Identikit di un dittatore atipico e della sua dittatura

La formazione politica e intellettuale di Salazar1

Per cominciare, considerando che, nelle parole di uno dei più grandi giornalisti italiani, il dittatore portoghese è l’incarnazione della «più singolare e grigia di tutte le dittature mondiali» (Montanelli 1960a), ritengo sia doveroso, oltre che utile, tracciarne un ritratto. António de Oliveira Salazar nasce nella freguesia di Vimieiro, più precisamente nella cittadina di Santa Comba Dão, il 28 aprile 1889 da una famiglia di umili origini. I genitori erano, infatti, proprietari di piccoli terreni agricoli. A soli undici anni Salazar fa il suo ingresso nel Seminario di Viseu, dal quale uscirà otto anni dopo. Questo periodo risulterà fondamentale per la formazione della sua personalità sia intellettuale che, soprattutto, morale. Montanelli, nel ’60, scriverà di un Salazar ben più maturo ciò che segue: «[…] non è diventato prete, ma è un credente e un rigoroso osservante. Tutte le mattine va in chiesa, la sua vita è un modello di virtù cristiane […]. Salazar serve lo Stato come i preti, quando son buoni, servono la Chiesa» (Montanelli 1960b). Dopo aver appurato di essere attratto più dalla missione pedagogica che da quella sacerdotale, e una volta portati a termine gli studi complementari presso il Liceu Alves Martins di Viseu, Salazar si ritrova a vivere l’agitazione che all’epoca scuoteva il Paese. Infatti, il Portogallo si trovava nel bel mezzo delle ultimissime battute della sua esperienza monarchica. Nel 1910, ovvero l’anno d’esordio della Prima Repubblica, il giovane António inizia gli studi universitari presso l’Università di Coimbra: prima la laurea in Giurisprudenza, poi gli studi che lo portano ad essere dapprima assistente e poi titolare della cattedra di Scienze Economiche (1918).

Coimbra è un tassello fondamentale per la definizione del temperamento di Salazar anche perché è proprio qui che viene fondato il Centro Académico de Democracia Cristã (CADC), del quale Salazar entra a far parte durante la sua permanenza nella città universitaria e per il quale, successivamente, diventa segretario. Già nel 1912 si possono leggere articoli con la sua firma sulla rivista del Centro, «O imparcial» alla cui guida c’era Manuel Gonçalves Cerejeira. Salazar vive a fianco di quest’ultimo gli anni degli studi universitari. Cerejeira diventerà patriarca di Lisbona e i due rimarranno in buoni rapporti, seppur restando sempre molto attenti nel rivendicare l’autonomia dello Stato nei confronti della Chiesa e viceversa. È certamente innegabile che fu anche grazie agli incontri giovanili tenutisi presso il CADC che Salazar cementò le proprie convinzioni riguardo al ruolo fondamentale che avrebbe dovuto svolgere la Chiesa in un momento tanto tumultuoso per i lusitani. Guardava con inflessibile scetticismo l’anticlericalismo repubblicano, fermamente convinto del fatto che il Paese avrebbe dovuto affrontare una sorta di Resurrezione spirituale, e che tale spirito di rinnovamento avrebbe dovuto accendersi nel più intimo di ogni cittadino portoghese.

Un primo assaggio del temperamento di Salazar lo si può avere se si pensa alla sua prima comparsa in parlamento: nel 1921, a seguito dell’elezione tra gli esponenti del Centro Católico Português, lascia l’incarico appena un giorno dopo, dopo essersi reso conto del caos e della corruzione che regnava tra gli uomini che avrebbero dovuto decidere per il bene della nazione. Fu da sempre molto attivo nell’ambito dei circoli cattolici e molte sono le conferenze alle quali viene invitato a partecipare in qualità di oratore. Si dimostra sempre molto interessato anche alla gestione dell’economia portoghese. Per Salazar, la risoluzione della questione economica è prioritaria e rimarca questa sua posizione in vari articoli pubblicati. All’indomani del colpo di Stato del 28 maggio 1926, i reparti militari ormai al potere invitano Salazar ad assumere la guida del Ministero dell’Economia: dopo tredici giorni, lo stesso Salazar lascia l’incarico perché ritiene che l’inaspettata presa di potere da parte di Gomes da Costa ai danni di Cabeçadas non sia condizione conciliabile con il proprio compito. Fino al momento della sua nomina definitiva a Ministro dell’Economia, Salazar non si risparmia in termini di interventi giornalistici denunciando la drammatica situazione economica portoghese. In particolare, si dichiara fortemente contrario al prestito di dodici miliardi di sterline che il governo sembra più che intenzionato a voler chiedere alla Società delle Nazioni2.

