Tradurre la circolarità: la ripetizione come strumento didattico-analitico in Radiografía de la pampa di Ezequiel Martínez Estrada

Devo parlarti e mi devi ascoltare

«Tengo que hablarte y me tienes que escuchar», scriveva ormai sessantacinque anni fa Ezequiel Martínez Estrada (1956: 136), in un suo ennesimo appello alla coscienza del popolo argentino. Per lungo tempo gli argentini avevano ignorato i suoi proclami, crogiolandosi nell’illusione di una ricchezza in prestito, ma era ormai giunto il momento di svegliarsi da un sogno che durava da oltre quattro secoli e di aprire gli occhi alla realtà; una realtà barbara, dominata da una natura matrigna, contro cui gli sforzi civilizzatori del XIX secolo non avevano potuto nulla.

Ezequiel Martínez Estrada nacque nel 1895 in un piccolo paesino della provincia di Santa Fe, da genitori emigrati spagnoli. All’età di cinque anni, si trasferì poi a Goyena, dove trascorse un’infanzia mutilata della spensieratezza che normalmente la contraddistingue, a causa di ciò che egli stesso definì un “triste privilegio”, ovvero la capacità di vedere oltre e di comprendere significati e realtà inaccessibili al resto della popolazione. Un’abilità prematura, che per certi versi costituiva una vera e propria condanna, ma che gli sarebbe tornata utile più avanti nel tempo. Infatti, a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, dopo una prima fase poetica decennale, Ezequiel Martínez Estrada decise di abbandonare il cammino sicuro del verso, valsogli numerosi premi e riconoscimenti, per intraprendere un nuovo percorso, più adatto ai suoi rinnovati obiettivi di profeta. A partire da questo momento, spinto da un forte sentimento di apprensione nei confronti del passato, presente e futuro della nazione argentina, lo scrittore santafesino si dedicò esclusivamente alla produzione di una prosa impegnata, che potesse guidare il lettore verso l’accettazione di una scomoda verità.

Per capire le ragioni di questo cambio di rotta – brusco secondo alcuni; graduale e prevedibile secondo altri – è fondamentale analizzare, prima di tutto, il contesto socio-politico-economico dell’Argentina di quegli anni. La crisi economica che colpì il paese in seguito al crollo di Wall Street e il colpo di stato che mise fine al governo radicale di Yrigoyen e attribuì pieni poteri al generale Uriburu, entrambi risalenti al 1930, spinsero Ezequiel Martínez Estrada a rivalutare il proprio compito di intellettuale, a rivedere la propria funzione all’interno di una società intrappolata, ai suoi occhi, in un circolo vizioso, che la riportava periodicamente a uno stato di caos e barbarie.

Questa illuminazione – è importante sottolinearlo – lo colpì proprio durante la rilettura di uno dei saggi fondamentali della letteratura ispano-americana, che lo influenzerà a fondo: il Facundo di Sarmiento.

Releía, pues, el Facundo, con asombro de lo que hallaba en él de viviente y actual, no advertido antes, cuando acaeció la asonada del 6 de septiembre de 1930. […] Mi impresión fue la de que recibía una revelación, como dicen los místicos, y que se me mostraba iluminado un pasado cubierto de una mortaja pero no muerto ni sepultado (Martínez Estrada 1969b: 131).

Alla luce degli avvenimenti che scuotevano la società rioplatense, Martínez Estrada intuì, dunque, che l’Argentina non era quel paese dal futuro promettente tanto osannato dalla tradizione positivista. Le strutture sociali, culturali ed economiche europee importate da Sarmiento, che per molti erano l’espressione della tanto attesa civiltà, per il radiografo non erano che barbarie mascherata da progresso. Avrebbero potuto camuffare la realtà, e così avevano fatto, ma a lungo andare, dopo un periodo di apparente ordine, questa sarebbe sempre tornata a galla, in un ciclo senza fine:

Estos grandes hombres crearon por superfetación nuestra realidad, según sus ideas, sin haberse extinguido y sí solo sofocado, las fuerzas disolventes que agitaron nuestra historia en el período que abarca Facundo. No se había cambiado una realidad por otra; y, andando el tiempo, desaparecidas las fuerzas de orden que primaron, por capacidad de la minoría, sobre la multitud, habrían de pugnar, eruptivas, por retrotraer al caos latente aún, un mundo de fábrica (Martínez Estrada 1969a: 85).

