La tematica del naufragio in Luís Vaz De Camões

Introduzione

Nell’affrontare la lettura e lo studio dell’opera e della vita di Camões risulta interessante constatare come il tema del naufragio – soggetto di una peculiare e specifica codificazione nella letteratura portoghese – trovi, per così dire, una doppia veste nell’autore dei Lusíadas: troviamo infatti traccia di esso sia sul piano strettamente testuale sia su quello extra-testuale e biografico. Questo elaborato si propone quindi di affrontare in maniera schematica come tale tematica si esplichi da una parte come episodio biografico subìto dallo stesso poeta con ovvi riflessi nella sua produzione lirica, dall’altra nel materiale narrativo dei Lusíadas.

Il tema del naufragio come dato extratestuale: il naufragio alle foci del Mekong

Le due ottave nei Lusíadas

Da sempre, nelle biografie di Camões, il naufragio che il poeta subì alle foci del Mekong appare come dato biografico assodato e conseguentemente cruciale sia per la sua vita che per la totalità della sua opera. Riassumendo brevemente l’episodio tramandato dalla tradizione, il poeta subì un rovinoso naufragio sulle coste dell’attuale Vietnam, nel quale riuscì a trarre in salvo dalle onde il manoscritto dei Lusíadas ancora in fieri, ma perdendo tra di esse la donna che amava, la misteriosa Dinamene. Nonostante questo sia tendenzialmente accettato come dato biografico certo, di sicuro abbiamo invece ben poco dal momento che, come riconosce Luciana Stegagno Picchio (1980: 23), «la penuria di documenti sulla vita di Camões ha indotto i biografi […] a interrogare l’opera camoniana per ricavare dall’interno di questa […] notizie sull’autore. È il metodo che i filologi classici […] chiamano della biografia per autoschediasmi. Anziché basarsi sul solido terreno del documento, la costruzione biografica si appoggia qui a elementi che per sostenersi avrebbero a loro volta bisogno di un sostegno esterno». In pratica bisogna riconoscere come il materiale biografico su Camões derivi in gran parte proprio dalla sua stessa opera: i dati che vengono considerati certi sono quindi sovente frutto non di prove documentarie quanto di ipotesi più o meno verosimili.

Dando quindi per assodata la natura congetturale che necessariamente ogni ipotesi veicola, all’interno dei Lusíadas possiamo trovare due ottave che a più riprese sono state interpretate come un riferimento al naufragio subìto: l’ottava 80 del VII canto e la 128 del X. La prima delle due è inserita nella seconda invocazione rivolta alle ninfe del Tejo, nella quale il poeta fa riferimento alle sofferenze che hanno segnato la sua vita; pur non facendo menzione specifica di un naufragio, la critica quasi unanimemente interpreta come un riferimento ad esso il rischio generico che Camões afferma di aver corso e al quale è riuscito a sfuggire. L’ottava del canto X si inserisce invece nella lunga profezia che Teti mostra a Gama sul futuro delle scoperte e delle conquiste lusitane. Il riferimento qui presente appare molto meno velato e non lascerebbe adito a dubbi: «[…] os Cantos que molhados / Vêm do naufrágio triste e miserando, / Dos procelosos baxos escapados»1. Che le parole di Teti facciano riferimento al naufragio subìto da Camões viene dato per certo, essendo però allo stesso tempo paradossalmente anche la fonte principale di tale avvenimento per le successive biografie sul poeta. Data la difficoltà di attribuire una veridicità indubbia a un episodio che come questo è inserito nel pieno del corpus testuale, fin dalle prime biografie esso verrà soggetto a rimodulazioni e cambiamenti che di “filologico” avranno spesso ben poco. Queste varianti renderanno ben presto la sequenza del naufragio un elemento topico che permetterà di leggere la vita di Camões come un percorso «coerente» e «omologo» al tema dell’epopea da lui stesso narrata (Stegagno Picchio 1980: 27-28); l’episodio viene inoltre precocemente accostato a quello di Cesare che salva i propri scritti dalle acque del Nilo e su tale archetipo rimodellato, creando così un modello dalla grande fortuna nel Seicento barocco prima e nell’Ottocento romantico poi (Stegagno Picchio 1980: 32-34).

Se quindi su un generico episodio di naufragio subito da Camões non sembrano esserci dubbi, essi si palesano non appena si tenti di individuarlo (nello spazio, nel tempo e nelle modalità): molte appaiono essere le varianti supposte o ipotizzate, delle quali sempre Luciana Stegagno Picchio (1980: 29-39) tenta di dar conto.

