La dialettica del tempo nello Zauberberg di Thomas Mann

Was ist die Zeit? Ein Geheimnis, — wesenlos und allmächtig. Eine Bedingung der Erscheinungswelt, eine Bewegung, verkoppelt und vermengt dem Dasein der Körper im Raum und ihrer Bewegung. Wäre aber keine Zeit, wenn keine Bewegung wäre? Keine Bewegung, wenn keine Zeit? Frage nur! Ist die Zeit eine Funktion des Raumes? Oder umgekehrt? Oder sind beide identisch? Nur zugefragt! Die Zeit ist tätig, sie hat verbale Beschaffenheit, sie »zeitigt«. Was zeitigt sie denn? Veränderung! Jetzt ist nicht damals, hier nicht dort, denn zwischen beiden liegt Bewegung. Da aber die Bewegung, an der man die Zeit mißt, kreisläufig ist, in sich selber beschlossen, so ist das eine Bewegung und Veränderung, die man fast ebensogut als Ruhe und Stillstand bezeichnen könnte; denn das Damals wiederholt sich beständig im Jetzt, das Dort im Hier. Da ferner eine endliche Zeit und ein begrenzter Raum auch mit der verzweifeltsten Anstrengung nicht vorgestellt werden können, so hat man sich entschlossen, Zeit und Raum als ewig und unendlich zu »denken«, – in der Meinung offenbar, dies gelinge, wenn nicht recht gut, so doch etwas besser. Bedeutet aber nicht die Statuierung des Ewigen und Unendlichen die logisch-rechnerische Vernichtung alles Begrenzten und Endlichen, seine verhältnismäßige Reduzierung auf null? Ist im Ewigen ein Nacheinander möglich, im Unendlichen ein Nebeneinander? Wie vertragen sich mit den Notannahmen des Ewigen und Unendlichen Begriffe wie Entfernung, Bewegung, Veränderung, auch nur das Vorhandensein begrenzter Körper im All? Das frage du nur immerhin! (Mann 1952: 440)

Introduzione

Il tema del tempo è tradizionalmente riconosciuto come uno dei principali Leitmotive all’interno dello Zauberberg, definito dallo stesso Thomas Mann uno «Zeitroman in doppeltem Sinn» (Mann 1952: 15) per la compresenza di un tempo storico, che fa da cornice alla narrazione (gli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale) e di un’indagine sul tempo puro (reine Zeit). Le riflessioni contenute nell’opera rispecchiano generalmente l’indagine sulle accezioni di spazio e tempo all’inizio del sec. XX, ripresa con vigore in seguito a nuove scoperte scientifiche e mutamenti storico-sociali. Nel presente studio ci si è proposti di analizzare queste categorie concettuali nel celebre romanzo manniano,tenendo conto del progresso scientifico, in particolare come reazione alla teoria della relatività di Einstein. A differenza del nutrito corpus di testi che esaminano la rivalutazione di spazio e tempo in ambito filosofico, sono più infrequenti e di recente pubblicazione gli studi che si occupano degli esperimenti mentali e delle scoperte nell’ambito della fisica, che pure ebbero un riscontro comprovato nel pensiero dello scrittore. Con ciò, non si vuole sostenere che egli nutrisse particolare fiducia nella validità della teoria di Einstein, le cui idee peraltro vennero non raramente accolte con scetticismo dai contemporanei; si è invece mirato a evidenziare che, negli anni di stesura dello Zauberberg, il dibattito scaturito dalla loro diffusione fu pervasivo e si servì di strumenti divulgativi che resero le informazioni accessibili ai non esperti. Se anche Mann non abbracciò del tutto il pensiero di Einstein, esso ebbe comunque un ruolo non secondario nella trattazione del tempo all’interno del romanzo. Del resto, la letteratura consente agli scrittori di ragionare sulle teorie scientifiche, senza i vincoli di accuratezza imposti agli studiosi: ciò non ha solo arricchito la produzione letteraria, ma ha talora contribuito a fornire punti di vista meno rigidi alla riflessione scientifica, nel perseguire quello che è un obiettivo comune a entrambe le discipline, ossia dare un senso all’esperienza (Beer 1990: 86-89).

Partendo da un’analisi del contesto storico in cui si colloca la stesura dello Zauberberg, ci si è concentrati sulla dialettica tra letteratura e scienza e sui piani di sperimentazione che caratterizzarono il Modernismo. Riconoscendo il ruolo fondamentale delle novità scientifiche nella rifigurazione del paesaggio culturale coevo, si sono poi illustrati i concetti fondamentali della relatività einsteiniana, esaminandone i riscontri al di fuori della comunità scientifica, soprattutto nella stampa divulgativa. Sulla base del punto di vista manniano che il flusso temporale sia percepibile solo in relazione al cambiamento spaziale, ci si è successivamente focalizzati sullo sconfinamento di ciclicità e monotonia nell’atemporalità – sensazione amplificata dalla mancanza di mutamenti visibili, che nel romanzo trovano soprattutto cause atmosferiche. Ci si è infine concentrati sulla centralità del capitolo Schnee, in cui Mann costruisce un esperimento concettuale al fine di convalidare le sue idee di spazio e tempo come elementi dipendenti dall’esperienza soggettiva.