Il motivo per cui le riforme promosse da Sarmiento non avevano ottenuto i risultati sperati era chiaro: civiltà e barbarie non erano due realtà opposte e inconciliabili, in lotta tra loro, bensì i due componenti di un’unica realtà, quella americana. Semplicemente, la celebre dicotomia sarmientina non aveva senso di esistere, giacché i due elementi che la costituivano erano, in realtà, inscindibili. Per questo, ogni tentativo di sostituire il primo al secondo era destinato a naufragare e a dare come risultato una pseudo-civiltà.

Fu così che Ezequiel Martínez Estrada, di fronte agli errori della generazione precedente, sentì la necessità di contribuire al dibattito sociologico dell’epoca con un saggio scritto di suo pugno, Radiografía de la pampa (1933), in cui teorizzava un’Argentina intrappolata in una sorta di eterno ritorno pampeano, avente come punto di origine un peccato irremissibile: l’oltraggio alla natura ostile e alle popolazioni indigene da parte dei conquistatori. L’obiettivo era semplice: scavare fin sotto la coltre di menzogne, finzioni e apparenze che il popolo argentino, sulle orme della civiltà e della cultura europee, aveva saputo creare nel corso degli anni, così da far emergere alla luce del sole una realtà completamente antitetica e trovare finalmente un senso alla sistematica ricaduta del paese nella barbarie.

Radiografía de la pampa appare, così, come un’analisi dei problemi nazionali o, più precisamente, come una psicoanalisi di stampo freudiano, che identifica l’Argentina e il suo popolo come le vittime di un male apparentemente incurabile, causato da un’esperienza traumatica originaria in grado di ripetersi all’infinito e condizionare negativamente ogni avvenimento successivo a essa. In un solo modo l’uomo argentino avrebbe potuto spezzare questo tragico cerchio e capovolgere il proprio destino: prendendo coscienza della realtà in cui si trovava immerso, di sé stesso e della sua malattia. «Si sa che l’analista compie il primo passo, destinato a sopraffare le resistenze, scoprendo la resistenza stessa, che non è mai conosciuta dal malato, e rendendogliela nota», scriveva Freud (1995: 726) nel 1914 in un suo breve saggio sulla tecnica psicoanalitica. Ebbene, nel 1933, ponendosi a metà strada tra uno psicoanalista e un vero e proprio profeta, Ezequiel Martínez Estrada decise di farsi carico di questo oneroso compito, di prendersi la responsabilità di rivelare al popolo argentino questa grande verità, perché solo grazie all’accettazione sarebbe stato possibile guarire e procedere, successivamente, alla (ri)costruzione di un’identità autenticamente argentina.

Conforme esa obra y esa vida inmensas van cayendo en el olvido1, vuelve a nosotros la realidad profunda. Tenemos que aceptarla con valor, para que deje de perturbarnos; traerla a conciencia, para que se esfume y podamos vivir unidos en la salud (Martínez Estrada 1991: 256).

Un contributo fondamentale, dunque, quello di Ezequiel Martínez Estrada, con cui l’autore si inserì a pieno titolo all’interno del dibattito sulle cause dell’arretratezza argentina e sulla costruzione dell’identità nazionale. Un grande classico su cui si è detto tanto, ma che ancora oggi offre innumerevoli spunti di riflessione, e che deve il suo valore non soltanto ai concetti espressi al suo interno, ma anche alla qualità letteraria della sua prosa.

Un nuovo pubblico

L’idea di affrontare la traduzione di Radiografía de la pampa nasce, dunque, dal desiderio di rendere fruibile anche a un pubblico italiano «uno de los libros fundacionales de la literatura argentina; más aún, de la latinoamericana» (Weinberg 1991: 15), che ha segnato non soltanto l’epoca in cui ha visto la luce, ma anche quella immediatamente successiva, arrivando a generare una ricca corrente di critici, ammiratori e seguaci. Un proposito ambizioso, a cui ci si è approcciati gradualmente, partendo da alcune riflessioni preliminari a qualsiasi lavoro di traduzione.