L’episodio e le sue conseguenze nel materiale lirico

Tra le liriche di Camões non è possibile ritrovare un riferimento diretto alla tragedia: se sono molte le poesie che trattano del dolore per la dipartita dell’amata Dinamene, esse non fanno riferimento diretto all’episodio della sua morte. Soltanto il sonetto «Ah! Minha Dinamene! Assi deixaste» sembra dissipare un poco le ombre al riguardo: in esso i versi «Puderam estas ondas defender-te / Que não visses quem tanto magoaste?» sembrano suggerire che la morte dell’amata sia avvenuta tra le onde. Inoltre, la componente acquatica è ripresa all’interno dello stesso sonetto tramite l’epiteto con il quale viene apostrofata Dinamene – chiamata ninfa minha2– sia con un riferimento al mar in una iperbolica (e topica) invocazione rivolta allo stesso mare, al cielo e all’infausta sorte per lamentarsi della propria infinita sofferenza. Altri elementi non ci sono, così come non c’è riferimento alcuno al fatto che il supposto naufragio in questione sia lo stesso subìto dal poeta alle foci del Mekong.

Inoltre, parimenti in via puramente ipotetica, è possibile che tale avvenimento abbia avuto riflesso all’interno del corpus lirico camoniano anche in chiave intertestuale: supponendo un qualche tipo di organizzazione tematica e non formale del discusso e incerto Parnaso, è infatti virtualmente ipotizzabile una divisione del materiale lirico in vita e in morte dell’amata sul modello petrarchista. Ma, nonostante proprio la forma del canzoniere petrarchista possa avere echi strutturali sulle edizioni a stampa della sua opera lirica curate da autori successivi, è allo stesso tempo arduo ipotizzare come e se il materiale lirico fosse originariamente organizzato, nonostante molti elementi sembrino suggerire una seppur minima organizzazione macrotestuale del corpus lirico sempre sul modello petrarchista (Silva 2011; Marnoto 2011)3. Sembra invece meno arduo il riconoscere come la morte dell’amata debba essere stata momento cruciale della vita del poeta, congiuntamente al salvataggio del manoscritto dei Lusíadas dalle acque: la continuità tra i due episodi (reale o solo simbolica?) può essere vista come una chiave di lettura dell’intera opera camoniana (Stegagno Picchio 1980: 40-41).

Oltre, però, l’ipotesi si fa mera congettura: mancando prove biografiche certe e difettando il corpus lirico di Camões di uno studio approfondito, è difficile – se non impossibile – tentare di individuare dei punti fermi in vicende dai contorni vaghi che, al momento, presentano sicuramente più dubbi che certezze.

Il tema del naufragio all’interno dei Lusíadas

Se come visto appare ostico ricercare certezze in una materia così vaga come quella della biografia di Camões, ben più semplice risulta invece l’esame a cui può essere sottoposto il naufragio come tematica interna ai Lusíadas.

Nonostante una ricerca dell’occorrenza del lemma naufrágio all’interno dei Lusíadas dia un risultato abbastanza misero4, la presenza di questa tematica attraversa tutta l’opera sia sul piano dello svolgimento narrativo sia su quello dei significati attribuibili al testo. Infatti, sebbene nessun naufragio colpisca direttamente la flotta di Vasco da Gama nella prima rotta verso l’India (seppur ne venga a più riprese paventato il rischio), questa tematica aleggia in tutto il poema, non riguardando soltanto lo svolgimento narrativo del racconto ma svolgendo a sua volta un ruolo simbolico che verrà ora sinteticamente affrontato.

L’episodio del Velho do Restelo

L’episodio del Velho do Restelo (Canto IV, ottave 94-104), nonostante abbia dato adito a diverse interpretazioni proprio a causa della sua ambivalenza e della confusione temporale che lo circonda (Santos 2011), è innegabilmente riconosciuto come momento cruciale per l’economia del testo, essendo la prima vera «lezione di disinganno» presente nell’opera che, al pari di altre, contribuisce in maniera decisiva all’epicità dei Lusíadas (Camões 2001: 830).

