Dall’esilio a Sombras de sueño: significato e rappresentazione dell’isola in Miguel de Unamuno

«Estuvo don Miguel de Unamuno en Canarias en 1910, como mantenedor de Juegos Florales en Las Palmas, y en 1924, desterrado por el General Primo de Rivera, en la isla de Fuerteventura. Unamuno, infatigable descubridor de todos los caminos de España, también pulsó la geografía espiritual de nuestras Islas».

Con queste parole, Alfonso Armas Ayala introduce una raccolta di testi inediti e lettere scritte da Unamuno durante i suoi soggiorni nelle isole Canarie, racchiudendole nel libro intitolato Del Aislamiento y otras cosas (1963), a testimonianza di quanto i giorni di vita vissuti nelle realtà insulari abbiano lasciato traccia e depositato un’impronta nell’interiorità e nelle opere dell’autore. Sorge spontaneo, in termini di isole e mare, richiamare alla mente l’opera teatrale di Unamuno Sombras de Sueño, pubblicata nel 1930 nella collezione Teatro Moderno, adattamento teatrale del previo racconto Tulio Montalbán y Julio Macedo. L’opera è uno dei cosiddetti “drammi della personalità”, un lavoro attraverso cui Unamuno rielabora il mistero della personalità, dell’identità e del doppio attraverso il conflitto tra uomo e personaggio di finzione. I protagonisti, Elvira e suo padre, sono gli ultimi discendenti del conquistatore e colonizzatore di una piccola isola dispersa nella vastità dell’oceano, dove vivono lontano da tutti e lontano dal mondo. Elvira vive di libri e storie fantastiche, tanto che arriva a innamorarsi del protagonista di un’opera intitolata Vida de Tulio Montalbán, la biografia di un personaggio storico scritta dopo la sua presunta morte. Il nucleo centrale del dramma risiede in un personaggio, Julio Macedo, un americano che si presenta come uomo senza passato né futuro e fin da subito desta in Elvira attrazione, curiosità ma anche dubbi e perplessità dovuti alla sua identità indefinita. È in Julio che è contenuto l’elemento fondamentale dell’intera opera: chi è veramente? Elvira continua, nonostante tutto, ad essere innamorata del personaggio protagonista del suo libro che legge con devozione ogni giorno di fronte al mare, ma è costretta a constatare che Julio Macedo, il pellegrino giunto sull’isola un giorno come tanti, e quel Tulio Montalbán che tanto ama, non sono altro che la stessa persona. Quello di adesso, l’uomo misterioso giunto sull’isola, lottò con sé stesso desiderando distruggere la sua personalità storica, il personaggio letterario. Per poter esistere definitivamente come Julio Macedo è necessario eliminare il proprio passato, rompere definitivamente con Tulio Montalbán e come farlo se non ricorrendo al suicidio come mezzo liberatorio? Non si può eliminare l’altro, se questo è inscindibile da noi stessi. Julio Macedo è certamente vittima di una scissione interna, la scissione tipica di chi vuol essere sé stesso ma che, inevitabilmente, si vede surclassato dal personaggio di finzione che lo rappresenta. Come lo definisce Andrés Franco, «está en busca de su personalidad auténtica, su ser intrahistórico pero se halla amenazado por su papel histórico, por el personaje». Sebbene l’opera sia ricca di spunti interessanti riguardanti questioni ampiamente dibattute dalla critica letteraria e collocabili come centrali nel pensiero intellettuale e teatrale di Unamuno, è interessante tentare di approcciarsi ad essa attraverso due elementi, l’isola e il conseguente senso di distacco dal resto del mondo ad essa connaturato e il mare, parte integrante di questo microcosmo a sé, che più che semplici entità letterarie assumono la forma di personaggi, se vogliamo ancora più influenti dei personaggi in carne ed ossa, di quelli che parlano e agiscono. È lo stesso Unamuno, in un’intervista concessa nel 1928 allo scrittore José Forns, a dichiarare: «el ambiente es lo primordial en esta obra…, ambiente de isla, de esas islas que yo he recorrido luego, palmo a palmo, y dentro de cuyos cascarones he comprendido por primera vez en mi vida, la verdadera amplitud de la palabra “aislamiento”»1.