La prima di queste riflessioni ruota attorno a un’importantissima figura: il lettore. Lo stesso Ezequiel Martínez Estrada, a suo tempo, aveva certamente selezionato un pubblico modello a cui rivolgere la sua analisi della pampa: un pubblico prevalentemente argentino, appartenente a una classe sociale medio-alta, in grado di comprendere i molteplici riferimenti alla storia passata e presente del paese contenuti all’interno dell’opera, ma soprattutto capace di sposare le idee e le soluzioni proposte dall’autore. Sulla base di questo lettore modello, lo scrittore santafesino aveva poi modulato lo stile della sua profezia. Allo stesso modo, il traduttore odierno deve porsi i seguenti quesiti: che tipo di lettore potrebbe interessarsi alla lettura della traduzione? Qual è il suo bagaglio culturale? Quanto è approfondita la sua conoscenza della storia, della cultura e della lingua argentine? Ma soprattutto, è paziente e curioso o è piuttosto un lettore frettoloso, che non ama letture complesse e tollera malvolentieri qualsiasi ostacolo che spezzi il filo del discorso? Il lavoro di traduzione non può cominciare se prima non si è trovata una risposta a queste domande, perché tutte le scelte che il traduttore si troverà a dover compiere in corso d’opera dipenderanno, oltre che da numerosissimi altri fattori, anche e soprattutto dalla selezione del lettore modello.

Ebbene, è chiaro a tutti che il lettore di un saggio come Radiografía de la pampa, che unisce storia, sociologia, etnografia, economia, psicologia, autobiografia e tanto altro, sarà ben distinto da quello, ad esempio, di un classico romanzo di evasione o intrattenimento. Dovendo rispondere ai quesiti di cui sopra, si è immaginato un lettore di madrelingua italiana con una buona conoscenza della cultura e della storia argentine o, perlomeno, con uno spiccato interesse nei confronti di entrambe. Viene difficile, infatti, immaginare che un ipotetico lettore italiano possa decidere di affrontare una simile lettura pur non avendo nessuna nozione delle tematiche trattate al suo interno o nessuna curiosità al riguardo. Nella stragrande maggioranza dei casi, egli sarà, piuttosto, uno studioso attivo nell’ambito della storia del pensiero ispano-americano o argentino, oppure un appassionato già in confidenza con opere di questo calibro.

La selezione del fruitore del metatesto influisce inevitabilmente sul metodo di traduzione adottato. In questo caso, avendo ipotizzato un lettore evidentemente propenso all’incontro con l’estraneo, si è deciso di utilizzare un approccio prevalentemente straniante, che gli permettesse di apprezzare al meglio lo stile adottato da Ezequiel Martínez Estrada nella stesura del suo grande saggio, oltre che i contenuti dell’opera. Non solo cosa ha scritto l’autore, ma anche come lo ha scritto. Infatti, il linguaggio selezionato da Ezequiel Martínez Estrada, in quanto creatore del testo, è unico e preciso, ne riflette la sensibilità, la volontà e gli intenti, e in quanto tale deve essere preservato. L’abilità del traduttore, posto di fronte a un simile ostacolo, consiste proprio nel saper individuare le peculiarità dello stile dell’autore, nel riconoscere le soluzioni da lui selezionate all’interno di un vasto campione di possibilità linguistiche e nell’adottare un approccio traduttivo che consenta di preservare quanto più possibile di questo linguaggio, nel rispetto dei limiti imposti dal sistema di arrivo. Tanto più che il valore letterario di Radiografía de la pampa è uno dei pochi aspetti dell’opera a non essere mai stato messo in discussione dai critici che, negli anni, hanno affrontato l’analisi di questo testo. Persino Bernardo Canal Feijóo, autore di una delle più dure analisi del saggio radiografico, non poté fare a meno di concedergli questo pregio:

Siempre he creído que, aparte indudables y, desde luego en obra de tal autor, nada sorprendentes méritos de forma, los principales valores de ésta debían desprenderse de una condición circunstancial y sintomática (Canal Feijóo 1937: 64).

D’altronde, in un saggio come Radiografía de la pampa, che si configura come un accorato appello volto a guidare un intero popolo verso la guarigione da una nevrosi collettiva, il linguaggio non può che svolgere un ruolo di primaria importanza. Fu proprio attraverso di esso, infatti, che Ezequiel Martínez Estrada cercò di coinvolgere i propri lettori e di convincerli della validità delle sue tesi.