Finalmente, il 27 aprile del 1928 Salazar prende una volta per tutte le redini dell’economia nazionale accettando l’incarico offertogli dal generale Carmona, seppur ponendo alcune condizioni. Ottiene, infatti, che il proprio Ministero possa esercitare il controllo su tutti gli altri, pretendendo che questi moderino le loro spese, che venga previamente consultato quando si debbano discutere provvedimenti che richiedano particolari spese statali e che possa opporre il veto su tali manovre. Marcello Caetano lo descrive, almeno in questa iniziale fase della sua esperienza politica «[…] distante e riservato nei contatti, freddo nelle manifestazioni esteriori, duro nei giudizi, fermo nelle decisioni, implacabile nel risparmio del denaro pubblico e nella difesa della moralità amministrativa, intransigente nella disciplina […]» (Caetano 1977: 35). A questo punto, a trentanove anni, il nuovo Ministro dell’Economia ha nelle sue mani poteri pressoché illimitati. Per ridurre il drammatico debito pubblico annuncia fin da subito che la sua ricetta sarà estremamente dolorosa per i portoghesi, fatta di sacrifici, aumento della tassazione e del costo della vita.

Nel 1930 promuove la nascita della União Nacional: lo scopo di questa formazione è quello di aggregare gli elementi civili che possano dare il loro appoggio alla dittatura. Salazar presenta questa nuova formazione politica nel quarto anniversario del 28 maggio 1926 e, non certo casualmente, davanti ad una grande folla di militari. Il discorso che pronuncia può considerarsi l’azione che segna l’allontanamento delle forze militari dal potere e sancisce la fine della dittatura militare e l’inizio di quella nazionale (Caldeira 1986: 95). Sebbene come partito nasca ufficialmente il 30 luglio, il manifesto della União Nacional si considera tracciato già con le parole proferite in questa occasione. Si definisce il Portogallo come uno «Stato Nazionale sociale e corporativo, invocando un nazionalismo storico, razionale, riformatore e progressivo che si allontana dal socialismo e dal liberalismo sia per via teorica, che pratica […]» (Politipédia). Oltre a ciò, la famiglia viene caricata di una veste politica centrale nel progetto del regime e l’esecutivo di un’autorità massima. Le azioni principali attraverso le quali preparare il consenso intorno al nuovo assetto politico sono l’organizzazione di grandi manifestazioni propagandistiche e la strumentalizzazione della stampa: infatti, nel 1931 il Diário da Manhã pubblica il suo primo numero in quanto organo ufficiale della União Nacional. Due anni dopo, con la nuova costituzione adottata dal regime, diventa l’unico partito consentito in Portogallo, con la funzione di «creare nel paese l’atmosfera indispensabile perché la grande riforma necessaria nella politica e nei costumi sia intesa dal settentrione al mezzodì, per modo che possa compiersi senza grandi attriti e senza grandi ostacoli» (Serapiglia 2014: 71). Il prestigio che Salazar intanto costruisce attorno alla propria figura lo porta a sommare alla carica di Ministro dell’Economia anche quella di Presidente del Consiglio già a partire dal 1932, su invito dell’allora Presidente della Repubblica, Carmona.

L’Estado novo: una dittatura originale?

Spesso si parla di miracolo finanziario in relazione all’opera di risanamento effettuata da Salazar: in effetti, in appena un anno riesce nell’impresa di riportare il bilancio statale non solo in pari, ma addirittura in attivo. Della sua azione risanatrice scriverà sempre Caetano: «tagliò le spese, incrementò alcune entrate, e ciò che fin qui tutti avevano dipinto come un’impresa erculea, parve fatto: le spese autorizzate non superavano le entrate previste» (Caetano 1977: 37). La riorganizzazione della vita economica del Paese è capillare: per farsi un’idea della portata della sua attività riformatrice, basti pensare che tra il 1928 e il 1940 fa pubblicare più di 2300 fra decreti e decreti-legge. Rimane in carica come Presidente del Consiglio per ben trentasette anni. Tra il 1936 e il 1947, per periodi quasi totalmente sovrapponibili, ricopre anche i ruoli di Ministro della Guerra e degli Affari Esteri.