Infatti nell’ampio ammonimento lanciato contro la flotta di Vasco da Gama in partenza, il Vecchio venerando non solo mostra il rovescio della medaglia di quel processo espansivo e colonizzatore che l’opera celebra o dovrebbe celebrare, ma arriva parossisticamente a denunciare l’intrinseca malvagità e fallacia del progetto portoghese in Oriente. In tale ammonimento il riferimento ai futuri naufragi, seppur non manifesto, è sottinteso. Quello del Vecchio che parla d’experiências feito è un monito contro le illusorie vanità che muovono l’espansione lusitana, e in esso vengono paventati disastri e morte per quegli uomini ingannati dalle facili ricchezze loro promesse. Appare quindi chiaro il nesso con i numerosi naufragi subiti dalla flotta lusa, spesso causati proprio dall’eccessivo accumulo a bordo di quelle facili ricchezze. Che si riferisca alle disavventure marittime è inoltre rimarcato dal contesto in cui il discorso viene pronunciato: la profezia è lanciata dal Vecchio alle navi che, già staccate dagli ormeggi, stanno prendendo la via del mare. Quella del Vecchio è di fatto formulata come un’orazione che, rivolta contro la flotta che inaugurerà la carreira da Índia, vuole criticare su un piano molto più generale la missione espansionistica portoghese in Oriente. Che l’invettiva non sia rivolta specificamente a loro lo si vede dal fatto che – come già detto – nessuna nave della flotta subirà un naufragio: ciò non impedirà tuttavia a Camões di esporre storie di altri naufragi e di inserire anche a tale scopo l’episodio del gigante Adamastor, nel canto successivo.

Inoltre, come già accennato, questa linea tematica tra IV e V canto svolge una funzione essenziale alla struttura epica del testo, configurandosi come un’ambigua interruzione della componente puramente encomiastica ed euforica che il poema epico dovrebbe veicolare nel suo svolgimento. Infatti questo episodio funge da espressione sia di quel desconcerto do mundo che, seppur latente, compare in tutta l’opera camoniana, sia della ben più contingente consapevolezza delle contraddizioni interne tanto alla missione espansionistica quanto all’intera società portoghese.

In pratica questo episodio è la prova più manifesta di come Camões riesca, pur all’interno di un poema epico dichiaratamente encomiastico e celebrativo, a dar espressione tanto a una propria visione del mondo estremamente pessimistica quanto alla consapevolezza delle discordanze e delle aporie interne a quella grande missione che, a una prima lettura, il testo celebra fieramente.

L’episodio del Cabo Tormentoso e di Adamastor

L’episodio del gigante Adamastor nel canto V fa da contrappunto al discorso disforico del Velho do Restelo. I rischi generici paventati dal Vecchio alla fine del IV canto prendono qui concretezza: con una profezia sono preannunciati dal gigante futuri naufragi e disgrazie che colpiranno le flotte portoghesi le quali, nelle loro peregrinazioni verso l’Oriente, si troveranno a passare nelle vicinanze del Cabo Tormentoso, ovvero il Capo di Buona Speranza, nell’attuale Sudafrica. In questo passo inoltre la tirata moralistica sulle facili e false ricompense lascia il posto a un motivo più tradizionalmente epico: lo sfidare i limiti imposti all’uomo dalla Natura o da Dio, da pagare con terribili e orrendi castighi.

Sono tre le tragedie che nello specifico vengono elencate in funzione profetica: due naufragi che ora affronteremo e l’uccisione del primo viceré delle Indie, Francisco de Almeida, il quale cadrà vittima degli indigeni di questa regione nel 1510.

Il naufragio della flotta di Pedro Álvares Cabral e la morte di Bartolomeu Dias

Nelle ottave 43 e 44 è profetizzato per bocca di Adamastor il primo dei due naufragi trattati. Le ottave recitano: «e da primera armada que passagem / Fizer por estas ondas insofridas / Eu farei de improviso tal castigo (…) Aqui espero tomar, se não me engano, / De quem me descobriu suma vigança»5. Colui a cui il gigante si riferisce è Bartolomeu Dias, lo scopritore del Cabo Tormentoso nel 1488. Egli, dopo aver accompagnato anche la stessa spedizione di Vasco da Gama fino a
Cabo Verde, si imbarcò nella flotta di Pedro Alvares Cabral in quella celebre spedizione che per prima scoprì le coste brasiliane. Essa, una volta ripartita da Vera Cruz verso le Indie orientali, si imbatté in una tempesta che affondò ben quattro delle navi che la componevano. Tra di esse c’era quella di Bartolomeu Dias che annegò insieme a tutti i compagni (Bueno 1990: 116-117).