Modernismo e sperimentazione formale: Erzählzeit vs. erzählte Zeit

Nei sanatori di Davos, la società europea – ipnotizzata dal fascino per la morte – sembra abbandonarsi al proprio declino storico-sociale, immergendosi in una routine morbosa a scopi apparentemente curativi e rifuggendo da ogni responsabilità nei riguardi del mondo sottostante; la vita che vi si conduce, sintomo della mancanza di una ragione incondizionata per la propria esistenza (Karthaus 1970: 273), è principalmente caratterizzata da inerzia e riflette allegoricamente la crisi in cui si trovava la Germania all’affacciarsi del nuovo secolo (Eubanks 2017: 258). L’intenzione di Mann è offrire un affresco dell’Europa prebellica, nella convinzione che «l’uomo non vive solo la sua vita personale […], ma anche […] quella della sua epoca» (Mann 1990: 53). Ma nello Zauberberg si intrecciano vari tipi di “transizione”, che danno contezza della profonda instabilità europea a inizio Novecento (Gesler 2000: 130), nel momento in cui diverse scoperte scientifiche rivoluzionano la percezione della realtà e delle capacità cognitive umane, dimostrando – tra le altre cose – che l’atomo è soggetto a decadimento, mentre le teorie di Einstein sulla relatività stravolgono le precedenti concezioni di spazio e tempo; le riflessioni di Freud sull’inconscio minano l’idea che la coscienza sia garante della totalità dell’individuo e lo smantellamento dei grandi sistemi metafisici costringe alla ricerca di nuovi paradigmi, anche sul piano filosofico1. È pur vero che, quando Hans Castorp arriva al Berghof, non ha familiarità con queste nuove idee e alla notizia che nel sanatorio si pratica la psicoanalisi reagisce con una risata di scherno (Mann 1952: 31); tuttavia, durante la sua permanenza a Davos ha modo di entrare in contatto con le ultime teorie scientifiche, oltre che con tecnologie inedite2 ed è costretto a rivalutare la sua percezione del mondo, inclusi i propri valori e pregiudizi sociali (Gesler 2000: 130).

Il conflitto tra tempo soggettivo e storico, tra il tempo della “pianura” e quello montano del Berghof è dunque solo una parte dell’esperimento di pensiero veicolato dal romanzo (Ricoeur 1988: 129-30). Esso rispecchia una strategia tipica della narrativa modernista, orientata alla sperimentazione letteraria e linguistica su modello dei test scientifici, talora sfidandoli con premesse alternative, volte a verificarne le implicazioni (Caracheo 2017: 41). Il Modernismo è comunemente inteso come reazione ai nuovi sviluppi storico-sociali degli anni 1910-1940 (Fokkema 1988: 318) e si caratterizza per un rifiuto dello storicismo3, del positivismo scientifico e del realismo artistico precedenti (Kovaloski 2009: 337). Tra gli elementi che definiscono lo Zauberberg un’opera modernista, Kovaloski (2009: 321) riserva particolare attenzione alla “performatività”4, sulla base del pensiero di Paul Sheehan (2002: 15), secondo il quale «il romanzo modernista libera il potere performativo latente della narrazione introducendo irregolarità formali» e del concetto di performative narrative, che il filosofo Homi Bhabha contrappone a pedagogical narrative. A differenza del secondo tipo di narrazione – la quale subordina l’esperienza individuale a valori preesistenti, al fine di conservare «una tradizione, […] un sistema stabile di riferimento» (Bhabha 1994: 35) – la “narrativa performativa” predilige un rinnovamento, scardinando modelli ritenuti obsoleti, in base alle esigenze dell’epoca contemporanea (Bhabha 1994: 145). A livello linguistico, in particolare negli anni Venti, è messa in discussione la «narrazione lineare, l’ordine logico e progressivo, lo stabilire una superficie solida della realtà»5 (Bradbury 1976: 393); il tempo diviene uno dei temi dominanti: esso non risulta solo raccontato, ma anche manipolato attraverso l’atto narrativo plasmatore di nuova realtà (Kovaloski 2009: 338). Nello Zauberberg una parte significativa della sperimentazione formale sul piano della temporalità risiede nel ritmo della narrazione, in costante accorciamento rispetto al tempo narrato. Questa scelta è mirata a riprodurre le percezioni del protagonista, per il quale l’adattamento ai ritmi di vita a Davos – dopo i primi giorni animati da impressioni nuove e inconsuete (Mann 1952: 118, 146) – causa una progressiva perdita del senso del tempo, che anche per il lettore sembra scorrere a un ritmo più veloce6 (Mann 1952: 243; Weigand 1964: 15). Analizzando la struttura del romanzo, il quale copre un arco temporale di sette anni, emerge che, degli altrettanti capitoli, il primo tratta dell’arrivo di Castop a Davos, mentre il secondo è dedicato a un excursus sul suo passato; il terzo capitolo si sofferma sul primo giorno di permanenza nel sanatorio, mentre il quarto sulle tre settimane originariamente previste per la visita. Con il prolungarsi indefinito del soggiorno, la consapevolezza del flusso temporale inizia a disintegrarsi: il quinto capitolo riporta le vicende che si svolgono fino al settimo mese di permanenza al Berghof7, il sesto si interrompe alla morte di Joachim – due anni e quattro mesi dopo l’arrivo di Castorp – mentre l’ultimo racconta i restanti quattro anni e mezzo. Il disorientamento che provoca tale suddivisione «avvicina il lettore allo status mitico-senza tempo dei personaggi» (Jueterbock 2020: 3); sarà necessario lo scoppio della Prima guerra mondiale per scuotere il protagonista da questo nunc stans, convincendolo a partire.