Come riassume magistralmente Torgal, Estado novo traduce:

[…] uma acção política “totalitária”, nacionalista mas também de tendências internacionalistas, um Estado de controlo das massas, activista e voluntarista, simultaneamente tradicional e moderno, corporativista, antiliberal e anti-socialista, um Estado criador de uma mentalidade e de uma ética “nova” desde a juventude, fundador de um homem “novo”, de uma “cultura nova” (Torgal 2009: 76).

Molti dei tratti che fungono da collante per la pavimentazione del nuovo corso del Portogallo si riassumono nelle parole appena citate. Ad esempio, il regime si caratterizza per la matrice cattolica di cui è intrisa, fin da subito, l’azione di Salazar. Quest’ultimo si serve di questa sua qualità studiando un progetto che risulti in un inestricabile intreccio del bene nazionale con i principi del radicato credo religioso dei portoghesi. La morale cristiana è quel vettore attraverso cui legittimare quella sua richiesta di comune obbedienza ai principi morali cristiani e quella rinuncia alle aspirazioni ed alle ambizioni umane, che sono a dir poco fondamentali nelle mire del regime. La vittoria, a priori, di Salazar sta nel suo porsi come uomo al servizio della nazione: come lui si sacrifica per il bene della propria patria, così devono fare i cittadini. Proietta a livello nazionale l’ordine che ogni portoghese vorrebbe veder regnare all’interno della propria famiglia (Menéndez 2007).

Si è a lungo discusso se poter assimilare la dittatura portoghese alle altre dittature europee riassumendo, quindi, tutte queste caratteristiche in un solo attributo, ovvero nel termine fascista. Come rileva Torgal, la matrice nazionalista portoghese «[…] era e ribadiva di essere molto differente dal nazionalismo violento italiano e, soprattutto, tedesco. Doveva esserlo tenendo di conto delle diverse circostanze dell’Estado novo e le peculiarità del popolo portoghese» (Torgal 2009: 357). Lo stesso Salazar dichiara a Ferro:

La nostra dittatura si avvicina, evidentemente, alla dittatura fascista nel rafforzamento dell’autorità, nella guerra dichiarata a certi principi della democrazia, per il suo carattere accentuatamente nazionalista, per le sue preoccupazioni di ordine sociale. Se ne discosta, però, nei metodi di rinnovamento. La dittatura fascista tende a un cesarismo pagano, a uno stato nuovo che non conosce limitazioni di natura giuridica né morale, che marcia verso le sue mete senza trovare ostacoli (Serapiglia 2014: 91).

Tuttavia, anche se si rivendica continuamente questa volontà di discostarsi dalla ferocia di altri fascismi europei, le pratiche di consolidamento dell’ideologia del regime, non sono molto diverse da quelle usate proprio da questi ultimi. Nel 1933 nasce la repressiva PVDE – poi rinominata PIDE nel 1945 –, vale a dire la Polícia de Vigilância e Defesa do Estado, la quale, da statuto, ha il compito di contrastare i crimini in ambito sociopolitico e neutralizzare le possibili azioni di agitazione sociale. Questo reparto esercita un controllo totale su ogni cittadino ritenuto anche solo potenzialmente pericoloso per il regime. Ad esempio, si serve di intercettazioni telefoniche e spie. In pratica, la PVDE agisce attraverso «[…] as prisões, a violação da privacidade, os julgamentos, as torturas praticadas, a repressão na rua, as mortes violentas» (Serapiglia 2014: 404), che si configurano come diretta incarnazione della matrice repressiva del regime.