L’isola comunica, per propria natura, una sensazione non solo fisica ma anche spirituale di distacco e lontananza e Unamuno la tratta con tanta attenzione probabilmente perché egli stesso ha potuto sperimentarne la potenza e l’essenza. Ancora una volta siamo di fronte ad un’opera che prima di incarnare il dramma dei suoi personaggi, mette in scena quello del proprio autore. L’isolamento non è solo condizione dei protagonisti e di chi abita la piccola isola che fa da sfondo all’opera, ma è stato vissuto dall’autore sulla propria pelle. È stato sentito attraverso le sue emozioni e quelle degli amici conosciuti in esilio ed è stato poi rivissuto attraverso la riflessione, la rievocazione del ricordo e i sentimenti che Don Miguel comunica al lettore e allo spettatore tramite l’eco della propria voce, perché se l’uomo è l’assoluto protagonista delle sue opere quell’uomo è, in primis, l’autore stesso. Come lo definisce Andrés Franco nell’opera El teatro de Unamuno (1971) «el espiritu de aislamiento» permea l’intera opera di Unamuno, è palpabile attraverso le parole dei personaggi che sebbene non descrivano minuziosamente l’ambiente ne comunicano le caratteristiche grazie alle emozioni. L’autore ha cura di introdurre l’opera sottolineando che solo chi vive in un’isola, senza poter uscire e andare oltre, può comprendere il vero significato della parola isolamento; solo chi vive in una terra dove piove appena, dove il terreno è secco e ardente, ma dove si sogna e si vive di speranza, può capirne l’essenza fino in fondo. «Qué terrible palabra esta de aislamiento. Solo los que vivimos en una isla así, sin poder salir de ella, lo podemos comprender…» sono le parole che l’autore fa pronunciare al personaggio protagonista di Sombras de sueño, dramma in cui il mare è elemento onnipresente e dalla forma quasi personificata. Unamuno predilige l’uso dell’articolo femminile la per rivolgersi all’elemento marino. «La mar» figura persino nella lista dei personaggi e il rivolgersi ad esso indicandolo come elemento femminile conferisce alla grande distesa blu un senso di maternità. Il mare è la madre dell’isola, l’abbraccia e la protegge, ne culla il ritmo vitale. Tutto, in questo dramma della personalità, avviene sotto lo sguardo vigile e attento del mare. È il luogo preferito da Elvira, la protagonista, per leggere, sognare, fantasticare. È il luogo in cui Macedo incontra quella che crede essere la donna che darà nuovo inizio alla sua vita e dove, al termine dell’opera, si suiciderà. È il luogo che somiglia tanto a una fanciullezza eterna e sospesa e che per questo è simbolo e strumento per rappresentare al meglio l’eternità e l’infinito delle cose che esistono. Inoltre, il mare è espressione dei sentimenti dell’autore ed egli, com’è sua consuetudine, non ne fa mistero. È proprio lui a trasformare il mare da entità naturale a vero e proprio stato d’animo. In uno dei suoi componimenti facenti parte del libro De Fuerteventura a París afferma che proprio a Fuerteventura ha potuto conoscere il mare, entrare in rapporto mistico con esso, così da assorbirne l’anima e fonderla con la propria. L’isola è un ricordo talmente vivo nella mente e nel cuore dell’autore che decide di trasferirlo nella propria opera e di intensificarne la potenza grazie alle voci dei personaggi.

ELVIRA.- Digo, Julio… ¿no le parece, Julio, que la mar es como la niñez, una niñez eterna? ¿No siente junto a ella, jundiendo en ella con la mirada el alma, que se hace niño, que nos hacemos niños? ¿No siente…?