Ricordare, ripetere e rielaborare

Sintassi densa e articolata, musicalità della prosa, barocchismi, ricchezza metaforica, antitesi e paradossi, ironia: sono soltanto alcuni dei numerosi elementi estetico-letterari che caratterizzano lo stile di Radiografía de la pampa. Qui di seguito, per ragioni di brevità, ne analizzeremo uno in particolare, forse il più rilevante: la ripetizione.

Innanzitutto, è importante sottolineare che la ripetizione, oltre a essere una delle risorse stilistiche più sfruttate da Ezequiel Martínez Estrada, occupa anche un ruolo di spicco all’interno del processo di guarigione proposto dall’autore.Essa corrisponde, infatti, al secondo elemento della celebre triade «ricordare, ripetere e rielaborare», che dà il titolo al breve saggio freudiano di cui sopra. Al suo interno, Freud descrisse alcuni particolari casi di nevrosi in cui

il paziente non ricorda nulla di quanto ha dimenticato e rimosso, però lo estrinseca nell’azione. Non lo riproduce in forma di ricordo, ma come azione; lo ripete, ovviamente ignorando di compiere una ripetizione. […] Ripete quanto si è già aperto una via fino alla sua personalità manifesta, partendo dalle sorgenti della rimozione: inibizioni, atteggiamenti negativi e tratti patologici del carattere (Freud 1995: 723-724).

Ezequiel Martínez Estrada riconobbe nel paziente qui descritto l’uomo americano, il cui trauma, risalente alla Conquista e inconsciamente represso, era ancora ben evidente nei sintomi della sua nevrosi, nelle manifestazioni della sua malattia: la menzogna, la superbia, l’isolamento, la paura, l’individualismo. Al pari del nevrotico freudiano, l’uomo americano, secondo Martínez Estrada, è destinato a rivivere – o meglio, a ripetere – continuamente il proprio trauma, ed è proprio sfruttando questa costante ripetizione che egli può, grazie all’aiuto dell’analista-profeta, guarire dalla sua malattia.

La ripetizione è dunque uno dei concetti fondanti del pensiero di Ezequiel Martínez Estrada e, in quanto tale, non stupisce che esso si ripercuota profondamente nella struttura e nello stile della sua più importante opera. In primo luogo, le tematiche affrontate dallo scrittore santafesino all’interno del saggio si ripetono costantemente lungo le sei sezioni che lo compongono. Vengono accennate una prima volta e subito abbandonate, poi riprese e nuovamente accantonate, fino a che riemergono in uno o più sottocapitoli a esse interamente dedicati, dando vita a un’illustrazione progressiva dei principali contenuti del testo.

Si pensi, ad esempio, al tema dell’assenza del passato sul territorio americano. Secondo Martínez Estrada, l’America è un continente privo di storia e tutto ciò che è avvenuto al suo interno non è altro che un prolungamento della storia europea. L’Europa è storia; l’America è etnografia. Ciò accade perché l’uomo americano, contrariamente all’europeo, pur illudendosi di avere il libero arbitrio e di poter intraprendere un percorso diverso da quello segnato dalla natura secoli addietro, è imprigionato in un ciclo eterno, che lo riporta periodicamente al suo peccato originale: al primordiale scontro con la natura maligna e alla ripetizione degli errori che ne seguirono. La sua esistenza non è il mero prodotto delle sue decisioni, ma è predeterminata dalle caratteristiche fisiche del territorio in cui vive e dalle forze primordiali che lo abitano. Di conseguenza, «en estas regiones no hubo nadie ni ocurrió nada» (Martínez Estrada 1991: 64). Questa teoria, di evidente ispirazione spengleriana, appare per la prima volta in una delle prime pagine del saggio, dove leggiamo:

En Europa, ligarse a la tierra por la propiedad, es emparentar con la historia, soldar un eslabón genealógico, entrar al dominio del pasado. Pero en América, en la del Sur, que no tiene pasado y que por eso se cree que tendrá porvenir, es por una parte la venganza y por otra la codicia; se entra por ella al dominio del futuro y la hipoteca es el medio bancario de traerlo hasta el presente (Martínez Estrada 1991: 9).