L’abilità di Salazar nel mostrarsi come esempio di virtù cristiane da seguire ed allo stesso tempo ideatore di un impianto statale tanto oppressivo lascia esterrefatti. Del resto, Salazar è stato molte cose. Non ultimo, un uomo che non si è fatto scrupoli nell’adottare tutte le misure che gli avrebbero permesso di guidare il proprio Paese sulla rotta che lui aveva deciso di fargli percorrere. I portoghesi hanno dovuto piegarsi a tutto ciò. La tesi non approfondisce questo aspetto, ma il ricorso alla censura, alla tortura, all’imprigionamento degli oppositori ed all’uso della PIDE come mezzo personale nella soppressione di qualsiasi tipo di opposizione sono una costante dell’Estado novo almeno tanto quanto i caldi inviti a rendere grande il Paese.

«Simili come gocce d’acqua il Portogallo e il suo capo» (Montanelli 1960c)

Nessuno poteva immaginare ciò che Salazar avrebbe rappresentato per il Paese. Forse, una delle chiavi di lettura più efficaci per farci un’idea dell’iniziale ingenuità con la quale si lasciò via libera alla sua ascesa politica è quella che Montanelli ci fornisce in uno degli articoli che gli dedica. Il giornalista toscano scrive: «e così nacque, in forza soltanto di un diritto di “veto” in campo finanziario, la più singolare di tutte le dittature, da parte di un uomo che non aveva mai fatto politica, che non era sostenuto da nessun partito né da altre forze organizzate o rivoluzionarie [e] che ancora oggi non ne ha […]» (Montanelli 1960c). Fatto sta che le sorti politiche, e non solo, del Portogallo si legano a doppio filo con quelle del suo uomo forte. Senza contare l’iniziale quadriennio da Ministro delle Finanze, Salazar guida, sostanzialmente, il Portogallo dal 1932 al 1968. Si tratta di un periodo lunghissimo, durante il quale ha potuto non soltanto tenere saldamente le redini di ogni settore della vita portoghese, ma anche portare a compimento un processo di modellamento degli animi che i cittadini portoghesi non sarebbero riusciti a scrollarsi di dosso per molto tempo.

Bisogna, tuttavia, constatare che, nel momento in cui affrontiamo lo studio di quest’uomo politico, ci imbattiamo immediatamente in qualcosa che stride con l’idea di dittatore che comunemente si delinea nel nostro immaginario. Salazar risulta, infatti, per certi aspetti, molto diverso da dittatori come Adolf Hitler o Benito Mussolini, ai quali il corso del Novecento europeo ci ha insegnato a guardare. Durante il 1960, Montanelli scrive sulle colonne del Corriere della Sera tenendo una propria rubrica centrata sulla figura del dittatore, dal titolo, giustamente, Ritratto di Salazar. Ebbene, già allora Montanelli si stupisce del fatto che, ricercando materiale bibliografico su Salazar, i risultati ottenuti siano quantitativamente deludenti e praticamente gli stessi di un’indagine effettuata dodici anni prima (Montanelli 1960a).

Oggi, a cinquant’anni dalla morte di Salazar, la sua figura sembra essere sempre più sbiadita nella memoria collettiva lusitana. Difatti, in un recente articolo pubblicato sul Diário de Notícias, si cerca di analizzare proprio le ragioni di questa mancanza di interesse verso la figura del dittatore (Céu e Silva: 2020). Ci si aspetterebbe che, in occasione del cinquantenario, almeno un nuovo contributo venisse dato alle stampe. Sono varie le cause prese in considerazione per dare ragione di questo vuoto, ma nessuna di quelle esposte pare essere più convincente di altre. Tuttavia, tra le osservazioni più interessanti, citiamo quella di Ribeiro de Meneses3, la quale ci suggerisce come, in molti portoghesi, le tracce di quasi quarant’anni di governo salazarista siano ancora estremamente, forse troppo, vivide. Insomma, questa breve riflessione ci dà un’idea della portata di ciò che avvicinarsi alla figura di Salazar implica e, ancor più, di quanto sia stato un personaggio difficile da inquadrare per gli stessi portoghesi, ieri come oggi.