La prima allusione alla doppia natura del tempo si trova già nella prefazione, con un richiamo ai suoi due livelli – del discorso (Erzählzeit) e della storia (erzählte Zeit) – che nel capitolo Strandspaziergang (Mann 1952: 680-81) vengono anche definiti, rispettivamente, “tempo musicale-reale” (musikalisch-reale Zeit) e “tempo immaginario” (imaginäre Zeit o inhaltliche Zeit). In tal modo, la domanda «kann man die Zeit erzählen, diese selbst, als solche, an und für sich?» (Mann 1952: 680) confluisce in un’ampia riflessione sulla natura del tempo, che rifletterebbe una ricerca di orientamento secondo norme di valore, evidentemente non rintracciabili nel mondo borghese8 della “pianura” (Schwöbel 2008: 349). Le possibili influenze su Mann in questa indagine sono state per lo più associate all’ambito filosofico, mentre quello scientifico ha ricevuto un interesse minore, sia perché Castorp e il narratore riconducono l’esperienza del tempo alla percezione soggettiva, sia perché l’autore stesso ammise di comprendere «poco degli insegnamenti del famoso signor Einstein» (Kurze 2002: 523). Queste argomentazioni appaiono insufficienti, considerando che la redazione del romanzoebbe luogo in un periodo di eccezionale fermento scientifico e culturale: con la teoria della relatività ristretta(1905) e quella della relatività generale (1915), si andò incontro a una rivoluzione di enorme portata nell’ambito della fisica, dimostrando – ad esempio – che il tempo non è una grandezza assoluta, ma dipendente da un sistema di riferimento, dalla velocità e dalla gravità. Sebbene Thomas Mann non fosse in grado di comprendere la complessa sottostruttura matematica della teoria, niente gli impediva di mantenersi informato sulle conseguenze ideologiche delle nuove scoperte, sfruttando i resoconti dei primi anni Venti (Könneker 2001: 217). L’esperimento mentale a cui viene sottoposto Hans Castorp tradisce la convinzione che la teoria della relativitàabbia reso fluido il confine tra fisica e metafisica: con l’affermazione «verkoppelt und vermengt dem Dasein der Körper im Raum und ihrer Bewegung» (Mann 1952: 440) il narratore si riferisce al tempo quasi come a un elemento materiale (Karthaus 1970: 294), il cui valore concettuale sarebbe illusorio (Kurze 2002: 523):

Hans Castorp […] cerca l’origine della vita, la procreazione primordiale […]. Si incammina verso il sempre più piccolo, dalla molecola all’atomo, che è già così piccolo da trovarsi al confine tra il materiale e l’immateriale. Lungi dal trovare una risposta, Hans si rivolge a questo punto alla presunta somiglianza strutturale del macrocosmo con il microcosmo. L’atomo non era forse anch’esso un sistema cosmico carico di energia in cui i corpi cosmici correvano in rotazione attorno a un centro simile al sole e attraverso il cui spazio eterico le comete viaggiavano alla velocità della luce, costringendo il corpo centrale al suo percorso eccentrico? Nella parte più interna della natura, […] non si stava forse ripetendo l’universo macrocosmico delle stelle […]? (Kurze 2002: 523-24)

In questo contesto, è interessante prendere in considerazione il pensiero di Barbara Naumann (2005: 512), per cui la letteratura pone in atto processi di ibridazione che le consentono di riflettere liberamente sulle teorie scientifiche, senza l’obbligo di perseguire una conoscenza accurata:

Il linguaggio […] e lo spazio immaginario della letteratura non temono affatto il confronto con le scienze. Qui trovano rappresentazione non solo gli atti e le scene primordiali della ricerca scientifica, ma anche i contesti culturali e sociali e le conseguenze della scienza, e in particolare le domande, i problemi e il destino del soggetto che è esso stesso legato al processo di conoscenza. La letteratura può rendere comprensibili molte cose, tra cui i presupposti e le conseguenze antropologiche, psicologiche e fantastiche del processo di conoscenza scientifica.

La stampa divulgativa svolse un ruolo significativo in questo processo di mediazione: in un’intervista riportata dal «Neue Wiener Tagblatt» (22.9.1912, nr. 200: 11-12), il fisico Ernst Lecher spiegava che la più notevole conseguenza della teoria di Einstein sulla relatività consiste nel rovesciamento della tradizionale visione del tempo, la cui scansione non è più considerata costante e assoluta. Il divario temporale tra gli eventi e la loro distanza nello spazio dipenderebbero dal sistema di riferimento e risulterebbero diversi a due osservatori in spostamento l’uno rispetto all’altro con moto uniforme (Wojciechowska 2020: 333); così – in teoria – un’ora terreste potrebbe apparire molto più lunga a un marziano9. Le possibili conseguenze della scomparsa di un tempo assoluto vengono valutate in uno dei pochissimi passaggi di Der Zauberberg, in cui Thomas Mann fa esplicito riferimento alla fisica10:

Unschwer wären Wesen denkbar […] auf kleineren Planeten, die eine Miniaturzeit bewirtschafteten und für deren „kurzes“ Leben das flinke Getrippel unseres Sekundenzeigers die zähe Wegsparsamkeit des Stundenmessers hätte. Aber auch solche sind vorzustellen, mit deren Raum sich eine Zeit von gewaltigem Gange verbände, so daß die Abstandsbegriffe des „Eben noch“ und „Über ein kleines“, des „Gestern“ und „Morgen“ in ihrem Erlebnis ungeheuer erweiterte Bedeutung gewännen. Das wäre, sagen wir, nicht nur möglich, es wäre, im Geiste eines duldsamen Relativismus beurteilt […], auch als legitim […] (Mann 1952: 686).

La divergenza temporale tra pianeti e il cosiddetto “paradosso dei gemelli” (Zwillingsparadoxon11; Gehrcke 1920: 14) furono i mezzi più popolari per divulgare la teoria della relatività a un pubblico ampio, traducendo quelli che Einstein (1905: 894) definiva A-Zeit e B-Zeit in un’opposizione basata sul concetto di verschiedenes Zeitmaß (Cohn 1911: 11). Thomas Mann aveva contezza di diverse critiche epistemologiche alla teoria della relatività, che contrapponevano gli “orologi terrestri” a quelli di un immaginario “abitante del sole” (Könneker 2001: 222): nel 1920 aveva letto un contributo del filosofo e scacchista austriaco Arthur Kaufmann12 sulla rivista «Der Neue Merkur», che negava un collegamento tra le sopracitate discrepanze e la relatività spazio-temporale teorizzata da Einstein, a riprova delle reazioni contrastanti che il fisico provocò nel pensiero coevo. In effetti, anche il romanzo di Mann sembra tradire una crescente incertezza, che si riflette nei ragionamenti del protagonista (Mann 1952: 686). Sulla base delle notazioni raccolte nel diario dello scrittore è dimostrato che in quel periodo egli si tenne aggiornato sull’argomento, attraverso contributi pubblicati su riviste come le «Münchner Neuesten Nachrichten» (Mann 1979: 25.2.1920; 3.3.1920). A ciò è collegata l’affascinante conversazione tra Castorp e suo cugino nel quarto capitolo di Der Zauberberg, che confluisce nella più ampia questione della capacità umana di misurare il flusso del tempo. Per comprendere meglio questo dialogo è però prima necessario soffermarsi sull’accezione di simultaneità nella teoria di Einstein.