Grazie a questo breve frammento, Ezequiel Martínez Estrada introduce al lettore il tema dell’assenza del passato sul continente americano, senza fornirgli, però, ulteriori delucidazioni in merito, mentre il discorso prosegue, fluido, sulla conquista della terra americana da parte degli spagnoli cinquecenteschi. Lo stesso accade più avanti, nella seconda sezione dell’opera:

América tenía civilizaciones, pero no tenía pasado, era un mundo sin pasado y hasta entonces sin porvenir; desenvolvía su vida en formas asincrónicas y asimétricas con el ritmo y la estructura de los ensayos conocidos y válidos (Martínez Estrada 1991: 52).

Anche in questo caso, la questione viene subito accantonata, quasi fosse una breve parentesi all’interno di un discorso più ampio e degno di nota. Allusione dopo allusione, ripetizione dopo ripetizione, Ezequiel Martínez Estrada propone il tema dell’astoricità americana al proprio pubblico, ricollegandolo alle restanti tematiche dell’opera: all’acquisizione della terra e all’isolamento americano, come mostrano i due esempi sopraccitati; alla città di Buenos Aires, che «carece de ayer» (Martínez Estrada 1991: 149); alle sue abitazioni tipiche, prive di una soffitta in cui conservare gli oggetti ormai inutilizzati (Martínez Estrada 1991: 170-171); o alla casualità che, in una società priva di solide strutture sociali ed economiche che ne proteggano i membri, guida il destino dell’uomo: «Todo el porvenir es un resultado de no tener pasado. Pero la forma imprecisa del porvenir, del futuro no condicionado por el presente es el azar, el reinado del capricho y la voluntad de “otra vida”» (Martínez Estrada 1991: 226). Infine, quando il lettore è ormai avvezzo al tema, l’autore provvede a tirare le somme e a delineare un quadro completo della questione, dettagliatamente illustrato all’interno di tre diversi sottocapitoli: Discontinuidad, El mundo y el hombre e Historiografía.

Il tema del passato non è che uno dei tanti esempi possibili. La stessa analisi, infatti, potrebbe facilmente essere applicata a qualsiasi altro tema affrontato all’interno di Radiografia de la pampa. Il risultato è una struttura circolare, altamente ripetitiva, che conferisce al testo coesione e coerenza e aiuta il lettore a individuare i concetti chiave dell’opera, a creare collegamenti logici tra gli stessi e a sciogliere, infine, il significato profondo del testo. La ripetizione assume, così, una duplice funzione: stilistica e didattica.

In Radiografía de la pampa, tuttavia, le ripetizioni non riguardano soltanto le tematiche affrontate, ma anche il lessico, la morfologia e la sintassi del testo, ed è qui che incontrano l’interesse del traduttore. Partendo dal primo di questi tre livelli, è facile notare come le parole chiave dell’opera, sulla scia dei temi, si ripetano continuamente, anche a distanza di numerose pagine. Inoltre, non è raro che una parola ricorra molteplici volte anche all’interno di uno stesso paragrafo o di uno stesso periodo, come vediamo di seguito:

En su Memoria al virrey Del Pino, decía el virrey Avilés que las familias que se trajeron a poblar el Río Negro cayeron en condición abyecta: vivían en cuevas construídas por ellas mismas, sepultadas en vida. Otras en ranchos, que era la cueva hacia afuera, la cueva al aire. Hundíanse en las cuevas y en el pasado (Martínez Estrada 1991: 12).

In questo caso, il sostantivo cueva, declinato sia al singolare sia al plurale, appare per ben quattro volte in tre righe di testo. La finalità di questa ripetizione è duplice: apportare un ritmo ben preciso al frammento e dare maggior risalto a un concetto che, grazie a essa, si fissa nella memoria del lettore. La cueva, infatti, non è che il simbolo del fallimento dei colonizzatori europei settecenteschi e, per estensione, di chiunque credette di poter prosperare oltreoceano e si trovò, poco dopo, a fare i conti con una realtà ostile, primitiva. È chiaro, dunque, che la scelta di sottolineare l’importanza di questo concetto attraverso la reiterazione di un sostantivo non può che essere rispettata da parte del traduttore.