E ancora, il mare è protagonista anche del suicidio di Julio e del momento successivo alla sua morte, quando don Manuel intima a sua figlia di bruciare qualsiasi cosa per eliminare ogni traccia dell’isola e della storia di essa ormai macchiata dalla morte dell’uomo, ma è proprio Elvira a sottolineare che tutto può essere cancellato tranne che il mare.

SOLORZANO.- ¡Hay que quemarlo todo… todo! ¡Acaso habría que quemar la isla! Que resuscite el volcán! ¡Quemarlo todo…, todo…, todo! ¡Quemar la historia!

ELVIRA.- ¡Menos la mar, padre! ¡Mirala! ¡Como si no hubiese pasado nada! ¡Como si no hubiese historia! ¡Mirala! Mientras haya mar no habrá aislamiento…

Come testimonianza delle origini di Sombras de Sueño rimangono le parole dell’autore stesso, scritte di suo pugno in un articolo necrologico pubblicato nel 1910 in La Mañana: «El recuerdo que con esa isla canaria me une ha quedado consagrado por la muerte; entre ella y mi Salamanca flotará siempre en mi memoria aquel Macías». Con questa dichiarazione conferma poi che l’idea nacque proprio dai racconti di quel defunto giovane, tale Macías Casanova, abitante delle Canarie, uomo molto intelligente che aveva vissuto una vita all’insegna del completo isolamento; critico del dramma unamuniano La Esfinge, sarebbe la fonte d’ispirazione per la composizione dell’opera ma anche una delle personalità più significative conosciute e frequentate da Unamuno durante i soggiorni che gli hanno permesso di sperimentare e sentire sulla pelle la condizione esistenziale dell’isolamento.

Un’esplorazione da dentro

Unamuno soggiorna nelle isole già nominate non come un semplice visitatore, bensì come «concienzudo viajero»2, che con le sue parole scritte e pronunciate riesce in modo naturale e talvolta spiazzante a mettere a nudo la vera anima dell’isola, quello che Armas Ayala nella sua opera Del Aislamiento y otras cosas (1963) definisce «el tono claro-obscuro de la ínsula», evidenziandone i caratteri in modo veritiero e mai condito da ornamenti retorici. L’esplorazione e la descrizione che Unamuno fa delle realtà insulari che lo ospitano provengono sempre da dentro, sono viaggi condotti attraverso la propria interiorità per portare alla luce l’intimità dell’isola stessa fino ad incontrare, come egli stesso dirà in un discorso pronunciato a Las Palmas, «esa eterna palabrería de la eternidad». Gran Canaria, poi Fuerteventura e per ultima Tenerife, visitata in modo più turistico ma comunque esplorata alla sua maniera personalissima, sono le isole che donano a Unamuno la conoscenza di quell’istanza fisica, geografica ma soprattutto esistenziale rinominata «aislamiento, el atosigante, el orgulloso y feroz aislamiento». Un elemento inscindibile dall’isola e per questo fondamentale nell’intera riflessione unamuniana; è in esso che don Miguel rintraccia la vera essenza di quelle terre sospese in mezzo al mare, le virtù ma anche i difetti di esse dipendono da questa imprescindibile caratteristica che le rende microcosmi a sé stanti e per questo, forse, unici. Tra le persone e le personalità che ha occasione di conoscere durante la sua permanenza nelle isole Canarie, si ricordano in particolare un poeta, Alonso Quesada, un ensaysta conosciuto come Fray Lesco (il vero nome era Domingo Doreste), e il già citato Macías Casanova, il giovane scrittore che più degli altri lasciò traccia nei ricordi e nel cuore di don Miguel. Se questi, da una parte, furono coloro che seguirono, supportarono e ammirarono Unamuno, dall’altra è risaputo quanto la sua presenza ai giochi floreali e le sue orazioni non vennero accolte con il fervore e il favore sperato.