Il tempo “fisico”: la teoria della relatività di Einstein e le sue conseguenze

Nel Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1965: 101-2), Newton affermava che «il tempo assoluto, vero e matematico, scorre di per sé e in virtù della sua natura in modo uniforme e senza relazione con alcun oggetto esterno»; nella fisica newtoniana, dunque, il tempo ha un flusso uniforme, universalmente valido per ogni osservatore. All’inizio del sec. XX Einstein tornò a indagare questa categoria concettuale e definì le nozioni di posizione, moto e tempo sulla base della simultaneità, indicando il sistema di coordinate utilizzato come riferimento con la parola “relatività”: «se dico, ad esempio “Quel treno arriva qui alle sette”, intendo qualcosa del genere “il puntare della lancetta piccola dell’orologio alle 7 e l’arrivo del treno sono eventi simultanei”» (Lightman 2005: 73). L’idea di Einstein era che si potesse misurare il tempo in base a eventi spaziali simultanei – principio su cui riflette anche Mann nel citato passaggio all’inizio del sesto capitolo. Di primaria importanza nella relatività ristretta è la dilatazione temporale13, fenomeno per cui la durata di un medesimo evento risulta maggiore se misurata in un sistema di riferimento in moto rispetto a uno in stato inerziale. La dilatazione del tempo si basa sull’idea che la velocità della luce è costante per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro movimento; dunque, se un osservatore A è in moto rispetto a un osservatore B ed entrambi misurano lo stesso evento (una luce che lampeggia), A stimerà un intervallo di tempo maggiore rispetto a B (tra i lampeggi). Ciò significa che il tempo scorre più lentamente per A, perché movimenti a velocità diverse rispetto a un evento nello spazio-tempo risultano in tempi cronometrici difformi, esito confermato da numerosi esperimenti.

Nel sottocapitolo “Gedankenschärfe” Mann si sofferma sul concetto di simultaneità nella sopracitata conversazione tra Castorp e suo cugino: dopo aver osservato che il tempo sembra scorrere tanto più lentamente, quanto maggiore è l’attenzione rivolta al movimento delle lancette di un orologio (Mann 1952: 97), Joachim prosegue però affermando che orologi e calendari sono in grado di misurare il flusso del tempo per tutti: «eine Minute ist so lang […], wie der Sekundenzeiger braucht, um seinen Kreis zu beschreiben» (Mann 1952: 98). In accordo con Einstein, egli definisce il tempo in base alla simultaneità degli eventi; tuttavia, per Hans l’azione meccanica dell’orologio non è sufficiente a risolvere la questione centrale di cosa sia realmente il tempo: «aber er braucht ja ganz verschieden lange – für unser Gefühl! […] Was ist denn die Zeit? […] Wir sagen: die Zeit läuft ab […] Aber um sie messen zu können […] müßte sie doch gleichmäßig ablaufen, und wo steht denn das geschrieben, daß sie das tut? Für unser Bewußtsein tut sie es nicht, wir nehmen es nur der Ordnung halber an, daß sie es tut, und unsere Maße sind doch bloß Konvention» (Mann 1952: 98-99). Questa considerazione sembrerebbe escludere il tempo come quantità fisica scalare, problema che Wojciechowska (2020: 339) collega al concetto di dilatazione temporale, suggerendo che ci possa essere un’allusione alla teoria fisica di Einstein, seppur reinterpretata, traslandola in modo alquanto arbitrario nel regno della coscienza. Castorp, in effetti, porta il discorso sul piano della fisica, affermando che la diversa percezione del tempo è un fenomeno legato alla sua dipendenza dallo spazio e dalla velocità con cui i corpi vi si muovono (Mann 1952: 98). Egli è consapevole che quest’ultimo è la base su cui si può misurare il tempo; tuttavia, calcolare il secondo con il primo è altrettanto arbitrario che fare l’inverso, perché quanto ci vuole per uno spostamento dipende da come si viaggia (Caracheo 2017: 36): per percorrere un tratto a piedi è necessario molto più tempo che in treno e ancor meno ce ne vorrebbe a coprire quella distanza con il pensiero (Mann 1952: 98). Il protagonista conclude che la misurazione del tempo è una convenzione creata per compensare l’incapacità umana di percepire il flusso temporale: anche se orologi e calendari sono in grado di quantificarne il passaggio, gli esseri umani continuano a viverlo in modo diverso14.

