Nessi impliciti e nessi espliciti tra episodi e narrazione principale: la storia del Palumbo
Introduzione
Il presente lavoro si pone l’obbiettivo di analizzare La cognizione del dolore1 di Carlo Emilio Gadda e, in particolare, i nessi impliciti ed espliciti che intercorrono tra la vicenda principale, ovvero quella vissuta dal protagonista Gonzalo, e la storia di un personaggio di nome Gaetano Palumbo. Il testo si presenta diviso in due parti: nella prima, dopo una breve introduzione dell’opera, saranno sinteticamente prese in considerazione le tecniche narrative di Gadda, con un accenno ad alcune delle possibili motivazioni circa le scelte operate dall’autore; mentre nella seconda parte sarà presentata e valutata la figura di Palumbo nei tre movimenti che potenzialmente descrivono e spiegano l’interpolazione della sua vicenda nell’economia generale del romanzo. Nelle conclusioni saranno poi considerate le tre tipologie di nessi tra l’episodio di Palumbo e la vicenda principale in collegamento con gli elementi analizzati nella prima parte.
La cognizione del dolore e la prosa gaddiana
La cognizione del dolore venne pubblicato incompleto tra il 1938 e il 1941 sulla rivista «Letteratura», poi edito in volume da Einaudi nel 1963, arricchito di una sezione contenente alcune indicazioni dello stesso Gadda sull’opera – L’editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore. Il romanzo fu successivamente pubblicato con l’aggiunta di due capitoli inediti, ma la conclusione non venne mai scritta lasciando il racconto formalmente incompiuto.
L’opera consta di due parti scandite da una netta cesura narrativa; queste sono a loro volta suddivise in nove capitoli i quali «coincidono a volte, separati da cesure più o meno forti, con unità di contenuto» (Manzotti 1996: 46). La tecnica narrativa dell’autore, che rende il testo diviso in stralci in una certa misura autonomi, può condurre anche a sovrapposizioni parziali tra la fine di un capitolo e l’inizio del successivo, oppure a nette cesure entro uno stesso capitolo2; un esempio di questo secondo caso lo si può vedere nel quarto capitolo della prima sezione, quando la storia del Palumbo viene annunciata con una semplice frase, «la storia della guarigione era andata così» (Gadda 2019: 111), a cui segue una spaziatura e il racconto del fatto senza la presenza di particolari marche enunciative che ne segnalino lo statuto di metanarrazione. Questi quadri apparentemente indipendenti, e solo apparentemente accostati in modo analogico, sono affidati a una dominante voce narrativa che non si esime dall’esprimere giudizi o dal commentare, e che delinea una linea tematica centrale: il frammento di una vita posta sotto il segno del dolore.
La cognizione del dolore è ambientato in una immaginaria repubblica latino-americana, il Maradagàl, appena uscita da una guerra con il vicino stato del Parapagàl. La società descritta, tuttavia, si presenta come una replica dell’Italia fascista e della Brianza, dunque dell’Italia del primo dopoguerra – con tutti i mali che la affliggono e che Gadda sapientemente denuncia in queste pagine3. Il testo si presenta inoltre come un racconto dal contenuto autobiografico, seppur i riferimenti alla vita dell’autore vengano presentati in modo trasfigurato. Un esempio di biografismo è rintracciabile nell’episodio che vede il protagonista Gonzalo parlare con il dottore fuori dalla villa e, perso in un flusso di pensieri, infervorarsi contro la donazione fatta dal padre per le campane della vicina chiesa:
Intanto, dopo dodici enormi tocchi, le campane del mezzogiorno avevano messo nei colli, di là dai tegoli e dal fumare dei camini, il pieno frastuono della gloria. Dodici gocce, come di bronzo immane, celeste, eran seguitate a cadere una via l’altra, indeprecabili, sul lustro fogliame del banzavóis: anche se inavvertite al groviglio dell’aspide, molle, terrore maculato di tabacco. Vincendo robinie e cicale, e carpini, e tutto, le matrici del suono si buttarono alla propaganda di sé, tutt’a un tratto: che dirompeva nella cecità infinita della luce. Lo stridere delle bestie di luce venne sommerso in una propagazione di onde di bronzo: irraggiàrono la campagna del sole, il disperato andare delle strade, le grandi, verdi foglie, laboratorî infiniti della clorofilla: cinquecento lire di onde, di onde! cinquecento, cinquecento! (Gadda 2019: 74)
Il cenno autobiografico rintracciabile in questo passo rimanda alla donazione di una quota consistente a beneficio della Chiesa effettuata dal padre di Gadda, per la fabbricazione di nuove campane; gesto contro cui si scaglia la politica di Gadda, nel romanzo così come in altri documenti epistolari4.