I giochi floreali del 1910

Unamuno non venne compreso e le sue parole, caratterizzate dalla desnudez, tipica anche delle sue opere teatrali, non piacquero al pubblico isolano.

«No me gustan estas fiestas, no porque no aplauda las liturgias, sino porque profanan la palabra humana en su forma más sublime: la poesía». Con queste parole apre il suo discorso a Las Palmas nel 1910 e continua, a discapito delle aspettative degli abitanti isolani – che speravano di potersi deliziare con belle parole, complimenti ed elogi – a rimanere sulla scia del semplice dialogo, della critica a volte pungente e diretta che destabilizza gli ascoltatori, frastornati da quelle orazioni complesse e ricche di lezioni che Unamuno impartisce alla sua maniera. Risulta difficile, agli occhi di quel pubblico isolano, capire fin dove volesse spingersi quell’oratore; fu il fatto di non sapere se si trattasse di un liberale o di un conservatore, di un cattolico o di un libero pensatore, di un repubblicano o un monarchico, a far rimanere interdetto e sbigottito un pubblico che si era recato ad ascoltare il discorso di un oratore politico e si era, inaspettatamente, imbattuto in un «profesor dictando su lección, una hermosa lección de españolidad y de historia». Unamuno consiglia agli abitanti dell’isola di cominciare ad interessarsi e preoccuparsi di problemi più grandi, a livello universale, che vadano oltre i confini della loro realtà lontana dalla terraferma e parla dell’isolamento, del distacco che caratterizza l’isola attraverso tali parole:

Antes de venir aquí, había hablado con muchos hijos de esta tierra, había leído periódicos, había oído a muchas gentes; después he oído a los que me han hablado y a los que no me han hablado… y creo que tenéis un problema: el de vuestro aislamiento. Vivís aislados y vivís aislándoos… Vivís aislados; y lo que hace vuestra fuerza hace vuestra debilidad. Por aquí pasan buques de todas las naciones de la tierra; pero también pasan por encima las nubes; y de qué sirven sino descargan? Esto es a modo de un mesón, donde se descansa, se deja algo de la bolsa, pero nada del espíritu. Os encontráis con un horizonte cerrado; el mar os estrecha y os entrega a vosotros mismos.

E utilizzando le stesse formule che aveva scritto nelle sue poesie e nelle numerose lettere inedite inviate agli amici, conferma anche in occasione dei discorsi ai giochi floreali la sua idea di aislamiento. È interessante riportare le parole che dedica a Gran Canaria nelle pagine dei suoi Ensayos: ¡Que lejos del mundo en aquella quebrada de los Tilos, entre los tilos y los eucaliptus! Era como un aislamiento más en el aislamiento de la isla… ”.

Oppure, nelle lettere indirizzate ad Alonso Quesada e Francesco Gonzalez Díaz, giornalista e oratore che risulta essere tra i suoi corrispondenti in quegli anni:

Le veo suspirando en su jaula, en su isla -tanto la exterior o geográfica como la interior- y suspirando por libertad. Y créame, es mucho más dulce cantar enjaulado a la libertad, que estar libre y sin canto. Nadie canta lo que no tiene”.

“Defiéndase de la nube, defiéndase sobre todo del aislamiento cuyo más profundo sentido no alcancé hasta que visité esa isla. La soledad es una cosa; el aislamiento, otra. Se puede vivir solo en medio de la plaza pública, hablando y trajinando con todos, y aislándose se puede llevar el tráfago todo mundano a su islote. Pues hasta hay el aisloteamiento.

