letteraria sovranazionale, rendendo possibile la trasmissione e la rielaborazione dei testi al di là della lingua francese, che ricordiamo non essere altro che la lingua zero di traduzione, affrancandosi così dalla lingua dei padroni e diffondendo l’idea che smettere di parlare di diversità e iniziare a ragionare in termini di alterità, quindi di reciprocità e uguaglianza nella differenza, sia possibile.

Bibliografia primaria

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— (2016), Nuit noire, « La Femelle du Requin », 46, p. 62-65.

— (2010), Les aigles puent, Lagrasse, Éditions Verdier.

— (2008a), Avec les moines-soldats, Lagrasse, Éditions Verdier.

— (2008b), Haïkus de prison, Lagrasse, Éditions Verdier.

— (2008c), Mil neuf cent soixante-dix-sept années après la révolution mondiale, « Revue Tina. Littératures », 1, p. 12-17.

Volodine Antoine (2017), Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima, Roma, 66thand2nd.

—  (2013), Scrittori, Firenze, Edizioni Clichy.

— (2007), Un souvenir d’usine de Battal Obieglu, « Contre-jour. Cahiers littéraires », 13, p. 193-201.

— (1999-2000), Un étrange soupir de John Untermensch, « Formules. Revue littéraire à contraintes », 3, p. 141-148.

Bibliografia secondaria

Astruc Rémi (2016), « Poésie de Lutz Bassmann », In : Soulès D., Traisnel F. (dir.), Antoine Volodine et la constellation «  post-exotique », Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, p. 157-166.

Casanova Pascal (2003), A fragmentary history of trashcan literature, «SubStance», 2, 32, p. 44-51.

Even-Zohar Itamar (1990), The position of translated Literature Within the Literary Polysystem, «Poetics Today», 1, 11, p. 45-51.

Huglo Marie-Pascale (2003), The Post-Exotic Connection: Passage to Utopia, «SubStance», 2, 32, p. 95-108.

Soulès Dominique (2017), Antoine Volodine, l’affolement des langues, Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion.

Venuti Lawrence (1999), L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione, Roma, Armando Editore.

Sitografia

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Volodine Antoine (2019), Festival ChiassoLetteraria 2019, Zaccari A., Astrologo M. (dir.), consultato il 19/03/2020, url: <https://www.youtube.com/watch?v=EGVlaFRlJUY>.

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— (2001), « Écrire en français une littérature étrangère », consultato il 31/03/2020, url: <https://editions-verdier.fr/2014/06/04/revue-chaoid-n-6-automne-hiver-2002-par-antoine-volodine/>.

Volodine Antoine, Leménager Grégoire (2010), « Je ne suis pas un cas psychiatrique ! », BibliObs, consultato il 04/05/2020, url: <https://bibliobs.nouvelobs.com/romans/20100824.BIB5527/antoine-volodine-je-ne-suis-pas-un-cas-psychiatrique.html>.

Volodine Antoine, Wagneur Jean-Didier (1998), « Volodine le post-exotique », Libération, consultato il 29/03/2020, url: <https://next.liberation.fr/livres/1998/03/12/volodine-le-post-exotique_232924>.

Interviste

Volodine Antoine, Armel Aliette (2010), Transformer le monde par un peu de murmure, « Le Nouveau Magazine Littéraire », 500, p. 98.

Volodine Antoine, Arthuys Joachim, Bertini Jean-Luc, Casaubon Christian, Courtal Fabien, Roux Laurent (2016), Héros de l’écrabouillement, « La Femelle du Requin », 46, p. 18-42.

Volodine Antoine, Nicolino Sylvain, Omont Sébastien, Roux Laurent (2002), L’humour du désastre, « La Femelle du Requin », 19, p. 38-49.

Volodine Antoine, Wagneur Jean-Didier (2003), Let’s take that from the beginning again…, «SubStance», 2, 32, p. 12-43.

Note

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