La prosa elaborata di Gadda che rende il testo ricco di molteplici livelli di significazione è stata lungamente studiata, ammirata, e criticata. Alberto Moravia a questo riguardo affermava in un’intervista del 1990 che in Gadda fosse presente «un difetto di specie narrativa» (Moravia 1990: 198-99), che consisteva nelle lunghe, frequenti e dispersive digressioni. Pier Paolo Pasolini, d’altro canto, sosteneva che l’attesa che Gadda crea nella trama attraverso queste digressioni sia in realtà un punto di forza della sua scrittura. In Un passo di Gadda (Pasolini 1999) Pasolini infatti – dopo aver elencato le caratteristiche che rendono la prosa di Gadda una costruzione apparentemente artificiosa, sempre mediata, mai esente da bruschi scarti di tono – sottolinea come sia proprio l’attesa che questa prosa crea, e il finale culminante in quella che definisce una «clausola ad acme», a dare grandezza alla pagina gaddiana, configurando il periodo, e in particolare la sua fine, come una rivelazione, una parola in grado di scuotere l’animo dei lettori tramite un riconoscimento che avviene grazie allo stato di dissociazione che qui si provoca.
Una parte di noi, davanti a una simile affermazione, data come patrimonio conoscitivo e morale comune, si lascia investire dalla violenza imprevista dell’asserto, si lascia illuminare da questa luce d’improvviso accecante. Cosa succede? Un riconoscimento: nello stato di dissociazione che dà ogni choc, una parte di noi, riconosce, serena, che viene ferita, violentata. Riconosce, lucida, la vecchia fenomenologia del manifestarsi dell’irrazionale, o, come dire, dell’irreparabile. E in questo riconoscimento si attua l’orgasmo estetico, l’improvviso piacere dell’aumento di vitalità (Pasolini 1999: 2401).
Di questa prosa spezzata da digressioni segnalo – oltre al già citato esempio rintracciabile nel quarto capitolo della prima sezione – un passaggio del quinto capitolo della seconda sezione; qui Gadda passa dalla descrizione dei terreni che le guardie del Cavalier Trabatta dovevano sorvegliare, a una lunga descrizione di usi e abitudini di alcune vedove che vivevano nei dintorni, nonché di un falegname che per loro era solito lavorare e dei loro rapporti, per ricollegarsi poi ai territori sopracitati e al lavoro delle guardie solo dopo alcune pagine:
Nessuno vi passava mai la notte, perché la stradaccia, che in definitiva e dopo assai rigiri e sassi e guizzi di lucertoloni dai roveti discende a Lukones, non congiunge in modo diretto dei centri abitati. Disserve solo qualche campicello di banzavois macilento e le ville con mutria di Svizzera, occupate da gentildonne e gentiluomini, per lo più vedove o vedovi […]. Nessuno dunque passava da quella strada nelle ore mute della notte (Gadda 2019: 201-203).
Come spiega lo stesso Gadda nella sezione intitolata L’editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, «gli strati e i noccioli dell’impasto» (Gadda 2019: 224) non sono semplicemente frutto di una scelta deliberata dell’autore, ma bensì una lettura consapevole del mondo e dell’inconsistenza sterile della storia, che Gadda afferma «meglio potrebbe chiamarsi una farsa da commedianti nati cretini e diplomati somari»5. Il passo prosegue la feroce critica scagliandosi con ironia contro la storiografia, che, infatti, dovrebbe essere «lo specchio, o il ritratto, o il ricupero mentale di codesta “storia”»6, ma si configura, invece, come un’arte della menzogna, che omette e distorce, manipolando la storia. Si rintraccia qui una prima possibile spiegazione delle scelte narrative di Gadda, formulata da diversi critici, tra cui Gian Carlo Roscioni e Carla Benedetti: il procedere della trama, così apparentemente caratterizzato da un accostamento di quadri distinti e dispersivi, risponderebbe all’esigenza di allargare quella prospettiva ristretta tipica della storiografia, dilatandone la percezione spazio-temporale della storia umana7.