Ma più di tutto, Unamuno mette in evidenza il fatto che i problemi di interesse nazionale o internazionale non tocchino l’isola da vicino, che i suoi abitanti ne rimangano fuori, letteralmente isolati. È proprio durante uno dei discorsi che intima gli isolani di interessarsi dei problemi a livello spagnolo, europeo, mondiale, mettendoli di fronte alla cruda verità: «Si no os interesáis vosotros en los problemas de España, de Europa, en las grandes cuestiones humanas, ¿cómo queréis que se interesen por vosotros?». Per fare in modo che anche l’isola divenisse parte dei problemi di interesse d’oltremare, dice Unamuno, occorre che il mare stesso diventi una strada, un percorso che unisce e non più un confine da non oltrepassare. È interessante sottolineare come l’isolamento viene inquadrato da Unamuno non solo come qualcosa di appartenente alla realtà isolana, ma anche alla Spagna stessa, che è «aislada de si misma» e può uscire da tale condizione soltanto attraverso e grazie alla «conciencia ciudadana». Come lo definisce Ayala (1963), don Miguel è un «hombre de la urbe» che per questa ragione crede fermamente nella rettitudine morale dei cittadini, degli uomini di città come lui. Quindi, la soluzione risiede proprio in coloro che sono abitanti della città, ed è a loro che Unamuno si raccomanda e si rivolge: solo la città, scossa dal proprio letargo e animata da uno spirito nuovo è in grado di donare nuova forza e vigore all’isola.

Las ciudades son las conciencias de las regiones; y la conciencia es ciudadana. Haced, pues, ciudad, con división os in ella; con autonomía o sin autonomía.

Ed era quindi necessario che venisse assunto l’atteggiamento di orgoglio collettivo da parte di tutti, anziché di vanità, ma anche questo invito di Unamuno viene frainteso dal pubblico isolano che si sente, paradossalmente, ferito nella propria vanità.

Legami isolani: Quesada e Macías, due fedeli sostenitori

Il ruolo di oratore ai giochi floreali per Unamuno termina a Las Palmas e se è vero, da una parte, che il pubblico accorso ad ascoltarlo non lo comprese, dall’altra poté contare sull’appoggio sincero di pochi che rimasero ammaliati e vennero trasportati dal fervore delle sue parole. Tra questi è importante ricordare il legame che Unamuno strinse durante il soggiorno isolano con il poeta Alonso Quesada3. Nei primi versi dell’opera dal titolo El lino de los sueños, Quesada si rivolge direttamente a don Miguel, dedicandogli tali parole: «Mi dulce silencioso pensamiento va hacia ti, don Miguel, maestro y amigo».

Nel prologo che scrive all’opera di Alonso Quesada, Unamuno non manca di menzionare il periodo trascorso in quelle che definisce «Islas Afortunadas», luoghi popolati da anime che «en aquel a-isla-miento alientan y ansian».  Alonso Quesada, sostiene Unamuuno, pur vivendo come un uccellino in quella «dorada jaula» – così si riferisce all’isola in una delle tante lettere che invia all’amico – riesce a spiccare il volo attraverso le sue parole, il potere dei suoi versi, le sue poesie. Proprio nel prologo che redige per l’opera dell’amico, don Miguel sottolinea ancora una volta quanto la capacità di Quesada di rendere meno arido il terreno dell’isola con i suoi versi e la sua poesia, di rinvigorirla con il suo sorriso e il suo canto, derivi paradossalmente dalla condizione di «aislamiento». Una poesia, quella di Quesada, definita più volte da Unamuno «seca y ardiente, con frescura de brisa doméstica, cierta infantilidad, ironía y malicia». Ogni parola, ogni verso e strofa bagna l’isola, ne sfiora le coste e la culla, proprio come onde del mare, proprio come mareggiata e tempesta se c’è bisogno di scuoterla e svegliarla dal sonno e dal torpore. La poesia di Quesada è, per questa ragione, «mar de corazón».