Bewegter Stillstand in ewiger Gegenwart: ciclicità del tempo e atemporalità

Una prospettiva diversa è offerta da Schweisheimer nell’articolo “Raum, Zeit, Schwerkraft” («Münchner Neueste Nachrichten» 24-25.2.1920), in cui si chiarisce come diversi esperimenti di pensiero15 abbiano rivelato l’arbitrarietà dei principi della meccanica newtoniana16. Mann sembra avere in mente un simile esperimento concettuale, quando descrive l’arrivo di Castorp in treno a Davos: Joachim lo attende sulla banchina (osservatore a riposo) e la percezione del tempo dei due è divergente (Mann 1952: 26) per via dei diversi sistemi di riferimento (Könneker 2001: 218). Dopo questo episodio, Hans ha modo di rendersi conto che al Berghof il tempo ha un valore diverso rispetto “alla pianura”: egli non riesce inizialmente a concepire come neulich (Mann 1952: 82) un evento di otto settimane prima, e gli risulta inaudito che a Davos «la […] minima unità di tempo è il mese» (Mann 2010: 84). Gradualmente, però, le percezioni del protagonista convergono sempre più con quelle dei pazienti; a erodere il senso del tempo è in particolare la monotonia della ripetizione, il ritorno circolare di momenti che si somigliano fino all’identità – procurando in lui quella sensazione di “vertiginosa uniformità”, che già lo colpiva in passato alla vista della ciotola battesimale (Mann 1952: 35). Questi elementi hanno indotto Christian Hick (2003: 83) a descrivere la dimensione temporale nel romanzo con l’espressione «bewegter Stillstand in ewiger Gegenwart»; una sua significativa manifestazione si registra nel capitolo “Ewigkeitssuppe und plötzliche Klarheit”, quando il protagonista si ammala ed è costretto a trascorrere tre settimane confinato nella sua stanza: «Man bringt dir die Mittagssuppe, wie man sie dir gestern brachte und sie dir morgen bringen wird […], die Zeitformen verschwimmen dir, rinnen ineinander, und was sich als wahre Form des Seins dir enthüllt, ist eine ausdehnungslose Gegenwart, in welcher man dir ewig die Suppe bringt» (Mann 1952: 244). Questo episodio sembra anticipare il generale andamento della vita di Hans nel sanatorio, per la cui dissoluzione temporale viene offerta anche la similitudine di una passeggiata sulla spiaggia: «Du gehst und gehst […] du bist der Zeit und sie ist dir abhanden gekommen […] dort ist wie hier, vorhin wie jetzt und dann; in ungemessener Monotonie des Raumes ertrinkt die Zeit» (Mann 1952: 687-88); nel capitolo “Strandspaziergang” le analogie includono anche il caso di minatori che sottovalutano il tempo trascorso in isolamento nell’oscurità (Mann 1952: 683), oppure della giovane che si risveglia dal coma dopo tredici anni (Mann 1952: 684), o ancora dell’animale, il cui letargo gli è valso il nome di Siebenschläfer17 (Mann 1952: 684) – soprannome applicato allo stesso Castorp (Mann 1952: 894), quando si «sveglierà dai suoi sette anni di animazione sospesa» (Cohn 2008: 205). Nei casi menzionati le entità coinvolte sono ignare del passaggio del tempo, pur essendone biologicamente influenzate; similmente, il protagonista non si rende conto dei cambiamenti a cui il suo corpo va incontro e si stupisce dell’apparente breve intervallo tra i suoi appuntamenti dal barbiere (Mann 1952: 685).

Il tempo atmosferico: imprevedibilità meteorologica e “inverno perpetuo”

Un fenomeno simile si registra in riferimento al paesaggio montano: durante la cura quotidiana, in cui i pazienti di avvolgono in pesanti coperte per coricarsi su delle sdraio all’aperto, il torpore che coglie il corpo di Castorp lo avvicina a uno stato simile alla morte o alla criogenesi (Poggi 2005: 66). Questo straniamento è seguito da una sorta di ritorno immediato alla vita «nello scoprirsi immerso in un paesaggio che […] muta nonostante l’apparente fermarsi del tempo nelle ore del sonno» (Poggi 2005: 66). Già nell’iniziale passaggio di Hans dall’affaccendata Amburgo a Davos, ad ogni modo, si assiste a metamorfosi che attraversano il paesaggio esterno e quello interiore del protagonista. Mentre il treno si inerpica sulla montagna, il brulicare della città cede il posto al silenzio di luoghi più aspri, una trasfigurazione spaziale che arriva a coinvolgere anche la dimensione temporale, perché «come il tempo, lo spazio genera oblio; ma lo fa staccando l’individuo dalle sue relazioni e trasportandolo in una condizione libera e primigenia» (Mann 2010: 6). Al senso di smarrimento del protagonista contribuisce il tempo atmosferico: non affidandosi a orologi e calendari, il modo più intuitivo per determinare il susseguirsi delle stagioni sembrerebbe risiedere nel paesaggio naturale, i cui cambiamenti sono alla base della possibilità di percepire il flusso temporale (Wojciechowska 2020: 341); a Davos, tuttavia, l’ordine meteorologico della natura sembra dissolversi: le stagioni non si attengono alla cronologia convenzionale (Mann 1952: 131-32), creando un vuoto di significato (o Überdruß) nel precludere ai personaggi la possibilità di modellare la propria esistenza secondo un “ordine narrativo” (Boa 2009: 138).

Ad ogni modo, l’imprevedibilità metereologica si integra in un contesto in cui la stagione dominante è l’inverno (Mann 1952: 132-33); la valle innevata appare soventemente come congelata nel tempo18, isolando in modo simbolico lo spazio del sanatorio e rafforzando l’impossibilità di distinguere il flusso temporale (Wojciechowska 2020: 342). In queste circostanze, l’unico modo di scandirne l’avanzamento è in parti più estese, segnate da avvenimenti specifici e fissi. La vita nel centro di cura ruota attorno a questo rigido programma di eventi quotidiani, settimanali e mensili, con regole di routine rigorose e un interesse quasi ossessivo per il conteggio. Tale ripetizione ciclica19 sembra esercitare un certo potere anche sui visitatori esterni, tanto che le impressioni di Castorp all’arrivo si ripetono in maniera apparentemente identica nell’esperienza dello zio James Tienappel, giunto con lo scopo di convincerlo a tornare ad Amburgo. La conversazione tra Castorp e il visitatore assomiglia in modo sorprendente a quelle iniziali con Joachim (Mann 1952: 542-43) e – discutendo del problema del tempo – «Da lachte Hans Castorp ruhig und kurz zu den Sternen empor. Ja Zeit! Was nun gerade diese betreffe, die menschliche Zeit, so werde James seine mitgebrachten Begriffe zu allererst revidieren müssen, bevor er hier oben darüber mitrede» (Mann 1952: 543-44). Ci si trova di fronte a un andamento temporale ciclico che investe diversi piani della realtà ed è caratterizzato da un certo paradosso: «il continuum esiste come un insieme separabile (chiuso), quindi apparentemente finito, ma allo stesso tempo, se si tiene conto dell’infinità del movimento ciclico del tempo – il tempo scorre» (Wojciechowska 2020: 343); a ciò si aggiunge l’impressione di una totale immobilità – sottolineata dallo stesso protagonista, per cui «quassù […] in realtà non ci sono stagioni vere e proprie, […] ma soltanto giorni d’estate e giorni d’inverno confusi […] quello che trascorre qui, per ognuno, non è tempo, e dunque ogni nuovo inverno, quando arriva, non è affatto nuovo, è sempre vecchio» (Mann 2010: 610-11). Mentre lo zio si decide a far ritorno ad Amburgo, Hans si considera ormai appartenente al “mondo di sopra”, come emerge, ad esempio, dalla disapprovazione per la partenza di Madame Chauchat20 (Mann 1952: 448-49). La sua rinuncia all’Erdenzeit (Mann 1952: 22) trapela anche quando non trova risposta alla domanda di Settembrini sulla sua età (Zbg: 122) e si rende definitiva con l’ammissione della perdita di contatti con la “pianura” (Mann 1952: 747).