La critica di Gadda si estende anche al romanzo moderno; l’autore ritiene infatti che «la carica idolatrante di molti autori» (Gadda 2019: 224) contribuisca alla menzogna e alla reticenza della storiografia8. Si inizia già a intuire da qui come per Gadda anche il romanzo moderno sia uno schema immaginativo deleterio, da correggere: il romanzo moderno, infatti, presenta per l’autore una casualità lineare e piccola per cui i fatti non sono collegati in una consecuzione più profonda, e della realtà viene presentata solo una minima parte9. Questa concezione astratta, isolata e parziale della realtà, fornisce ai lettori delle porzioni arbitrarie e limitate di reale, che per Gadda si configurano come il «morto corpo della realtà»10. Questo atteggiamento si basa su un pregiudizio che porta a concepire la realtà come un dato semplice, e, conseguentemente, a una tendenza alla semplificazione degli scenari, ridotti solo alle relazioni sociali, culturali ed economiche. La costante tensione all’allargamento dell’orizzonte percettivo che attraversa i testi di Gadda è alla base della creazione di organismi romanzeschi bizzarri in cui è intessuta una rete di relazioni che parte dall’oggetto; da qui la dovizia di particolari, la celebrazione della molteplicità, la pluralità dei punti di vista, risultanti in un’«euforica voracità di accumulo» (Benedetti 1995: 74), nell’accostamento di quei quadri solo apparentemente sconnessi e da Moravia, come detto, ritenuti digressioni evitabili: per Gadda questa costruzione vorticosa è l’unica possibilità di redenzione per quella limitatezza naturalmente connaturata all’uomo.
Va considerato che il bersaglio della critica di Gadda è anche e principalmente di tipo sociale: l’autore, infatti, si scaglia contro quella razionalità finalizzata, strumentale, che riduce ogni cosa a una catena di eventi regolati da cause ed effetti controllabili e interpretabili, che prende, quindi, in considerazione solo la parzialità.
I mali, tutti i mali sociali contro cui Gadda si scaglia, sono la conseguenza di un fissarsi del punto di vista, di un solo punto di vista come tale sempre misero, e meschino. Così il narcisismo […] è parzialità innamorata di sé stessa; e l’avidità di possesso, in quanto consustanziazione narcissica dei beni, è un iperbole erronea del non-essere (Benedetti 1995: 6).
Ne La cognizione del dolore alcuni temi che vengono investiti dalla rabbia e dallo sdegno di Gonzalo sono proprio l’ipocrisia, l’avarizia, la mania del possesso e il crimine perpetrato contro l’utile collettivo. Nella sezione sopracitata, L’editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, Gadda spiega che
In Gonzalo vige e opera una continua critica della dissocialità altrui: la quale raggiunge ben più grave fattispecie che non raggiunga la sua. La sua propria dissocialità si limita a chiedere e insieme a prescrivere a se medesimo i due farmachi restauratori della affranta sua lena, dello spento desiderio di vivere: questi farmachi hanno un nome nella farmacologia della realtà, della verità: si chiamano silenzio e solitudine. Il suo male richiede un silenzio tecnico e una solitudine tecnica: Gonzalo è insofferente della imbecillaggine generale del mondo, delle baggianate della ritualistica borghese; e aborre dai crimini del mondo. Non potrebbe in nessun modo, da giudici senzienti, perspicaci ed equanimi venir definito un dissociale, un misantropo. Viene angustiato del comune destino, della comune sofferenza. L’idea patria è chiara, ben circoscritta, ben ferma, in lui: risponde a un fatto: a un sistema di fatti accertati (Gadda 2019: 227-228).