L’ammonimento del Gigante pone in correlazione diretta la scoperta compiuta da Dias e la sua futura morte, che avverrà nel 1500: la funzione strettamente epica della punizione a cui va incontro colui che oltrepassa i limiti impostigli è chiaramente primaria nella lettura del passo. Bisogna però tenere parimenti conto che la disgrazia di Dias è presentata in maniera esemplare come il primo di una serie di naufragi che segneranno tutto il processo colonizzatore portoghese: infatti tale vicenda è posta in un contesto più ampio, il quale non riguarda soltanto il destino del singolo navigatore bensì quello più generale dell’intera missione espansionistica lusa, presentando traccia di ciò anche sul piano strettamente testuale6. La vicenda qui narrata ha quindi un valore esemplare di quel contrappasso metaforico che i portoghesi sono costretti a pagare: qui per aver voluto sfidare i limiti imposti all’uomo, nel canto IV per essersi lasciati guidare dall’avidità e per aver perso di vista la loro missione evangelizzatrice.

Il naufragio della São João

Tra l’ottava 46 e la 48 troviamo invece il racconto del naufragio della nave São João guidata da Manuel de Sousa Sepúlveda, nel quale, tra l’affondamento e gli stenti conseguenti, perì la quasi totalità dell’equipaggio, incluso lo stesso capitano e la sua famiglia.

Il racconto del naufragio della São João presente nei Lusíadas non è però la prima formulazione letteraria di un fatto di cronaca che aveva destato molto scalpore nel pubblico portoghese. Quella di Camões è semmai una rielaborazione che, in misura assai ardua da definire, trae spunto da una relazione sul naufragio che, anonima, iniziò a circolare tra il 1555 e il 1556 e conterà ulteriori quattro edizioni7 prima di confluire nella Historia Trágico-Marítima di Bernardo Gomes Brito, nel 1735. Oltre alla riformulazione camoniana, questa relazione ispirerà tutta una serie di altri testi e fornirà un modello topico per tutte le successive relazioni di naufragio, entrando «num certo imáginario cultural português como o naufrágio por antonomásia» (Martins 2011: 633).

La causa della fortuna delle molteplici narrazioni di questo naufragio va interpretata come la somma di quelle stesse motivazioni che resero fiorente il genere delle relazioni di naufragio, congiuntamente alla riscrittura drammatica e commovente che ne diede Camões.

Per comprendere l’apporto camoniano è però necessario riflettere su come la formulazione di un certo tipo di racconto di naufragio trovi le sue motivazioni in un contesto quale era quello del Portogallo del XVI secolo, segnato da un lato da una missione coloniale senza precedenti, dall’altro da un forte conservatorismo religioso e morale. Soltanto tenendo conto di queste tematiche extratestuali si può capire il perché del successo di un tale genere nella letteratura portoghese8 e la sua assenza come genere codificato nelle altre tradizioni letterarie europee.

Dunque, si possono ricercare le motivazioni di questo successo innanzitutto nella partecipazione diretta o indiretta di tutta la popolazione portoghese all’avventura marittima.
È facilmente comprensibile la presa che un tale tipo di letteratura abbia potuto esercitare su un popolo che proprio sull’impresa ultramarina avrebbe costruito la propria immagine. Inoltre, da questo punto di vista, interi stralci delle varie relazioni possono essere lette come veri e propri ammonimenti didascalici per i navigatori: nella relazione anonima dell’affondamento della São João troviamo ad esempio «e in questo bisognerebbe avere molta cura per i grandi rischi che corrono le navi sovraccariche» oppure «(…) si debba avere grande cura dei timoni e delle vele delle navi, causa di tanti disastri quanti sono quelli che si verificano in questo viaggio» (Brito 1992: 7-9). Interpretare però questi testi come meri resoconti didascalici o di ammonimento è riduttivo. Bisogna semmai considerare come l’impresa coloniale portoghese, nonostante l’importanza che essa rivestiva, tra il XVI e il XVII secolo iniziasse a mostrare tutti i propri limiti e le proprie contraddizioni. Infatti, l’ormai innegabile dissesto di questa impresa (speculazione, scarsa preparazione degli uomini e dei mezzi e una generalizzata disorganizzazione) ebbe ampia eco in letteratura9, trovando poi una specifica rappresentazione proprio nel genere delle relazioni di naufragio, il quale avrà poi una propria codificazione definitiva nella raccolta di Gomes de Brito. E questi resoconti, non potendo affrontare direttamente i citati problemi di fondo di tale crisi (e conseguentemente dell’intera società portoghese dell’epoca)10, si caratterizzarono velocemente per lo slittamento delle condanne e delle colpe da un piano generale e inerente all’organizzazione stessa delle spedizioni a quello più circoscrivibile dei peccati o delle colpe personali (Lanciani 1991: 52-60): in pratica, con le parole di Giulia Lanciani (1991: 56) «le ingenti perdite umane, oltre che materiali […] rendevano urgente che il sistema socioeconomico si dissociasse dalle responsabilità […] e le riversasse sui singoli o su gruppi sociali ben delineati». Così in questo tipo di rappresentazioni la smodata avidità o l’egoismo dei singoli diventano, insieme all’avverso destino, le cause di fondo delle tragedie, le quali, se non in pochi casi, non vengono mai ricondotte a una problematica di ordine ben più generale, la quale esigerebbe additare colpe pesanti e scomode. Inoltre, l’ipostatizzazione delle colpe del sistema in quelle più facilmente gestibili della sfera del peccato personale trovò immancabilmente un terreno fertile in un Portogallo nel pieno della sua fase controriformistica.