Schnee: un esperimento di pensiero

L’esperienza di deformazione temporale vissuta da Castorp trova il suo apice nella sezione del sesto capitolo intitolata “Schnee”: proponendo un’interpretazione della relatività basata sull’idea che il tempo è movimento nello spazio, l’autore attua una strategia che si concentra sulle differenze, anziché sulle somiglianze con il pensiero einsteiniano. Mentre Einstein immagina la relatività del tempo come misurabile e risultante dall’interrelazione di sistemi isolati, Mann focalizza la sua attenzione sulla percezione umana: «avvertiva la sua importanza [del tempo] per lo sviluppo della fisica, ma aveva anche intuito che la misurazione del tempo era un approccio riduttivo – il concetto non poteva essere misurato, come la scienza sosteneva» (Caracheo 2017: 54). Sorprendentemente, per confutare le idee del fisico, Mann utilizza il suo stesso metodo, un esperimento di pensiero – con l’unica, importante differenza, che le condizioni create nel romanzo sono riproducibili (Wojciechowska 2020: 334).

Nel capitolo citato, Castorp si avventura in una solitaria escursione sciistica; quanto più prosegue, tanto più sembra addentrarsi in una dimensione in cui «regna un silenzio abissale e primordiale, estraneo a quel Kind der Zivilisation cresciuto nei ritmi frenetici […] della città» (Poggi 2005: 67). Inizialmente, sembra inebriarsi di questa «sua libertà di vagabondare. Non aveva dinnanzi a sé una strada obbligata da seguire, né dietro di sé un cammino che dovesse ripercorrere a ritroso» (Mann 2010: 709); pur spostandosi, ad ogni modo, Hans sembra rimanere immobile, perdendo ogni punto di riferimento con l’arrivo di una bufera di neve (Mann 1952: 609). Seguendo il ragionamento dell’autore – per cui la regola che governa il tempo è il cambiamento – dove regna l’uniformità, il movimento non è più tale e dove non vi è movimento riconoscibile, nemmeno il tempo lo è; giunto a una sorta di capanna, Castorp – che si appoggia stremato a un suo muro esterno, con il corpo intorpidito dal gelo – si ritrova nella totale impossibilità di fare affidamento sui suoi sensi: la bufera lo obbliga a chiudere gli occhi e anche quando si costringe a guardare, si ritrova a fissare «il bianco e turbinoso nulla» (Mann 2010: 712). L’assenza di riferimenti spaziali genera un oblio temporale21: infatti, dal momento in cui raggiunge il rifugio chiuso a chiave – entrando in uno stato letargico di onirica autoalienazione, dopo aver bevuto del porto – al suo risveglio, il protagonista ha l’impressione che siano trascorse delle ore, mentre – estraendo l’orologio dalla tasca, scopre che era «rimasto a giacere qui nella neve per dieci minuti o poco più» (Mann 2010: 735). Dunque, la percezione del giovane supera di gran lunga il tempo della storia e senza l’orologio sarebbe stato impossibile sapere quanto ne era trascorso, suggerendo un’incompatibilità tra temporalità soggettiva e oggettiva (Kovaloski 2009: 331):

Einstein’s thought experiment seeks to describe natural laws through objective facts, whereas Mann’s experiment is entirely subjective. In Einstein’s experiments, the observers rely on what they see, whereas Castorp relies entirely on what he feels. […] What Castorp discovers is that time is relative not because of the adopted frames of reference, but simply because without spatial references, there is no possible way to measure it. If an experiment could be carried out where spatial objects cannot be perceived, as happened to Castorp in the snowstorm, where neither the sense of sight nor his other senses help him to recognize his spatial surroundings, then a person is incapable of recognizing or sensing the passage of time (Caracheo 2017: 53).

Le impressioni soggettive di Castorp potrebbero esistere su un piano svincolato da un confronto con la teoria della relatività; tuttavia, Caracheo analizza il sottocapitolo come una polemica contro Einstein, perché Mann lo avrebbe trattato come un esperimento di pensiero, dove le impressioni del protagonista avrebbero avuto un ruolo di supporto (Wojciechowska 2020: 333-34). L’esperimento concettuale condivide con quello vero e proprio un metodo basato sulla variazione – nel primo caso in forma astratta – permettendo agli osservatori di costruire uno scenario specifico in cui si sarebbe eventualmente svolto l’esperimento concreto. Nel capitolo in esame, Mann avrebbe creato le condizioni naturali appropriate per mettere alla prova la capacità umana di confrontarsi con il tempo nella sua forma pura (reine Zeit), includendo l’isolamento spaziale del protagonista e l’impossibilità di percepire il movimento del proprio corpo (a causa delle condizioni naturali estreme), ma anche la fondamentale presenza di un osservatore esterno – in questo caso il narratore – per descrivere le caratteristiche del sistema (Caracheo 2017: 55). In ultima analisi, pur avendo seguito gli stessi metodi utilizzati da Einstein, le idee di Mann non si pongono su un piano di equivalenza con quelle del fisico, quanto piuttosto come valutazione della portata delle teorie scientifiche all’interno della letteratura.