La prosa dalle tinte forti di Gadda fa trapelare un forte coinvolgimento, un atteggiamento di polemica e di indignazione contro i mali della società e la cattiva nazione, nonché una volontà di affermare una visione dell’uomo diversa da quella diffusa nella società moderna. In questo l’autore si rispecchia nel personaggio di Gonzalo, che è tutto teso ad affermare questa visione dell’uomo diversa da quella comune, in un tentativo di svelare la cognizione vera delle cose. Come ricorda Roscioni,
I due temi intorno a cui si sviluppa la sua rappresentazione, e confutazione, dell’ordine sociale – la critica della proprietà e la critica della famiglia […] sono critiche che, nonostante il loro carattere radicale, muovo dall’interno dell’ideologia e della psicologia che denunciano; critiche di chi ha creduto (e forse, insensatamente, vorrebbe ancora credere) nella razionalità e nella fondatezza dei due istituti che reggono la vita borghese. E non vanno confuse con idee rampollate da una oggettiva disamina dei problemi della vita associata; né, tanto meno, con le teorie filosofiche o politiche cui sembrano apparentarsi (Roscioni 1975: 127).
La vicenda del Palumbo e i legami sotterranei
La storia di Gaetano Palumbo occupa quasi per intero la prima parte della Cognizione. Veniamo a conoscenza delle vicende che lo riguardano tramite un alternarsi vorticoso di punti di vista, «le meravigliose notizie si diffusero allora nell’albero della collettività per il naturale processo dell’assorbimento, reso possibile da una attività di endòsmosi: l’avidità fresca e mordente degli incorrotti, il lavorìo vitale delle cellule che non abbino miglior epos da elaborare» (Gadda 2019: 23).
In particolare, il romanzo si apre con la presentazione di un tema molto specifico, ovvero quello dei Nistiùos (istituti di vigilanza), e della «“facoltatività” di aderirvi»; in particolare dei Nistitùos vengono esposti, con tono ironico e di critica, i «criteri che regolano l’assunzione delle guardie: ai reduci di guerra, inclusi i militanti in qualche modo ancora idonei all’incarico, viene accordata, come si apprende, la prelazione. L’idoneità ha tuttavia parametri incerti ed essenzialmente arbitrari» (Manzotti 1996: 56). A questo punto viene presentato l’esempio di Gaetano Palumbo, un reduce la cui mutilazione e la cui effettiva identità vengono scoperte nello scandaletto di Lukones. Palumbo è appunto un reduce di guerra che, dopo aver simulato un’invalidità per ottenere una pensione di guerra in modo fraudolento, viene smascherato e finge una miracolosa guarigione; il personaggio muta poi la sua identità originaria ed italica di un Gaetano Palumbo – a «ricordare che l’allegoria è puntata contro la situazione italiana» (Pecoraro 1998: 81) – a quella autoctona, di un Pedro Mahagones o Manganones.
Il personaggio di Palumbo, come le altre guardie dei Nistitùos, mostra tuttavia sempre un’ambiguità intrinseca. Oltre a quanto di lui si sa tramite i racconti dello scandaletto di Lukones, infatti, aleggia nel testo il sospetto che i membri dell’istituto di vigilanza siano responsabili dei furti commessi in quelle case che ancora non beneficiano della loro protezione. Questo elemento enigmatico risulta centrale per l’analisi sui nessi che collegano la vicenda del Palumbo a quella di Gonzalo, considerando soprattutto quanto è stato ipotizzato sul vigilante come possibile colpevole del delitto della madre. Tuttavia, è importante ricordare quanto precisa Maria Antonietta Terzoli circa la pretesa ascrizione del testo al genere del giallo,
Che la Cognizione sia un giallo […] è ormai un luogo comune tanto tenace quanto insidioso, che sempre più spesso torna negli studi sull’autore. Mi pare invece che del giallo la Cognizione abbia davvero ben poco, se si eccettua l’aggressione notturna alla madre, che però non è esclusiva del genere: in altre parole il delitto è necessario ma non sufficiente a definire il giallo. Tra l’altro proprio la collocazione del delitto – alla fine e non all’inizio del racconto – esclude, o almeno indebolisce molto, questa definizione di genere. Manca poi ogni minimo spunto di indagine e manca del tutto una figura di investigatore, o commissario o altro personaggio interessato alla ricostruzione e al chiarimento del delitto (Porro 2007: 27-28).