Soltanto leggendo questi resoconti in un’ottica che veda il naufragio come una giusta punizione dei cattivi11 può essere compreso l’«aspetto gratificante» e la «funzione consolatoria» che tali testi esercitavano sul pubblico a loro coevo (Lanciani 1991: 56). La funzione simbolico-metaforica di questi testi si può evincere anche dall’analisi condotta da Antonio Tabucchi (1979) sulle licenze concesse dalla censura all’opera di Brito, nelle quali appare chiaramente come all’epoca questi resoconti non fossero interpretati solo come dei testi strettamente didascalici ma presentassero anche una funzione esemplare e metaforica esplicita.

Si può quindi forse azzardare che la letteratura di naufragio non solo sia stata assai lontana dal criticare un tipo di organizzazione sociale che fu la causa prima di quelle tragedie, ma che anzi sia stata essa stessa complice e collante per lo status quo di un Portogallo come quello a cavallo tra XVI e XVII secolo. A riconferma di ciò, ancora Giulia Lanciani (1991: 60-63) evidenzia come, curiosamente, la quasi totalità dei resoconti di naufragio sottendano anche una ideologia civilizzatrice ed evangelizzatrice che vuole i portoghesi, quantunque nelle peggiori avversità, unici depositari della volontà divina. Un esempio perfetto di come, nonostante tutte le problematiche (morali come organizzative) il popolo luso e la sua “missione” ne uscissero sempre in maniera positiva o, al massimo, non negativamente.

In tutto questo la narrazione di Camões, pur presentando necessariamente dei tratti in comune, si discosta per la propria autonomia da questa tradizione12. Infatti, dal punto di vista contenutistico e formale, il testo di Camões non rispetta il modello narrativo tipico del resoconto di naufragio individuato da Giulia Lanciani (2006: 80-128). Le motivazioni di ciò appaiono ovvie: il tipo di forma letteraria adottata (in un caso appunto un resoconto in prosa, nell’altro alcune ottave di un poema epico in versi) è completamente diversa, così come lo è il tipo di narrazione e lo scopo della stessa. Ciò permette però a Camões una maggiore libertà di azione: non dovendo attenersi ad alcun modello esplicito o implicito, può rielaborare liberamente le fonti che aveva a disposizione. Grazie a questa libertà – e ciò appare altresì necessario per la struttura epica dell’opera – Camões può sbarazzarsi della componente più strettamente contingente dell’accaduto, per traslarlo invece in un episodio quasi simbolico: se ad esempio nella relazione l’anonimo autore indicava con precisione il numero di leghe percorse, ogni riferimento allo svolgimento concreto della vicenda è invece assente in Camões, nel quale ogni coordinata contingente è tagliata fuori, ponendo l’intera vicenda in una sorta di cornice fuori dal tempo e dallo spazio (Barchiesi 1976: 195-196). Vengono sì citate le sofferenze che già con la relazione avevano destato più scalpore (la morte dei figli e il venir denudata della povera Leonor) ma vengono invece taciute tutte le altre tragedie occorse al resto dell’equipaggio, così come pure non vi è traccia della possibile pazzia che aveva colpito lo stesso Sepúlveda paventata nel resoconto. Le ottave camoniane si soffermano quindi su quegli elementi più strettamente drammatici dell’intera vicenda: ciò non significa che la relazione non presenti i toni necessariamente tragici tipici del genere, quanto semmai che essi siano ridotti – in testi di questo genere – a solo corredo del dato contenutistico inserito nella lenta e dolorosa via crucis metaforica che i superstiti devono implicitamente compiere per assolvere i propri peccati.