Spesso si sente dire che il valore di un testo dipende anche dalla ricchezza del suo vocabolario: più il lessico utilizzato è vario, meglio è. Di conseguenza, ogni vocabolo ripetuto, soprattutto se a distanza di poche righe (o di nessuna, come in questo caso), è indice di trascuratezza stilistica e povertà lessicale. Questa credenza si ripercuote anche nel lavoro del traduttore e lo spinge a “sinonimizzare”, ad arricchire il lessico utilizzato dall’autore del tp, a volte anche in modo automatico, senza nemmeno pensarci troppo.

Possedere una vasta gamma di sinonimi fa parte del virtuosismo del “bello stile”; se nello stesso paragrafo del testo originale compare due volte la parola “tristezza”, il traduttore, contrariato dalla ripetizione (che considera un oltraggio alla doverosa eleganza stilistica), sarà tentato di tradurre la seconda volta con “malinconia” (Kundera 1994: 112).

Questo “riflesso di sinonimizzazione”, tuttavia, è figlio di una visione scolastica della scrittura, che spesso non trova corrispondenza nella realtà, soprattutto quando si ha a che fare con autori che costruiscono l’espressività, la musicalità e l’originalità dei propri testi anche grazie alle ripetizioni, andando oltre il cosiddetto “bello scrivere”. In questi casi, la ripetitività del vocabolario costituisce un tratto distintivo positivo della prosa. Inoltre, come si è detto, il vocabolo ripetuto può indicare un concetto chiave del testo e, in quanto tale, non può andare perduto. Infatti, sostituendo tutte le ripetizioni interne al testo con dei sinonimi, mossi dal desiderio di migliorarne lo stile, otterremmo, piuttosto, un impoverimento del testo stesso. D’altronde, il traduttore non dovrebbe mai cercare di migliorare il tp, né in questo modo né in altri, ma essere fedele all’intenzione del testo e dell’autore. Perciò si è deciso di tradurre il succitato frammento nel seguente modo:

Nella sua Memoria al viceré Joaquín del Pino, il viceré Gabriel de Avilés sosteneva che le famiglie che erano state chiamate a popolare la provincia di Rio Negro vivevano in condizioni abiette, sepolte vive all’interno di grotte costruite da loro stesse. Altre vivevano nelle fattorie, che erano grotte esterne, grotte all’aria aperta. Si rifugiavano nelle grotte e nel passato.

Altre volte, invece, non è un semplice vocabolo a essere ripetuto intenzionalmente, bensì un’intera struttura sintattica. In questi casi, definiti d’ora in avanti “parallelismi”, si verifica un accorpamento, attraverso un punto e virgola, di due strutture sintattiche identiche tra loro (o quasi), indicate di seguito come S1 e S2. Di norma, S1 e S2 si trovano in un rapporto di opposizione e costituiscono, dunque, i due membri di un’antitesi, mentre il punto e virgola svolge una funzione contrastiva, sostituendo la locuzione congiuntiva mientras que.

Lo que coincidía con la previa estructura de este mundo, prosperaba; lo que se alzaba con arreglo a la voluntad del hombre, caía cuando moría él (Martínez Estrada 1991: 6).

Come si può vedere, il parallelismo è dato, prima di tutto, dalla ripetizione simmetrica della costruzione relativa lo que + imperfetto e dei sintagmi preposizionali introdotti da con e de nelle due proposizioni subordinate, nonché, in secondo luogo, dalla ripetizione del verbo coniugato all’imperfetto indicativo nelle due proposizioni reggenti.

S1 S2
Lo que coincidía Lo que se alzaba
con la previa estructura con arreglo a la voluntad
de este mundo, del hombre,
prosperaba. caía (cuando moría él).

Nel metatesto si è cercato di riprodurre la stessa simmetria, pur dovendo accettare la perdita del sp introdotto da con in S2:

Ciò che coincideva con la naturale struttura di questo mondo, prosperava; ciò che sorgeva per volere dell’uomo, crollava alla sua morte.