Salazar è indubbiamente un uomo scaltro, di un’immensa cultura, decisamente brillante e determinato. A ciò si aggiunge il fatto che, in un panorama politico che fino a quel momento aveva fatto da catalizzatore di violente convulsioni partitiche e cospirazioniste, il professore di Coimbra si staglia come una figura originale, un uomo differente dai precedenti capi politici. Infatti, come si legge in José Gil: «mentre tutti si dibattono e parlano, lui si mantiene silenzioso ed immobile. In questo modo, produce un effetto di focalizzazione dell’attenzione su se stesso. In mezzo al tumulto generale, rimane l’unico punto di riferimento stabile» (Gil 1995: 54). È abbastanza facile credere che sia stato proprio questo basso, bassissimo profilo a permettere alla personalità di quest’uomo di insinuarsi anche negli angoli più reconditi dell’essenza dei portoghesi. Gli ingredienti della strategia di Salazar sono magistralmente esposti nel saggio scritto da José Gil – saggio che fa anche da prototesto della traduzione che ho realizzato nell’ambito della discussione della tesi magistrale – tra altri ingredienti, quindi, solo per citarne alcuni, ecco che incontriamo la retorica priva di retorica, la drammatizzazione della verità, lo escrito-lido, il gioco d’incastri dei piani narrativi, il silenzio, l’invisibilità.

Come anticipato, non si tratta certamente di un politico dai tratti canonici. «Tutto sintesi e introversione» (Caetano 1977: 74), Salazar non ricerca la visibilità (anzi, è proprio all’invisibilità che ambisce), né la notorietà voluta da altri dittatori. «Egli non ha molti contatti con le masse, anzi non ne ha quasi nessuno. […] Salazar è un dittatore che detesta il balcone» (Montanelli 1960d). La lettura della rubrica tenuta da Montanelli fornisce un ritratto davvero interessante di Salazar e la portata di questa personalità tutta unica trasuda dagli aneddoti che racconta per descrivere il personaggio. Tutto, in Salazar, contribuisce a renderlo un dittatore atipico. A seguire, una breve fotografia scattata dal giornalista:

è piuttosto alto, ma un po’ curvo. Il volto è bello e di razza, sebbene egli venga da una modestissima famiglia di contadini: ha folti capelli d’argento, i tratti marcati, il naso aquilino, la bocca sottile e amara, gli occhi più vecchi di tutto il resto, come prosciugati, con qualche bagliore d’ironia agli angoli. Di singolare, ha le mani lunghissime, con le dita fragili e snodate […]. La loro pelle ha il colore delle piante senza clorofilla (Montanelli 1960b).

Al di là del ritratto che possiamo riuscire a realizzare tramite le informazioni raccolte su Salazar, è indubbio che una personalità tanto ricca di chiaroscuri abbia esercitato un’enorme influenza sui portoghesi. Consapevole di questa sua esclusività, Salazar rappresentava il prototipo del “buon portoghese” al quale mirava a ricondurre l’essere di ogni cittadino.

Pessimo oratore, sublime stratega: i discorsi. Lo escrito-lido e le sue potenzialità

Senza alcun dubbio, la pratica del cosiddetto “scritto-letto” è una strategia chiave dell’azione elocutoria e, al contempo, politica, di Salazar. Non è un caso, infatti, che José Gil le dedichi un intero capitolo. Seguendo il suo ragionamento, riusciamo a comprendere l’architettura così minuziosamente articolata che fa da scheletro alla tecnica di Salazar, vale a dire, una tecnica in grado di suscitare emozioni radicate nell’inconscio di coloro che ascoltano le sue parole. Emozioni, queste, di difficile definizione proprio perché – in quanto tali – chiamano in causa il terreno più o meno ignoto della dimensione intima umana, dell’inconscio. Fin qui, tuttavia, si potrebbe affermare che non ci sia niente di insolito: un oratore politico che si rivolge ad un pubblico si presume aver tutt’altro obiettivo che lasciarlo indifferente. È il modo in cui Salazar fa questo che desta l’interesse tutto particolare che fa da tema principale al saggio di Gil. «[…] Continuava a produrre silenzio, metteva a tacere nelle persone la comprensione e l’espressione della propria condizione reale, facendole oscillare tra giudizi di sé estremi ed opposti: “non siamo niente, non valiamo nulla” e “siamo i migliori, geni, eroi”» (Gil 1995: 55): è questa l’“altalena” sulla quale fa forzatamente sedere il proprio pubblico e che stride tanto nettamente rispetto a stili e contenuti oratori sicuramente più noti in Europa.