Estos cantos te vienen, lector, de un mar interior, de un mar de corazón que se ha dormido hace cien anos, mucho antes de que el poeta naiese, que lo recibio ya dormido…

Sempre in termini di legami che Unamuno ebbe occasione di coltivare e far fiorire durante la permanenza nelle isole, menzione a parte merita un altro sostenitore, giovane abitante delle Canarie, nonché già individuato come la probabile fonte d’ispirazione per la composizione dell’opera Sombras de sueño. «Siempre he creído en él como un Mesías» afferma Macías4 in un articolo piuttosto esteso scritto di suo pugno, dichiarando così apertamente la sua incrollabile ammirazione nei confronti di Unamuno.  Oltre a scrivere per La España, La Ciudad, La Mañana, è importante ricordarlo qui per la passione e l’ammirazione nutrite nei confronti di Unamuno, tanto che dopo il suo arrivo sull’isola comincia a tenere conferenze per parlare delle opere del maestro, ne scrive nei suoi articoli e cura la rassegna teatrale per il debutto dell’opera La Esfinge. Alfonso Armas Ayala lo definisce «sin duda el unamunista mas fiel que encontró y que dejó Unamuno en la isla». È certamente un discepolo in tutto e per tutto di don Miguel; segue i suoi passi e si erge a difensore del maestro nei confronti di coloro che non sanno apprezzarlo, di coloro che non ne comprendono la profondità, l’arguzia e quell’inquietudine spirituale, come la definisce Ayala, che contraddistingue Unamuno tra tanti. Come Unamuno, Macías si interessa dei problemi della società e ne denuncia le ingiustizie e l’atteggiamento di indifferenza, appoggiando i popoli che lottano e combattono con fiducia e fede e come Alonso Quesada continua a vivere «aislado», dentro la gabbia dorata abbracciata dal mare. È Macías, conferma Unamuno, ad avergli donato lo spunto per comporre il dramma teatrale già citato di cui l’isola e il mare sono indiscussi protagonisti.

Fuerteventura, l‘isola indimenticabile

Unamuno sbarca a Fuerteventura il 10 marzo del 1910 in compagnia di Rodrigo Soriano, un altro esiliato politico per volere del governo del dittatore Primo de Rivera. Ayala, nella sua opera De Aislamiento y otras cosas, dedica al periodo trascorso in esilio un capitolo dal titolo emblematico, El desterrado camina solo5 ed è interessante riportare qui i dettagli di quel lasso di tempo in cui Unamuno poté davvero sperimentare il senso di isolamento di cui precedentemente si è parlato solo in termini astratti. Adesso don Miguel è solo con sé stesso e non è forse questa la miglior occasione per conoscersi e tentare di sondare in profondità la propria personalità? Quella personalità identificata come un’entità misteriosa, impossibile da decifrare nella sua totalità e per questo tanto interessante.

È lo stesso Unamuno nell’articolo Fecundidad del Aislamiento (1918) a confermare quanto la solitudine, il tempo trascorso in compagnia di sé stessi porti a scoperte fondamentali: «¿Y cuál es la más íntima y fecunda verdad que un solitario puede descubrir? La más íntima y fecunda verdad que un solitario puede descubrir es su propria alma». Ecco come si giunge alla parte più profonda di noi stessi: attraverso la solitudine. Walt Whitman, sostiene Unamuno, aveva compreso l’importanza di mettersi in contatto con sé stesso e la trasferiva in atti concreti di pura material soledad. Quando scriveva «I am mad for it to be in contact with me» aveva davvero sperimentato che cosa significasse abbracciarsi, spogliarsi dei vestiti e delle paure per toccare nel profondo l’anima. E lo faceva in posti solitari, andava in luoghi come spiagge e boschi per poter passare attimi preziosi con sé.

En el aislamiento encuentra uno en sí, no al hombre primitivo, prehistórico o troglodítico, pues éste surge de la masa y es él mismo masa, sino al hombre nuevo, al hombre propio.