Rimane comunque indiscutibile il fatto che molti sono i sospetti – e gli studi – secondo cui Palumbo potrebbe essere il colpevole del delitto; tuttavia, secondo la chiave interpretativa qui proposta, questi sono da ascriversi ad altre motivazioni, così come ad altre motivazioni sono stati collegati da diversi critici. A questo riguardo c’è chi, come Donnarumma, presuppone la colpevolezza di Palumbo per affermare che, «l’omicidio della Signora ad opera di uno di quegli agenti allegorizza la morte della madre patria e della sua tradizione per mano della volgarità massificata del fascismo» (Donnarumma 2001: 179); mentre altri, focalizzando l’attenzione sul dubbio della Signora circa il suo aggressore – sorto per via della somiglianza fisica tra Palumbo e Gonzalo – sviluppano la componente del sospetto per elaborare il tema del rapporto madre-figlio, del matricidio e della colpa di Gonzalo (Bertone et Dombroski 1997: 111-131).
Il personaggio di Palumbo è inoltre funzionale alla critica operata nel testo sul versante sociale e di costume; costituisce infatti un emblema della pratica fascista, grande male che affligge una società già malata. Va ricordato che Gadda, anche e soprattutto per la sua esperienza come partecipante attivo nel primo conflitto mondiale, ben conosce i mali dell’Italia del dopoguerra, la cattiva nazione dal cui comportamento il suo Io si sente oltraggiato11. Palumbo rappresenta una sorta di contro canto del protagonista: egli incarna infatti tutto ciò che Gonzalo – e con lui Gadda – disprezza e rifugge in un’elaborazione dolorosa del lutto che, dalla perdita, porta al distacco dalle cose: a una presa di coscienza12. Temi della polemica, rappresentati tramite il personaggio di Palumbo, sono l’ipocrisia e l’avarizia celate dietro al tentativo di ottenere in modo fraudolento un benessere economico che si accompagna a un privilegio sociale; questo atteggiamento ha come conseguenza il crimine perpetrato contro l’utile collettivo, e come base il demone della proprietà privata e la mania del possesso. Come spiega Gadda analizzando il punto di vista di Gonzalo:
La ossessione stessa di Gonzalo, che giudica “gli altri”, anche gli umili e gli sprovveduti, dalla sua esasperata consapevolezza, dalla bestiaggine comune. In questa sorta di scoppi d’odio verso i deficienti, gli ebeti, gli opinati cretini, i calcolatori beccuzzanti sullo strame un lor miserrimo e già rinsecchito vantaggio, tutte persone fisiche e giuridiche aventi voto pari al suo, potrebbesi discernere, oltrechè la sicurezza mentale del reazionario e dello hijo-de-algo in buona fede, un calcolo economico e sociologico non privo di certa lucidità-razionalità, e un’ira esplosa e per dir così rampollata dalla fonte stessa del raziocinio: in definitiva un giudizio che potrebbe dar luogo a motivata e probante consecuzione di ulteriori giudizî economico-sociali (Gadda 2019: 226).
Ancora dalle stesse pagine,
Si celebra nella follemente burocratizzata e bisantizzata storia della società umana un paradosso o meglio un rito ossedente, per che il buono e magari il migliore non perverrà mai, non che a carpire, ma nemmeno ad annusare quella scartoffiescamente matura pera, quella sovvenzione, quella borsa di studio, quel prestipendio, quel premio […] che vengono largiti sotto forma di munifica assistenza in giudizio, di ricorsi e riricorsi in appello e in corte di cassazione, a’ più snaturati delinquenti (Gadda 2019: 226).
Queste parole offrono una possibile esegesi della pungente critica alla società, sapientemente veicolata tramite l’episodio del Palumbo e dei Nistitùos: la polemica qui si scaglia contro le dinamiche del consesso civile umano che si fondano su “riti” ben lontani dal raggiungimento di un utile comune – che potrebbe invece avvenire tramite la valorizzazione dei più meritevoli; contro l’utile collettivo è invece perpetrato costantemente un crimine e una violenza.
La critica di Gadda nei confronti del carattere di Palumbo13 – e di tutto quello che come detto implicitamente rappresenta – è rafforzata dalla presenza di un personaggio, l’ufficiale medico, che nell’episodio del Palumbo spicca per contrasto; il colonnello, infatti, assume come le visti di un eroe, in una tensione dialettica che vede invece Palumbo come l’antieroe. Questo personaggio si ostina a perseguire il suo compito in sintonia con l’utile collettivo, riuscendo infine a smascherare l’inganno.