Assai diversa appare invece la raffigurazione camoniana, caratterizzata dall’intenso pathos con cui viene abbozzato l’episodio, del quale è sottolineato in maniera preponderante il contenuto amoroso. I termini che definiscono os dous amantes míseros sono intrinsecamente propri della poesia amorosa di stampo petrarchista o di trafila italiana e provenzale: la dama è linda, il cavaliere liberal e enamorado. Il loro amore permetterà loro di affrontare, abraçados, l’orrido destino e la sorte: siamo molto distanti da quella fredda tragicità che avvolgeva la narrazione nel resoconto anonimo. Inoltre è innegabile come l’amore sia una delle materie fondanti dei Lusíadas e di tutta la produzione di Camões, e che esso sia spesso intrecciato a fondo con una componente fortemente drammatica e patetica, come è facilmente intuibile dal dramma amoroso vissuto dallo stesso Adamastor. Non a caso uno degli episodi più famosi dell’intero poema, la rievocazione del dramma di Inês de Castro, presenta una serie di elementi rintracciabili anche nell’episodio della morte di Sepúlveda, come ad esempio l’utilizzo di una terminologia petrarchista comune (il primo aggettivo che descrive Inês è, esattamente come per Leonor, linda) o il topos di un qualche nemico che si avventa sulla misera e indifesa protagonista. Ma a legare i due episodi è, a stretto giro con la tematica amorosa, il presentare gli infausti protagonisti come vittime di qualcosa più grande di loro: nel caso di Inês una terribile ragion di Stato, in quello di Manuel e Leonor un ben più vago negro fado. Da ciò traspare ancora una volta tutta l’autonomia creativa di Camões: al canonico riferimento a un fato crudele e avverso non segue la “necessaria” ipostatizzazione delle colpe che invece è presente, seppur mitigata13, nel resoconto anonimo e nei successivi resoconti di naufragio.

Si può quindi affermare che la trattazione del naufragio della São João affrontata da Camões appaia sostanzialmente autonoma rispetto alla tradizione successiva che renderà tale naufragio esemplare e canonico di tutto il genere specifico: l’episodio camoniano, pur essendo contemporaneo delle prime edizioni del resoconto anonimo, se ne discosta fortemente per un trattamento patetico e drammatico che non troviamo così forte in testi dalla natura e dalle motivazioni assai diverse come erano appunto i resoconti. Ma nonostante l’autonomia dell’episodio, esso deve aver contribuito lo stesso alla formazione di un genere che proprio in quel periodo iniziava ad articolarsi, se non altro per la celebrità che quello riconosciuto universalmente come il più grande poema lusitano iniziò a rivestire nel contesto culturale portoghese già agli albori del XVII: così come per la lirica, Camões divenne presto un punto di riferimento imprescindibile per chiunque scrivesse e quindi presumibilmente anche per tutti i futuri relatori di quei resoconti raccolti poi da Gomes de Brito.

Se appare però problematico individuare come e quanto la lezione di Camões abbia influenzato un genere così specifico e codificato come quello della letteratura di naufragio, ben più rintracciabili e manifeste appaiono le influenze che tale lezione esercitò su testi che, pur trattando della tragedia della São João (o anche di altri naufragi), si allontanarono dal genere specifico delle relazioni. Infatti, in quei testi che ebbero la possibilità di trattare la materia del naufragio con maggior libertà compositiva rispetto ai canoni e alle necessità che i resoconti invece richiedevano, la eco di Camões risuona con maggiore intensità.

A titolo esemplificativo può essere interessante porre l’attenzione su un aspetto curioso che rimanda alla tradizione camoniana in due testi successivi che trattano della vicenda del naufragio della São João: il Naufrágio di Jerónimo Corte-Real, del 1594, e la Elegiada di Luís Pereira Brandão, del 1588.

Il testo di Corte-Real è un lungo poema in ottava rima, dove la materia storica si mescola con quella della mitologia classica, creando un ibrido nel quale gli avvenimenti del naufragio sono giustapposti a figure e scenari fantastici e mitici. Quello di Pereira Brandão è una cronaca sempre in ottava rima che tratta però della spedizione africana di D. Sebastião, corredandola con numerose digressioni, tra le quali una incentrata proprio sulla tragedia della São João, la quale occupa per intero il V canto dell’opera e si attiene più fedelmente alla relazione dell’avvenimento. In entrambi i testi, in primis per la natura epica dell’opera, i richiami dei Lusíadas sono molti e facilmente individuabili. Come suggerito da José Ares Montes (1979: 53-59) risulta però curioso notare come uno specifico episodio camoniano dalle importanti valenze proprio per la tematica del naufragio, come era quello del Velho do Restelo, appaia trasposto in questi due testi. Nella narrazione di Corte-Real infatti una figura assimilabile a quella del Velho do Restelo appare sotto forma di un altro vecchio venerabile che con una profezia mostra quello che sarà il futuro portoghese – con tanto di riferimenti alla spedizione di Alcácer-Quibir – e predicendo anche la morte dello stesso Sepúlveda. Nell’episodio di Brandão il ruolo del Velho è invece impersonato da un membro dell’equipaggio della São João, Pantelão de Sá (al quale, curiosamente, si rivolgeva il venerando nell’episodio di Corte-Real), il quale rivolge una lamentazione direttamente a D. Sebastião per mostrare al re quanto poco hanno coloro che per lui soffrono. Questa prima lamentazione lascia spazio poi a un’altra che riecheggia fortemente delle tematiche fatte proprie dal Velho do Restelo: «Oo cobiça princípio de taes danos (…) vosoutros seguis vossa derrota após dum sonho vão e cobiçoso?»14.