È nella condizione di isolamento che l’uomo incontra sé stesso e non è l’unico esempio, quello di Whitman, che Unamuno riporta nell’articolo sopracitato. Anche il naturalista tedesco Moritz Wagner sostiene che è nello spazio, in quella che definisce «segregazione geografica» e quindi isolamento che si producono nuove specie; un certo numero di individui, che si somigliano per determinati caratteri gli uni con gli altri, se vengono separati da una barriera o confine geografico producono, a causa della pura e semplice separazione, la nascita di nuove caratteristiche della specie. Non è forse questa la fecondità dell’isolamento di cui si parla nel titolo dell’articolo? Una condizione che, paradossalmente, può portare alla conoscenza e alla creazione di sé in modo molto più profondo rispetto ad una situazione di contatto con altri. È così che Unamuno trascorre i suoi giorni in esilio a Fuerteventura, solo. L’Hotel Fuerteventura, ci informa Ayala, è l’unica pensione del luogo ed è il posto che per don Miguel diventerà una casa per più di tre mesi. Le giornate trascorrono all’insegna della lettura sulla riva del mare, sotto il sole durante la mattina, della composizione di nuovi versi e articoli. Le ultime ore della sera, invece, sono dedicate a quella «tertulia frente al mar» durante la quale don Miguel si pone in rapporto mistico col mare, gli parla come durante un soliloquio proveniente dalla parte più profonda di sé. «Diríase que la isla proporcionó a Unamuno no sólo sustancia, sino cualidad; porque los adjetivos, los atronadores adjetivos de su poesía y de su prosa parecen haber nacido en el sosiego de Fuerteventura», sostiene Ayala ed è proprio in queste parole che è contenuto il vero significato dell’esilio di Unamuno sull’isola: essa diventa parte di lui ed egli lo lascia entrare, nella sua poesia, nei suoi versi e, più tardi, nei suoi drammi teatrali di cui, come in Sombras de sueño, è indiscussa musa ispiratrice e protagonista attiva. Un esilio, un isolamento che lascerà non poca nostalgia nel cuore del poeta ma soprattutto un ricordo, un’impronta indelebile nella sua anima. È lo stesso don Miguel a confermare quanto sia grande il salto da una terra arida in mezzo all’oceano a una città rumorosa e caotica come Parigi, nel suo De Fuerteventura a Paris, testo che si incentra su una comparazione tra i due luoghi vissuti dal poeta e sperimentati in ogni sua sfumatura.

«¿Y dónde estaba más cerca de la civilización, de la civilidad eternas e infinitas? ¿Allí en la isla arida y sedienta, a la que briza el sueño el arrullo del Atlantico africano, o aquí, en la Ciudad Luz, a la que no deja dormir en paz el traqueteo de los autos?». Così comincia Unamuno un confronto tra due realtà, due universi così lontani e differenti. Da un gruppo di giovani parigini sopra un cammello nella via dei Campi Elisei – un cammello di lusso ci tiene a precisare don Miguel – l’autore vola con la mente a Fuerteventura, dove i cammelli non sono certo simbolo di lusso e di passatempo, non servono per fare sfoggio di ricchezza ma, al contrario, sono indice di povertà e di fatica, di duro lavoro. Ma non è forse in questo che risiede la differenza vera e propria tra Parigi e Fuerteventura? Il caos e la velocità delle automobili, quella vita frenetica e senza sosta della città, su che base è una vita più civilizzata rispetto a quella dell’isola? Dove ci si sposta con i cammelli e il tempo sembra scorrere più lento rispetto al ritmo andante della città, ma dove certamente non si è persa l’essenza dell’esistenza stessa.

Cuando allí, en la isla, me llegaban las noticias de la metrópoli con ocho, diez, alguna vez quince días de retraso, mi estómago mental estaba ya preparado para recibirlas y digerirlas. Aquí, en Paris, me entero acaso de más sucesos, pero allí en la isla, me enteraba mejor de los hechos.