Gil apre il capitolo dedicato a questa tecnica con un’affermazione riguardo la natura intrinsecamente relazionale della lettura (che ovviamente può esser fatta solo dei testi scritti). Questa relazione ha due caratteristiche: innanzitutto, viene a crearsi inevitabilmente tra i partecipanti all’atto (nel nostro caso, ci sarà Salazar da un lato a scrivere e poi leggere il proprio discorso, e dall’altra il pubblico che lo ascolta), ed in secondo luogo, è caratterizzata dal silenzio. Proseguendo nella lettura della tesi di Gil, si scopre come sia proprio questo silenzio la chiave vincente che permette a Salazar di esercitare un potere tanto pervasivo al momento della lettura dei discorsi. Il silenzio di cui parla Gil, infatti, non è semplice assenza di suono. Si tratta di una presenza silenziosa, una presenza contraddistinta dalla peculiarità di essere inavvertibile. Oltre ad essere fertile terreno d’innesto della relazione 1:1, è anche concretizzazione dello spazio pubblico. Lo spazio pubblico è la traccia che rimane della possibilità di lettura-enunciazione pubblica di ciò che scrive-dice Salazar. Nel momento in cui un soggetto decide di fare l’esperienza di ascolto delle parole di Salazar, si ritrova, di colpo, catapultato in una dimensione inedita. Una volta immerso in questa condizione – che chiama in causa direttamente il proprio inconscio – non ha più nessuna possibilità di scegliere se seguire o meno i ragionamenti logici e trasparenti del dittatore, non può più tornare indietro. Come lo scritto è aperto a tutti gli sguardi, allora anche il discorso scritto, che poi verrà letto da Salazar, andrà incontro alla stessa sorte. Trasposto a livello orale, quello spazio pubblico che egli riesce ad imbrigliare ed incorporare, in versione silenziosa, nel testo diventa la sua capacità di comunicare alle masse, oltre che al singolo individuo, rendendo questa ben più di un semplice “messaggio comunicato al singolo e moltiplicato per il numero di ascoltatori”. Salazar legge i propri discorsi e lo fa di fronte ad immensi raduni di persone. Ciò che davvero sorprende è l’efficacia che mantiene questa sua strategia anche quando rapportata alle folle ed inserita nel tripudio generale.

In pratica, dunque, il soggetto A si rivolge ad un soggetto B, e lo fa all’interno di un canale preferenziale che lo vede come suo unico interlocutore. Il silenzio che avvolge questo dialogo (in realtà solido monologo del dittatore) è la presenza fisica dello spazio pubblico, aperto potenzialmente a tutti coloro che vogliano ascoltare Salazar. C’è un’ulteriore osservazione che Gil porta alla nostra attenzione: esattamente come accade per un paesaggio, tutti possono fare esperienza dello scritto (ovvero dello scritto, poi letto da Salazar). Ciò significa che tanto il singolo, quanto la collettività possono accedere ai contenuti veicolati, e questi stessi contenuti acquisiranno immediatamente lo stato di comunicazione sociale. L’entità che leggerà il testo scritto, starà parlando e continuerà a farlo «[…] sotto gli occhi di tutti e per sempre, essendo, nello scritto, presenti inscrizione, memoria […]» (Gil 1995: 17-18). In ultima battuta, dunque, il canale preferenziale di comunicazione tra Salazar ed il singolo è anche lo stesso che sussiste tra lo stesso Salazar e la massa. Non solo: il fatto che questa comunicazione venga trasposta a livello collettivo non la rende meno intima. Ultima nota fondamentale per la corretta comprensione dell’apparato ordito da Salazar è la sua consapevolezza del fatto che, per influenzare davvero in profondità il proprio pubblico, deve agire sulla sfera inconscia di chi lo ascolta. L’unico modo per fare questo è prediligere proprio un tipo di comunicazione inconsapevole, involontaria, ma altrettanto profonda e potente.