Tenendo presente come questo genere di episodi trovi una sua giustificazione sia nelle logiche interne del genere epico che in molta letteratura iberica del XVI secolo, si deve tuttavia supporre che l’apporto dell’episodio camoniano possa essere stato parimenti importante. In pratica la riproposizione in questi due testi successivi (i quali attingono seppur non dichiaratamente dallo stesso materiale epico di Camões) dell’episodio di Sepúlveda porta con sé la ripresa correlata anche dell’episodio del Velho. Ciò era motivato in Camões da una continuità ideologica tra i due episodi la quale, seppur ibridata, continua evidentemente anche nel Naufrágio e nella Elegiada.

Conclusioni

Alla luce di quanto affrontato finora è innegabile come il naufragio, allo stesso tempo tematica narrativa e possibile eco di una tragedia vissuta, percorra tutta la produzione camoniana e non solo: come affrontato nel breve riferimento al testo curato da Gomes de Brito e agli studi di Giulia Lanciani, appare chiaro quanto l’idea del naufragio, contemporaneamente pericolo concreto e tematica metaforica, abbia percorso in maniera proficua la cultura portoghese dell’epoca. Anche nell’ottica di questa comunanza di tematiche si può leggere il successo e l’importanza che Camões rivestì per i secoli successivi in Portogallo: un autore per il quale, in maniera non dissimile da quella che fu per secoli la situazione storica, politica e ideologica del Portogallo, «il naufragio è similitudine topica e metafora esistenziale di tutta l’opera» (Stegagno Picchio 1980: 41).

Bibliografia

Barchiesi, Roberto (1976), Un tema portoghese: il naufragio di Sepúlveda e la sua diffusione, «Annali (sezione romanza)», Napoli, Istituto Università Orientale, XVIII, 2,  p. 193-231.

Brandão, Luís Pereira (1588), Elegiada, Lisboa, Manoel de Lyra.

Brito, Bernardo Gomes De (1992), Storia tragico-marittima, a cura di D’Intino R., Torino, Einaudi.

Bueno, Eduardo (1990), A viagem do descobrimento: a verdadeira história da expedição de Cabral, Rio de Janeiro, Objetiva.

Camões, Luís Vaz De (2001), I Lusiadi, a cura di Averini R., Tocco V., Mazzocchi G., Milano, BUR.

Corte-Real, Jerónimo (1783), Naufragio e lastimoso sucesso da perdiçam de Manoel de Sousa de Sepúlveda e Dona Lianor de Sá sua molher e filhos, vindo da India para este reyno na nao chamada O Galião Grande S. João que se perdeo no Cabo de Boa Esperança, na terra do Natal. E a perigrinação que tiverão rodeando terras de Cafres mais de 300 legoas tè sua morte, Lisboa, Typografia Rollandiana.

Lanciani, Giulia (2006), Morfologie del viaggio: l’avventura marittima portoghese, Milano, LED.

Lanciani, Giulia (1991), Tempeste e naufragi sulla via delle Indie, Roma, Bulzoni.

Lanciani, Giulia (1979), Os relatos de naufrágios na literatura portuguesa dos séc. XVI e XVII, Lisboa, Instituto de cultura portuguesa.

Marnoto, Rita (2011), Petrarquismo em Camões, in Silva V. M. A. (dir.), Dicionário de Luís de Camões, Lisboa, Caminho, p. 679-688.

Martins, José Cândido De Oliveira (2011), Naufrágio de Sepúlveda, in Silva V. M. A. (dir.), Dicionário de Luís de Camões, Lisboa, Caminho, p. 631-634.

Montes, José Ares (1979), I resti di un naufragio, «Quaderni Portoghesi», 5, p. 45-67.