Ci sono casi, poi, in cui il parallelismo non è dato dall’opposizione di due strutture sintattiche ravvicinate e identiche, bensì dalla ripetizione della stessa struttura sintattica a distanza di numerose pagine:

Tomó posesión de este baldío en nombre de Dios y del rey, pero en el fondo de su conciencia estaba desengañado (Martínez Estrada 1991: 9).

 

Los hijos del concubinato proseguían las costumbres de sus padres, pero en el fondo de sus conciencias no estaban satisfechos (Martínez Estrada 1991: 21).

I due periodi riportati si trovano, nell’edizione dell’opera in bibliografia, a più di dieci pagine di distanza l’uno dall’altro, ma è difficile immaginare che la quasi perfetta equivalenza delle due coordinate avversative che li compongono sia il frutto di una casualità. Crediamo piuttosto che, attraverso questo parallelismo sintattico e lessicale, l’autore abbia voluto sottolineare un parallelismo esistente anche nella realtà, tra la condizione del conquistatore cinquecentesco e quella di suo figlio, il meticcio: entrambi insoddisfatti, delusi e rancorosi. Ovviamente,

non si può mai essere certi di quale fosse l’intenzione dell’autore nello scrivere un certo testo, a meno che non ne abbia espressamente parlato o ne esistano testimonianze scritte. Ma chi traduce dev’essere disposto a scommettere sull’intenzione del testo, dev’essere pronto a interpretare e a fare congetture su quello che il testo dice o suggerisce in rapporto al contesto culturale in cui è nato (Cavagnoli 2012: 28-29).

Per questo si è deciso di tradurre i due periodi nel seguente modo:

Si impossessò di quel terreno nel nome di Dio e del re, ma nel profondo della sua coscienza era deluso.

 

I figli nati dal concubinato emulavano le abitudini dei loro padri, ma nel profondo delle loro coscienze erano insoddisfatti.

Giungiamo, infine, al livello morfologico dell’analisi linguistica del testo, anch’esso marcato dalle ripetizioni martinezestradiane, come dimostra l’abbondanza, all’interno del saggio, di elementi linguistici invariabili quali no, ni, sin, nada e jamás, che contribuiscono a esacerbare la negatività dell’opera. Si veda il seguente esempio:

Ser flotante, sin que nada lo coartara en su ambición ni en su marcha, puesto que nada tenía límites aquí, ni la ley ni la propiedad, ni la vida, parasitó en la vaca y el caballo (Martínez Estrada 1991: 16).

Il pessimismo è una delle caratteristiche principali di Radiografía de la pampa, se non addirittura il suo marchio di fabbrica. Difatti, l’opera offre una visione catastrofista del continente americano, completamente antitetica alle speranze di progresso racchiuse nei discorsi positivisti della precedente generazione2. Come affermò Sebreli (1954: 18), in un mondo martinezestradiano in cui sia la natura sia la civiltà gli sono avverse, l’uomo americano è un prigioniero senza vie di fuga. Egli crede di poter modificare la propria condizione, e per questo si dibatte all’interno della gabbia in cui è costretto, ma la sua ostinazione non è altro che cecità: l’uomo comune non è in grado di vedere le sbarre della propria prigione, visibili, invece, allo sguardo esterno di un illuminato Martínez Estrada. La sua esistenza, come si è detto, è predeterminata dalle caratteristiche fisiche del territorio in cui vive e dalle forze primordiali che lo abitano; privo di libero arbitrio, non può avanzare verso il futuro, perché ogni tentativo in tal senso lo riporta inesorabilmente al punto di partenza, alla barbarie.

La ripetizione costante, lungo l’intera opera radiografica, di avverbi e congiunzioni indicanti negazione, opposizione, disgiunzione o esclusione rispecchia e rafforza il messaggio di negatività insito nel pensiero dell’autore, che per l’ennesima volta si serve di questa figura retorica per trasmettere la sua profezia al popolo argentino. È chiaro, dunque, che anche in questo caso il traduttore non può che replicare questo tratto stilistico nel metatesto:

Parassitò le vacche e i cavalli, come un essere fluttuante che non conosce ostacoli, né all’ambizione né al suo cammino, perché niente qui aveva limiti, né la legge né la proprietà, né tantomeno la vita.