Insomma, la strategia che Salazar mette in atto sembra davvero studiata nei minimi dettagli e con l’obiettivo di esercitare un’influenza che sia il più duratura ed incisiva possibile su chi lo ascolta. Tutto ciò acquisisce il suo vero significato finale solo se rapportato allo scopo della politica dell’Estado novo, vale a dire, trasformare la tempra dei portoghesi per renderla funzionale alle mire del regime.

La actio nei discorsi di Salazar

Quando si parla dell’atteggiamento che António Salazar assume leggendo in pubblico i propri discorsi, quella di ritrovare caratteristiche che siano riconducibili alla dimensione della actio è un’impresa decisamente notevole. Come già abbondantemente sottolineato, Salazar spicca tra i dittatori europei novecenteschi proprio per la sua atipicità in relazione ad alcuni aspetti prettamente “dittatoriali”. Tra gli altri, dunque, sono già state sottolineate la sua tipica avversione al culto della persona ed il suo disagio manifesto nel parlare di fronte a sconfinate folle. Sicuramente, anche il modo di pronunciare i discorsi, che scrive precedentemente, è diverso da altri casi. In particolare, gli aspetti riconducibili alla actio sembrano essere minimi.

Tuttavia, si è deciso di ricercare qualche indizio che potesse dare un contributo – in positivo o in negativo – alla riflessione su Salazar che la tesi realizzata si propone di stimolare. Nel libro Minhas Memórias de Salazar, Marcelo Caetano dice di essersi convinto a scrivere poiché intenzionato a confutare i falsi luoghi comuni che negli anni sono stati creati attorno a Salazar.

Lo stesso Caetano apre il settimo capitolo del proprio libro manifestando stupore per la particolarità del caso di Salazar: «In generale i politici si fanno strada mediante la conquista di simpatie e l’abile intercettazione di consensi. […] E poi, nel 1928 arriva quel professore da Coimbra… Aspetto debole, voce da vecchia, austerità da professore […]» (Caetano 1977: 40). Ecco che Caetano ci dà subito un’importante indicazione sul timbro di voce del dittatore. In effetti, ascoltando le registrazioni dei discorsi pronunciati via radio, disponibili al sito web della RTP, si ascolta una voce decisamente poco accattivante. Non di rado diventa una voce strozzata, spesso soggetta a “sfilacciamento”, quando la melodia intonativa dell’enunciazione richiede piccoli e brevi acuti (soprattutto quando parla alla folla). Non si tratta, quindi, di una voce invitante, a tratti è stridula. Salazar usa le pause con grande attenzione: è evidente una forte corrispondenza tra queste e la funzione grammaticale svolta dalla punteggiatura dei suoi discorsi. Nel complesso, dunque, non sembra affatto seducente la voce di Salazar. Forse chi lo ascoltava rimaneva incantato, piuttosto, dall’accuratezza formale con cui esponeva i propri ragionamenti. Del resto: «ricca, elegante, carica di forza espressiva» (Caetano 1977: 41) è come Caetano qualifica la prosa del dittatore.

Se avessimo avuto occasione di assistere alla lettura di uno dei suoi discorsi, avremmo visto «[…] un uomo spento, con il foglio in mano che leggeva con una voce timbrata, ma poco seducente, senza atteggiamenti tribunizi, senza un gesto» (Caetano 1977: 41). Ci si sarebbe prospettato uno spettacolo profondamente diverso da quello a cui avremmo assistito se fossimo stati spettatori di un discorso tenuto, ad esempio, da Benito Mussolini. Salazar legge e basta, insomma. E quando il pubblico lo interrompeva, applaudendo, «[…] lui taceva, scorreva serenamente lo sguardo sulla propria platea e riprendeva a leggere con lo stesso tono» (Caetano 1977: 41). L’assenza più totale di una qualsiasi indicazione circa il linguaggio gestuale è già di per sé un forte indizio. Tra i contenuti disponibili nell’archivio della RTP esistono anche alcuni video che ritraggono Salazar intento a parlare sia alle folle sconfinate riunite in Praça do Comércio, sia a raduni più ristretti. Ebbene, la scena è sempre la medesima: Salazar è in piedi o seduto, legge da un foglio (che tiene in mano o appoggiato su una superficie), di fronte ai microfoni che trasmetteranno il suo intervento.