Santos, Zulmira (2011), (Episódio do) Velho do Restelo, in Silva V. M. A. (dir.), Dicionário de Luís de Camões, Lisboa, Caminho, p. 953-957.

Silva, Vítor Manuel Aguiar e (2011), Forma cancioneiro e as Rimas de Camões, in Silva V. M. A. (dir.), Dicionário de Luís de Camões, Lisboa, Caminho, p. 391-394.

Stegagno Picchio, Luciana (1980), Biografia e autobiografia: due studi in margine alle biografie camoniane. 1. «O canto molhado»: storia di un topos, «Quaderni portoghesi», 7-8, p. 23-52.

Tabucchi, Antonio (1979), Interpretazioni della «História Trágico-Marítima» nelle licenze per il suo «imprimatur», «Quaderni portoghesi», 5, p. 19-43.

Tocco, Valeria (2011), Breve storia della letteratura portoghese, Roma, Carocci.

Note

  1. «[…] il canto, che bagnato / vien dal naufragio triste e miserando; […] avendo i turbini evitato». Questa traduzione, come le seguenti tratte dai Lusíadas sono – se non diversamente indicato – da attribuire a Riccardo Averini (Camões 2001).
  2. E parlando di ninfe in Camões non si può che far immediatamente riferimento a un tipo di ninfe idriadi o acquatiche: di tale tipo sono appunto quelle del Tejo e del Mondego, invocate a più riprese nel corso dei Lusíadas.
  3. Di questa possibile organizzazione unitaria e macrotestuale un esempio può essere il sonetto Enquanto quis Fortuna que tivesse, la cui funzione sembrerebbe essere manifestamente proemiale a un supposto corpus unico di testi lirici.
  4. Infatti nella totalità del testo il lemma compare soltanto quattro volte: due nel canto V e altrettante nel canto X. Nel canto V è inserito nell’episodio di Adamastor; nel canto X una delle due occorrenze è il riferimento al naufragio dello stesso Camões citato prima, l’altra è inserita nella riflessione finale sul popolo portoghese e sulla sua impresa.
  5. «e della prima flotta che i passaggi / ha forzato delle acque tormentate / all’improvviso farò scempio e strazio (…) perché dovrà trovare con molto affanno / morte chi mi scoprì per sua disgrazia».
  6. Nel v. 2 dell’ottava 44 troviamo vingança riferito all’impresa di Dias. Questo verso è però strettamente legato al v. 4 – col quale infatti rima – ove troviamo vossa confiança. In pratica se nel primo dei due versi troviamo posto il problema della tragedia sul piano del singolo navigante, essa va letta nel contesto di un destino nefasto che riguarda tutto il popolo portoghese: infatti vossa non è riferito a Gama e alla sua flotta quanto a tutto il popolo che essi rappresentano.
  7. Le edizioni successive uscirono nel 1564, 1592, 1614 e 1633 (Lanciani 1979: 13-14).
  8. Infatti tale successo si tradusse, nel corso degli anni, in numerose ristampe di questi testi, con tirature tutt’altro che contenute (Lanciani 2006: 61-62).
  9. Una traccia di tale passaggio a una visione non più solamente encomiastica dell’espansione in Oriente lo possiamo già trovare nella famosa commedia di Gil Vicente Auto da Índia (Tocco 2011: 47-50).
  10. Affrontare direttamente il problema non solo non sarebbe stato possibile per via della censura ma anche (e soprattutto) per ragioni di opportunismo che non rendevano conveniente per nessuno ricercare e condannare le effettive responsabilità delle problematicità trattate.
  11. Va tuttavia considerato come parallelamente alla condanna dei singoli per il loro peccati, essi vengano spesso giudicati anche meritevoli di cristiano perdono e venga sottolineato come quello che vanno scontando sia solo un castigo terreno che assicurerà loro la salvezza dell’anima.
  12. Bisogna però ricordare come il testo camoniano sia, di fatto, precedente alla maggior parte dei testi che formano la letteratura di naufragio. Anche adottando come terminus ante quem per la composizione del passo camoniano il 1572, data di pubblicazione dei Lusíadas, la maggior parte dei resoconti di naufragio sarebbe comunque successiva.
  13. La già citata supposta pazzia di Sepúlveda può anche essere letta come un tentativo di attenuare le colpe del capitano della São João riconducendole a uno stato di non completa coscienza di sé.
  14. Elegiada, f. 82: «O cupidigia, inizio di malanni (…) voi perseguite la rotta inseguendo un sogno vano e ambizioso?». Traduzione di Rita Desti (Montes 1979: 58).
Torna in cima