Tutto sull’isola arriva in ritardo, come le notizie che Unamuno aspetta dalla sua patria eppure, ai suoi occhi e nel ricordo, sembra essere depositaria di una ricchezza quasi eterna che invece la città, con il suo ritmo inarrestabile, non può mantenere viva. Ed è proprio nelle ultime righe del testo che tiene a precisare la differenza sostanziale tra le parole suceso e hecho: «Suceso, ya lo sabéis, es lo que sucede, lo que pasa. Mientras que hecho es lo que se hace y se queda así, hecho, lo que queda». Questo è il vero nucleo, la vera linea che separa Parigi da Fuerteventura, la città dall’isola: la prima è certamente più ricca di sucesos, eventi, ma non potrà mai superare l’isola per ricchezza in termini di quelli che Unamuno definisce hechos permanentes. Quello che importa davvero è ciò che rimane, come un’impronta, un solco dell’anima, come l’isola nel cuore di Miguel de Unamuno: «¡Ay, mi isla inolvidable!».

Bibliografia

Armas Ayala, Alfonso (1963), Del aislamiento y otras cosas. Textos inéditos de Miguel de Unamuno, «Anuario de Estudios Atlánticos», Vol. 1 Núm. 9 (consultato il 02/10/2020).

Franco, Andrés (1971), El teatro de Unamuno, Insula, Madrid.

La Nuez Caballero, Sebastián De (1981), Novela y drama de Tulio Montalbán, «Revista de Filología de la Universidad de La Laguna», p. 11-32 (consultato il 29/09/2020).

Olson, Paul R. (2016) Metaficción y metafisica en Tulio Montalbón y Julio Macedo, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, Alicante (consultato il 29/09/2020).

Unamuno, Miguel De (1924), De Fuerteventura a París, «Caras y Caretas»
Buenos Aires (consultato il 02/10/2020).

Unamuno, Miguel De (1918), Fecundidad del Aislamiento, «Nuevo Mundo» Madrid (consultato il 02/10/2020).

Note

  1. La parola per Unamuno non indica soltanto la condizione geografica dell‘isola, ma il suo significato si allarga allo spettro dell‘interiorità umana e dell‘anima: essere isolati è uno stato d‘animo, una dimensione spirituale in cui ci si scopre e si tenta di esplorare l‘insondabile entità della personalità.
  2. Alfonso Armas Ayala definisce così Miguel de Unamuno nella sua raccolta  Del Aislamiento y otras cosas, per sottolineare le intenzioni profonde dell’autore in visita alle isole: non esplorarle da semplice turista e visitandone i luoghi di maggior attrazione, bensì sondarne le profondità, gli aspetti più reconditi proprio come se avessero un’anima.
  3. Alonso Quesada figura come uno dei destinatari delle lettere che Unamuno scrive negli anni del soggiorno isolano. La sua prima raccolta poetica, El lino de los sueños (1915), apparve con un prologo di Unamuno ed è lo stesso Don Miguel a sottolineare nei suoi testi inediti redatti durante gli anni trascorsi sulle isole, che Quesada è il perfetto esempio di poeta che ha reso l’isolamento fisico e spirituale il punto di forza della sua poesia, ironica e intimista allo stesso tempo.
  4. Nativo dell’isola della Gomera, contemporaneo di altre importanti personalità del tempo come Quesada, Morales e Doreste, è appassionato lettore di Uamuno e Ganivet e impegnato con fervore nel giornalismo, Macías spicca indubbiamente tra le figure più significative di quel «noventaiochismo insular».
  5. Nel capitolo sono presenti maggiori informazioni sull’arrivo di Unamuno a Fuerteventura. Il 10 marzo del 1924, sbarca a Puerto de Cabras insieme a Rodrigo Soriano, un repubblicano esiliato per volere del Governo del generale Primo de Rivera. Entrambi, allo sbarco, vengono scortati dalla polizia.
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