Conclusioni

Fredric Jameson (1991: 16) scrive che l’inizio del sec. XX è stato testimone delle «grandi tematiche altomoderniste del tempo e della temporalità, dei misteri […] dei concetti di durée e memoria»: il tempo diventa una forza dinamica e performativa, che trascende l’estetismo, cercando di agire sulla coscienza e quindi sulla realtà, per ristabilire una dialettica tra mondo oggettivo e soggettivo (Kovaloski 2009: 338). Nello Zauberberg, Mann tenta di superare la tensione tra il tempo della storia e quello della coscienza individuale, dedicando spazi diversi a ciascun capitolo, sulla base della prospettiva del protagonista, ma esplora anche un nuovo modo di pensare e fare esperienza del tempo: quando esso viene vissuto senza variazioni, si riduce a un “eterno presente”, in cui le abitudini servono solo a scandire il flusso della monotonia22. La vita letargica e solitaria del centro di cura sembra inizialmente liberatoria, perché svincola dal tempo naturale, sociale e storico (Mann 1952: 891): la “montagna magica” di Mann, infatti, esiste apparentemente al di fuori del tempo cronometrico; i giorni e i mesi sono marcatori privi di significato e le stagioni paiono arrivare arbitrariamente. Il microcosmo della società europea che la abita, insomma, vive solo nel presente. Questo modo di concepire il tempo è estraneo a nuovi pazienti e visitatori, che vivono secondo la concezione lineare del mondo “di sotto”23: tale è l’esperienza di Hans, che però inizia velocemente ad adattarsi a quello stile di vita. Il giovane rimane a Davos per sette anni, spogliandosi del bisogno di strumenti di misurazione come il calendario e l’orologio, per dimenticare infine anche il proprio tempo biografico (Karthaus 1970: 273). D’altra parte, gli orologi si basano su un moto circolare, che rappresenta stagnazione (Mann 1952: 440). Dopo i primi sei mesi al Berghof, il protagonista sembra sempre più impegnato nel tentativo di comprendere la natura del tempo: nella prima parte del sottocapitolo “Veränderungen24 viene fatto ricorso a un linguaggio scientifico per illustrare l’apparente contraddittorietà di alcuni principi fondamentali delle teorie di Einstein, con cui Mann era entrato in contatto. Nonostante il narratore riconosca che i fenomeni naturali avvengano nel continuum spazio-temporale – chiedendosi se il tempo dipenda dallo spazio, o se al contrario lo spazio vada inteso come funzione del tempo – egli nota delle incongruenze nella misurazione di quest’ultimo, riferendosi in primo luogo agli strumenti utilizzati. Partendo dalla sua natura eterna, Mann mette in discussione la possibilità di misurare il flusso del tempo, dunque anche l’utilità dei concetti di distanza, movimento e cambiamento, che nella teoria einsteiniana sarebbero preposti a tale compito: come Joachim fa notare, le unità temporali al Berghof svaniscono (Mann 1952: 28). Con un esperimento di pensiero, Mann manifesta infine la convinzione che la relatività temporale si collega alla percezione umana, dipendente dai mutamenti spaziali. A differenza dell’esperimento concettuale di Einstein, quello di Mann è soggettivo: nel romanzo, la rappresentazione del tempo e del suo rapporto con la realtà spaziale sta dunque a dimostrare che la durata degli eventi è direttamente collegata al modo in cui le persone la vivono.