Ancora nell’archivio della RTP, possiamo ritrovare alcuni video (pochi) in cui Salazar si trova a parlare da seduto e, quindi, con il suo fedele foglio appoggiato su di una scrivania. Questi casi rappresentano l’unica, minima, deroga all’assenza di gestualità: con una mano, infatti, spesso accenna alcuni piccoli movimenti (come, ad esempio, il picchiettare con l’indice sulla scrivania).

Possiamo, dunque, concludere affermando che la peculiarità di Salazar si riflette anche nel suo modo di apparire davanti al pubblico a cui parla. Non gesticola e la sua voce non gli permette un uso strategico funzionale della prosodia. Per contro, fa un uso ponderato delle pause.

Il modo in cui Salazar si presenta ai portoghesi e presenta loro il piano economico che si appresta a mettere in atto è già di per sé indicativo della perversione che caratterizza il personaggio. Come osserva José Gil, Salazar è riuscito ad ipnotizzare i portoghesi, con la propria personalità (invisibile) è riuscito a condurli in uno stato di “semi-veglia” che gli ha permesso di attuare misure di restrizione delle libertà personali e manovre economiche che oggi definiremmo “lacrime e sangue”. Salazar ha un obiettivo ed ha intenzione di perseguirlo a qualsiasi costo. Se, per raggiungerlo, i portoghesi dovranno affrontare tempi duri, rinunciare alle umane e naturali aspirazioni, soffrire o, addirittura morire, questa sofferenza sarà commisurata a quella di cui lo stesso Salazar farà esperienza mettendosi al servizio della propria Nazione per dirigere un progetto tanto arduo.

Bibliografia

Caetano, Marcello (1977), Minhas Memórias de Salazar, Lisboa, Editorial Verbo.

Caldeira, Arlindo Manuel (1986), O partido de Salazar: antecedentes, organização e funções da União Nacional (1926-34), «Análise social», 94, p. 943-977.

Gil, José (1995) Salazar: a Retórica da Invisibilidade, Lisboa, Relógio D’Água Editores.

Serapiglia, Daniele (2014), Le interviste di Ferro a Salazar, In: Daniele Serapiglia (a cura di), Il fascismo portoghese, Bologna, Edizioni Pendragon.

Torgal, Luís Reis (2009), «As “novas gerações” e a noção de “Estado Novo” ou de “Estados novos” In: Torgal L.R., Estados novos, estado novo: ensaios de história política e cultural, Coimbra, Imprensa da Universidade de Coimbra, p. 70-77.

Sitografia

Menéndez, Fernanda Miranda (2007), Salazar ou a conquista discursiva do poder, «Veredas. Revista de Estudos Linguísticos», 10 (consultato il 17/06/2020).

Montanelli Indro (06/04/1960d), Nasce dalla noia l’unica opposizione, «Corriere della Sera», p. 2-3, (consultato il 22/08/2020).

Montanelli Indro (03/04/1960c), Chiuso nella penombra lo straordinario dittatore, «Corriere della Sera», p. 2-3, (consultato il 25/08/2020).

Montanelli Indro (30/03/1960b) La più singolare e grigia di tutte le dittature mondiali, «Corriere della Sera», p. 2-3 (consultato il 18/08/2020).

Montanelli Indro (27/03/1960a) Simili come gocce d’acqua il Portogallo e il suo capo, «Corriere della Sera», p. 2-3, (consultato il 21/08/2020).

Politipédia. Repertório Português de Ciência Política (consultato il 20/06/2020).

RTP arquivos, Discorsi pronunciati da Salazar (consultato il 24/06/2020).

Silva João Céu (25/07/2020,) Reflexo de Salazar no espelho português está a ficar menos nítido, «Diário de Notícias» (consultato il 23/08/2020).

Note

  1. Questo paper è composto da estratti della tesi intitolata Tra persuasione e invisibilità: la retorica di António de Oliveira Salazar e i discorsi alla Legião Portuguesa, da me discussa in data 11/12/2020 per il corso di studi in Linguistica e Traduzione dell’Università di Pisa.
  2. In cambio, la Società delle Nazioni pretende di formare un comitato di controllo sull’amministrazione delle finanze portoghesi.
  3. Autore dell’unica biografia esaustiva su Salazar, secondo il Diário de Notícias.
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