Ma il colonello medico Di Pascuale […] aveva però avuto qualche sospetto. «Chillo m’a vo’ a fa’ fesso», si era detto il valoroso e zelante ufficiale nel dialetto de’ padri. […] Lo rimirò a lungo, il colonnello Di Pascuale, dalla sua cadregaccia giù in fondo alla tavola: poi, chiesta la parola, si levò: e parlò brevemente, proponendo una sospensiva: che dopo qualche battibecco fu rogata dallo stesso Procuratore Erariale. […] si trattava proprio di un’occasione e sarebbe stato un peccato vedersela scappare, così, per la pignoleria del colonnello Di Pascuale. Ma il Di Pascuale non volle sentir di nulla: e due giorni dopo la seduta del Collegio gli firmò la bassa di passaggioaal’«osservazione speciale medica». «Che Dio lo stramaledica!», mugolò il Palumbo tra i denti. Due mesi di osservazione! […] Fermo nella sua resistenza dietro montagne di scartoffie, dopo quelle altre, di montagne: ligio al dovere: che è tutto, tutto (Gadda 2019: 111-113, 121).
Conclusioni
L’episodio di Palumbo sembra quindi collegato con la storia narrata secondo tre tipologie di nessi: espliciti, impliciti, e profondi – che sono però relazionati tra loro. Il rimando esplicito dipenderebbe semplicemente dal fatto che Palumbo è un vigilante dei Nistitùos, con funzione di rappresentante “esemplare” della categoria delle guardie. Il nesso implicito sarebbe costituito, invece, dai sospetti e dalle sottintese accuse di una possibile partecipazione del personaggio ai furti, che costituiscono la trama superficiale della narrazione. A livello più profondo, invece, l’episodio di Palumbo si collega poi con la vicenda principale in quanto funzionale a veicolare la critica di Gonzalo/Gadda contro la cattiva nazione, di cui Palumbo condensa in sé tutte le cause e i sintomi.
Pertanto, le motivazioni dell’interpolazione della vicenda di questo personaggio con la linea tematica centrale del dolore di Gonzalo, e la conseguente costruzione di una forma romanzo apparentemente bizzarra – fatta di «blocchi o frammenti» i cui collegamenti si perdono nella molteplicità delle cause – sarebbero da ricollegarsi a un tentativo dell’autore di correggere alcuni schemi immaginativi deleteri, che vengono criticati e denunciati in quest’opera. Come spiega Raffaele Donnarumma, smentendo l’ascrizione della Cognizione al genere giallo, Gadda
individua nel giallo la forma più deterministica e rigida di realismo romanzesco, per smentirla ironicamente. […] I singoli temi (più che fatti o personaggi) si impongono all’attenzione, si dilatano, offuscano i legami consequenziali e si accampano da soli, dirottando la continuità romanzesca verso una composizione per blocchi o frammenti, che recalcitra all’unità. […] L’illusione realistica, che recupera nella linearità del racconto la profondità del tempo, cede il passo a una struttura a più dimensioni, tutte conguagliate nella densità della pagina scritta (Donnarumma 2006: 24).
Bibliografia
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Flores Enrico (1973), Accessioni gaddiane. Strutture, lingua e società in C.E. Gadda, Napoli, Loffredo Editore.
Gadda Carlo Emilio (1970), La cognizione del dolore. Edizione critica commentata con un’appendice di frammenti inediti a cura di Emilio Manzotti, Torino, Einaudi.
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Manzotti Enrico (1995), «”La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda», In: Asor Rosa A. (dir.), Letteratura italiana. Le Opere, vol. IV.II, Torino, Einaudi, p. 201-337.
Moravia Alberto e Alain Elkann (1990), Vita di Moravia, Milano, Bompiani.
Pasolini Pier Paolo (1999), «Un passo di Gadda», In: Pasolini P.P., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. II, Milano, Mondadori, p. 2395-2403.
Pecoraro Aldo (1998), «Il tribunale tragico: “La cognizione del dolore”», In: Pecoraro A., Gadda, Roma, Laterza, p. 79-132.
Porro Mario (dir.) (2007), Gadda e la Brianza. Nei luoghi della «Cognizione del dolore», Milano, Medusa.
Roscioni Gian Carlo (1975), La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi.
Note
- L’edizione di riferimento da cui saranno tratte le citazioni è quella Adelphi (2019).