Conclusioni

«Tengo que hablarte y me tienes que escuchar», scriveva ormai sessantacinque anni fa Ezequiel Martínez Estrada (1956: 136), in un suo ennesimo appello alla coscienza del popolo argentino. Erano le parole di un uomo stanco, deluso come i protagonisti della sua grande opera, che per anni aveva tentato inutilmente di attirare l’attenzione dei propri connazionali e di recapitare loro un messaggio tanto catastrofico quanto inderogabile. Di fronte a una simile esigenza di espressione, non abbiamo potuto fare a meno di dare ascolto alle parole che, nel 1933, l’autore santafesino aveva deciso di racchiudere all’interno del suo più importante saggio, Radiografía de la pampa, prestando loro un orecchio attento, vigile, deciso a captare le innumerevoli sfumature dell’autore e del testo.

Tra tutte queste sfumature, la ripetizione è senza ombra di dubbio una delle più significative. Lungi dall’essere solo uno dei tanti elementi estetico-letterari che caratterizzano lo stile di Radiografía de la pampa, la ripetizione invade l’opera in ogni suo punto, segnandone il lessico, la morfologia, la sintassi e persino l’intera impalcatura testuale. Le ossessioni tematiche dell’autore, decise a cristallizzarsi nella mente del lettore e a influenzarne il pensiero, appaiono e scompaiono continuamente lungo le pagine del saggio, in un movimento spirale e progressivo che conduce alla completa comprensione e assimilazione del testo. La ripetizione si configura, dunque, come un vero e proprio strumento didattico-analitico, attraverso il quale Ezequiel Martínez Estrada cercò di istruire il popolo argentino, di mostrargli la sua verità, ma soprattutto di guidarlo verso la guarigione da quella che era, a tutti gli effetti, una nevrosi. L’uomo argentino, a causa dei meccanismi di difesa freudiani, ha ormai rimosso l’esperienza traumatica che ha dato origine alla sua malattia, eppure è costretto a riviverla periodicamente e inconsciamente. In un simile scenario clinico, la ripetizione è, al tempo stesso, un sintomo e una cura: «Finché il paziente è sotto cura non può sottrarsi alla coazione a ripetere e, alla fine, capiamo che è questo il suo modo di ricordare» (Freud 1995: 724). Di qui l’importanza di preservare in traduzione questa importante figura retorica e di rifuggire ogni riflesso di sinonimizzazione, ogni spinta inconscia verso un improbabile miglioramento del testo di partenza.

Tanti hanno affermato, negli anni, che non si comprende appieno un testo finché non lo si traduce e la traduzione di Radiografía de la pampa ce ne ha dato la prova, obbligandoci a un’analisi puntigliosa di ogni suo aspetto e trasmettendoci tutta la passione, il fervore patriottico e il desiderio di cambiamento che l’autore vi aveva riposto. Giunti alla fine del lavoro, la speranza è quella di essere riusciti, a nostra volta, a trasmettere queste stesse sensazioni a un ipotetico lettore italiano; quella di avergli permesso, grazie a un approccio traduttivo prevalentemente straniante, di immergersi nel mondo di Ezequiel Martínez Estrada, di apprezzarne la voce e il messaggio, e di vedere l’Argentina con gli occhi di uno dei suoi tanti sognatori disillusi.

Bibliografia

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– (1956), «Palabras preliminares a mi pueblo», In: Martínez Estrada E., Cuadrante del pampero, Buenos Aires, Editorial Deucalion, p. 136-138.

Mitre Bartolomé (1928), «Discurso a la manifestación popular», In: Mitre B., Arengas selectas, Buenos Aires, El Ateneo, p. 209-216.

Sebreli Juan José (1954), Martínez Estrada o el alma encadenada, «Capricornio», 8, 2, p. 15-21.

Weinberg Gregorio (1991), «Liminar», In: Martínez Estrada E., Radiografía de la pampa, Pollmann L. (dir.), vol. XIX, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, «Collection Archivos – ALLCA XX», p. xv-xviii.

Note

  1. Si riferisce a Domingo Faustino Sarmiento e al suo Facundo.
  2. Si pensi, ad esempio, al discorso pronunciato da Bartolomé Mitre (1928: 209-210) durante la Manifestazione Popolare del 26 giugno 1901 o alle parole entusiastiche di José Ingenieros (1913: 119-121) sul futuro della nazione.
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