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Note

  1. Nietzsche, ad esempio, elaborò un pensiero mirato alla decostruzione del soggetto, affermando che la coscienza è la più tarda fase di sviluppo dell’organico e quindi anche il più imperfetto e debole.
  2. Anche le nuove tecnologie sembrano collegate al tema del tempo; Hans, ad esempio, mostra un certo fascino per il cinema: «Millionen Bilder und kürzeste Fixierungen, in die man ihr Handeln aufnehmend zerlegt hatte, um es beliebig oft, zu rasch blinzelndem Ablauf, dem Elemente der Zeit zurückzugeben» (Mann 1952: 407).
  3. Si intende qui un sistema di pensiero che «insiste sull’importanza primaria del contesto storico nell’interpretazione di testi di ogni tipo» (Hamilton 2003: 1-2). Secondo questo modello, un evento ha significato solo in connessione con altri eventi correlati.
  4. Nella teoria letteraria questo termine indica il modo in cui le opere letterarie tentano di avere un impatto nel mondo esterno al testo.
  5. Sebbene la voce narrante sia apparentemente extradiegetica, vi sono passaggi in cui la distinzione tra la prospettiva del narratore e quella del protagonista diviene meno perspicua; inoltre, il ricorso al tempo presente ottunde occasionalmente la scissione temporale tra gli eventi passati della storia e l’atto corrente della narrazione (Kovaloski 2009: 322).
  6. A focalizzare l’attenzione sul ritmo della narrazione contribuisce significativamente «l’onnipresenza di indicazioni temporali […]. Più e più volte, il testo dichiara quanti minuti, ore, giorni, settimane, mesi e anni passano» (Kovaloski 2009: 324).
  7. Mentre il resoconto delle prime tre settimane di soggiorno al Berghof occupa uno spazio di 136 pagine, le tre successive sono racchiuse in 15; le sei settimane prima di Natale sono raccontate in una sola pagina, dopodiché Castorp fa addirittura fatica a distinguere tra passato e presente (Mann 1952: 374).
  8. Potrebbe apparire curioso che il vuoto di significato dell’Europa prebellica spinga il protagonista a cercare risposte proprio nel decadimento mortale di un sanatorio per tubercolotici (Jueterbock 2020: 6); tuttavia, ciò sorprende meno se si pensa al collegamento operato già nel Romanticismo tra malattia – o comunque vicinanza alla morte – e sensibilità.
  9. Tuttavia, le differenze sono distinguibili solo in rapporto a un sistema di riferimento esterno.
  10. Un altro si trova nelle parole di Nafta: «Der Weltäther sei wohl exakt? Das Atom, dieser nette mathematische Scherz des »kleinsten, unteilbaren Teilchens« – bewiesen? Die Lehre von der Unendlichkeit des Raumes und der Zeit fuße sicherlich auf Erfahrung? In der Tat, man werde, ein wenig Logik vorausgesetzt, zu lustigen Erfahrungen und Ergebnissen gelangen mit dem Dogma von der Unendlichkeit und Realität des Raumes und der Zeit: nämlich zum Ergebnis des Nichts» (Mann 1952: 870).
  11. A questo paradosso si ispirò, ad esempio, Hans Christoph con Die Liebe im Jenseits. Ein Relativitätsroman, uscito a puntate nella rivista «Deutsche Allgemeine Zeitung» (1921) e pubblicato come romanzo nel 1922 con il titolo Die Fahrt in die Zukunft. Ein Relativitätsroman.
  12. “Zur Relativitätstheorie. Erkenntnistheoretische Erörterungen”, «Der Neue Merkur», 3 (1919-20): 587–594. Che Mann avesse letto questo intervento risulta dai commenti riportati sul suo diario, in cui menziona «eine erkenntnistheoretische Kritik der Einsteinschen Theorie (die übrigens auch von Flammarion kritisiert und weitgehend abgelehnt wird), worin das Problem der Zeit wieder die Rolle spielt, deren heutige Urgenz ich bei der Conception des Zbg, wie die politischen Antithesen des Krieges, anticipierte» (Mann 1979: 3.3.1920). La scritta “Zbg” era la stenografia da lui utilizzata per riferirsi a Der Zauberberg.
  13. Descritta per la prima volta da Einstein nel 1907 come conseguenza della relatività ristretta nelle strutture accelerate di riferimento: nella relatività generale, è la differenza nel passaggio di tempo proprio a posizioni diverse come descritte da un tensore metrico di spazio-tempo (Schwartz 1977: 512-17). L’esistenza della dilatazione temporale gravitazionale venne per la prima volta confermata dall’esperimento di Pound-Rebka.
  14. Da questo punto di vista, le idee di Thomas Mann subirono l’influenza del filosofo e storico tedesco Oswald Spengler, il quale nell’opera Der Untergang des Abendlandes (1918) si mostrò molto critico nei confronti della teoria einsteiniana, che risolveva il Bewegungsproblem con il riconoscimento di un continuum spazio-temporale non osservabile in natura (Spengler 1918: 178); il tempo, per Spengler, sarebbe un “errore di valutazione” (Mißgriff) e il concetto di movimento non avrebbe alcun senso in uno spazio vuoto (Spengler 1918: 567).
  15. Accomunati dall’isolamento degli elementi coinvolti nell’azione, dalla presenza di osservatori esterni e di relazioni tra corpo, spazio e movimento.
  16. Il primo che espone dimostra che una persona su un treno che si muove a velocità costante in linea retta non ha modo di determinare se il treno si stia muovendo a meno che non apra il finestrino; anche allora, però, non può sapere se a muoversi sia solo il treno o – teoricamente – anche i binari. Ciò si può verificare solo grazie a un sistema di riferimento; così, se la persona all’interno del vagone lancia un sasso – osservando una traiettoria rettilinea – un osservatore fermo sulla banchina vedrebbe una traiettoria parabolica ed entrambe le percezioni sarebbero corrette, in base ai loro diversi piani di riferimento. Lo stesso principio è applicabile ai corpi celesti: ognuno di essi si muove in relazione ad altri – creando reciprocamente dei quadri di riferimento – ma solo un osservatore esterno (al di fuori dello spazio, il che è impossibile) potrebbe determinare il movimento assoluto; questo significa che il principio di relatività è incompatibile con la nozione di tempo assoluto (Caracheo 2017: 43).
  17. Il termine deriva da una leggenda medievale (die sieben Slafaere) (Germanisches Nationalmuseum I. Nurnberg 1861: 192). Thomas Mann aveva già presente un racconto che affrontava il tema del “lungo sonno” (Neumann 2002: 21): il protagonista della fiaba Zwerg Nase (Wilhelm Hauff, 1826) racconta di un fanciullo, ingannato da una strega, che si addormenta presso la dimora di quest’ultima e rimane al suo servizio per sette anni, mentre lui è convinto di essersi addormentato solo per poche ore.
  18. La neve indebolisce gli strumenti cognitivi dell’uomo, limitandone la visibilità e attutendo i suoni.
  19. Che sembra coinvolgere anche il passato di Hans, ad esempio nella somiglianza tra Madame Chauchat e Hippe, il rapporto con i quali culmina nella scena del prestito di una matita.
  20. Quando Madame Chauchat arriva a Davos in treno accompagnata da Mynheer Peeperkorn, Thomas Mann gioca con il tema della sincronicità, affermando che «più che arrivare simultaneamente, i due arrivarono insieme» (Mann 2010: 813).
  21. «Die Zeit ist mir lang geworden» (Mann 1952: 615), afferma lo stesso Castorp.
  22. Come dimostra la continua misurazione della temperatura da parte dei pazienti: «Jene sieben mal sechzig Sekunden, während derer man das Thermometer zwischen den Lippen hielt, […] weiteten sich zu einer kleinen Ewigkeit» (Mann 1952: 371).
  23. «Die persönliche und individuelle Zeit also zu messen und zu zählen war Sache der Kurzfristigen und Anfänger; die Eingesessenen lobten sich in dieser Hinsicht das Ungemessene und Achtlos-Ewige» (Mann 1952: 522-23).
  24. Thomas Mann iniziò a scrivere il sottocapitolo “Veränderungen” il 15 ottobre 1921. Due settimane dopo, aveva in programma di partecipare a una serie di conferenze su Goethe a cui fu invitato anche Einstein. Qualche giorno seguente, Mann appunta sul suo diario: «In das VI. Kap. Zbg. eingearbeitet. Zahlreiche Briefe. Korrespondenz mit H. Simon-Frankfurt über eine geplante Goethe-Woche mit Hauptmann, Harnack, Einstein und mir» (Mann 1979: 28.10.1921).
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