- Va ricordato comunque che la forma originaria di pubblicazione, in puntate su rivista, implicò per necessità alcune cesure nel contenuto, che si ritrovano poi nella forma narrativa romanzesca – per maggiori approfondimenti sulla struttura della Cognizione si veda Manzotti (1996: 46-50).
- Per approfondimenti sul «travestimento sudamericano»: Porro (dir.) (2007), Gadda e la Brianza. Nei luoghi della «Cognizione del dolore», Milano, Medusa.
- Sulla sovrapposizione Gadda/Gonzalo e sui riferimenti autobiografici presenti sul testo molto è stato scritto; segnalo qui in particolare Porro (2007).
- Riporto in nota la citazione per esteso: «Non si tratta perciò di leggere negli strati o nei nòccioli grotteschi dell’impasto Cognizione una deliberata elettività ghiandolare-umorale di chi scrive (des Verfassers) ma di leggervi una lettura consapevole (da parte sua) della scemenza del mondo e della bamboccesca inanità della cosiddetta storia, che meglio potrebbe chiamarsi una farsa da commedianti nati cretini e diplomati somari» (Gadda 2019: 224).
- Riporto in nota la citazione per esteso: «La storiografia, poi, che sarebbe lo specchio, o il ritratto, o il ricupero mentale di codesta “storia”, adibisce plerumque all’opera i due diletti strumenti: il balbettio della reticenza e la franca sintassi della menzogna. Ciò che le fa comodo non riferire, tace o sottace… e quel che meno ancora le garba… eccola che annota e registra e manda a stampa il contrario» (Gadda 2019: 224).
- Segnalo qui per approfondimenti sui temi della consapevolezza della complessità e dell’esigenza di allargamento e moltiplicazione prospettica Roscioni 1975, dove questi elementi vengono collegati alle letture, in particolare filosofiche, di Gadda.
- Per un’analisi della critica di Gadda contro autori suoi contemporanei nella Cognizione si veda in particolare Pecoraro (1998), «Il tribunale tragico: “La cognizione del dolore”», In: Pecoraro (1998), Gadda, Roma, Laterza, p. 79-132.
- Rimando nuovamente agli studi, tra gli altri, di Roscioni e Benedetti, come anche, in questo caso, di Donnarumma.
- Riporto in nota la citazione per esteso: «Il dirmi che una scarica di mitra è una realtà mi va bene, certo; ma io chiedo al romanzo che dietro questi due ettogrammi di piombo ci sia una tensione tragica, una consecuzione operante, un mistero, forse le ragioni o le irragioni del fatto. Il fatto in sé, l’oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia» (Gadda 1998: 629-30).
- Il dibattito circa la posizione di Gadda nei confronti del fascismo è ampio e complesso, e nel tempo si è polarizzato tra le posizioni di chi lo reputava un fascista e chi un antifascista. Trovo tuttavia particolarmente convincente la dicitura di «reazionario» (Roscioni 1975: 125) e l’interpretazione del fascismo in chiave metastorica di Carla Benedetti (Benedetti 1980).
- Per un’analisi dell’opera gaddiana alla luce della categoria freudiana dell’elaborazione del lutto, si veda il riferimento in: Benedetti (1995), La storia naturale in Gadda, «Italies Narrative», 7, p. 71-89.
- Riporto qui una descrizione di Palumbo fornitaci dalla voce narrante in occasione del suo primo incontro con Gonzalo: «L’uomo in divisa entrò, con gambe leggermente arcuate ne’ gambali; si sarebbe detto un cavallerizzo; il cinturone, la lista a bandoliera e la foderina della rivoltella, di cuoio lucido, avevano fibbie di ottone che parevano lustrate col «Sidol». / I due piccoli occhi scintillarono, da parere una lama. / […] Ebbe negli occhi una luce ferma, arrogante, sotto un primo velo di deferenza, quasi di bonomia…. […] L’uomo dalle bardature di cuoio girò gli occhi alle finestre e poi, disotto, alla porta e allo svolto della terrazza, come a sincerarsi. Era davvero un cane. […] risalì due gradini, (aveva sostato sul terzo), si rimise il berretto, lo accomodò in capo in capo con tutt’e due le mani, disse: «Va bene…. ripasserò quando c’è la sua mamma», in un tono, però, che al signor don Gonzalo gli parve come fosse di sfida, o addirittura di scherno» (Gadda 2019: 108-109).