1
Jane Wells Webb Loudon, figura interessante di autrice letteraria e mediatrice culturale di epoca vittoriana, nacque nel 1807 a Birmingham, formandosi in un ambiente moderatamente acculturato. Il padre, Thomas Webb, era infatti un imprenditore in un momento di benessere per la città manifatturiera, e questo le permise di seguire un primo percorso di studi tra le mura domestiche. Purtroppo, però, Jane rimase orfana a soli diciassette anni (aveva già perso la madre nel 1819) e le difficili condizioni finanziarie la spinsero a dedicarsi alla scrittura per potersi sostenere economicamente. Come ricorda Bea Howe (1961: 36), nel 1827, a soli vent’anni, l’autrice diede alle stampe un romanzo di impianto visionario e tecnologico-futuristico, The Mummy! Or, A Tale of the Twenty-Second Century, pubblicato anonimo in tre volumi presso Henry Colburn. Narrazione in cui marche fantascientifiche di ispirazione shelleyiana (ovvero Frankenstein; or, The Modern Prometheus, 1818) si compenetrano con quelle dell’apologo, il romanzo è ambientato in un’Inghilterra evoluta ed emancipata dell’anno 2126. Come sottolinea Lisa Hopkins (2003: 15), l’operarisulta la prima in lingua inglese a sviluppare il topos di una mummia che si risveglia dalla morte: protagonista è qui nientemeno che il faraone Cheope, il quale trascorrerà del tempo in Inghilterra, elargendo saggi consigli anche di natura pubblica e governativa, basati sulla sua esperienza di sovrano. In contrasto con la tradizione gotica e le sue creature soprannaturali dalla fisionomia mostruosa e orrifica, la mummia loudoniana rinasce con il suggello divino e agisce come una guida sostanzialmente rassicurante.
Paola Fanucci (2016: 22) rileva come il futuro immaginato da Jane Loudon sia ricco di dettagli concernenti i costumi, le condizioni socio-economiche e il progresso scientifico di un’ipotetica Inghilterra del terzo millennio. L’autrice prospettò infatti innovazioni tecnologiche strabilianti per gli inizi dell’Ottocento, ma realistiche se rilette ai giorni nostri, come la possibilità di viaggiare utilizzando un pallone aerostatico o la presenza di automi che fanno le veci di chirurghi. Altri cambiamenti riguardano l’ambito della vita civile e dei rapporti sociali, dall’istruzione (diritto esteso a tutta la cittadinanza) agli abiti (per esempio, sono stati aboliti i corsetti per le donne, alle quali è ora concesso indossare pantaloni). The Mummy! riscosse un buon successo e fu determinante per la vita dell’autrice, catalizzando l’attenzione del suo futuro marito, lo scozzese John Claudius Loudon, che recensì il romanzo e che ella ebbe così modo di conoscere nel 1830.
John Claudius Loudon (1783-1843) era un noto e stimato architetto di giardini e del paesaggio, autore scientifico ed editore, botanico e urbanista con una particolare sensibilità per il potenziamento del verde. Fu promotore di un nuovo stile di “fare giardino”, designato con il termine gardenesque, da lui coniato, che prevedeva una commistione tra geometrico e pittoresco, autoctono ed esotico, ornamentale e funzionale (Fanucci 2016: 30). Esso si proponeva come l’erede naturale del picturesque, nota categoria estetica di matrice (pre)romantica che puntava su un effetto di sorpresa e su giochi di combinazione e varietà, ma che nel settore del giardinaggio stava diventando obsoleta, anche a causa della presenza sempre maggiore di specie vegetali provenienti dalle colonie (Morris 2004: 101).
Quando John Claudius Loudon lesse The Mummy!, ne rimase favorevolmente colpito, in particolare per quanto concerneva alcune delle invenzioni legate al mondo agricolo, come la mietitrice a vapore e la mungitrice automatica. Ciò lo incuriosì sull’identità dell’autore di quest’opera anonima, che, con sorpresa, scoprì essere una donna. Nella sua biografia dedicata alla Loudon, Howe (1961: 41) ricostruisce questo magico incontro tra John Claudius e Jane, le cui affinità trovarono ben presto coronamento nel matrimonio, celebrato nel 1830.
Poiché la tenuta londinese della coppia era adornata di giardini, serre e verande, la Loudon si prodigò nell’aiutare il coniuge nella cura della ricca e variegata vegetazione. Nonostante, prima di allora, non avesse mai avuto ambizioni in quest’ambito, ella apprese i rudimenti della botanica, del giardinaggio e dell’architettura paesaggistica grazie sia al marito, sia all’esperienza personale: non solo diventò la segretaria e la dattilografa di John Claudius, ma lo accompagnò nei viaggi di lavoro. Inoltre, nel 1831, l’autrice frequentò una serie di lezioni di botanica rivolte a un pubblico femminile, organizzate dalla Horticultural Society di Londra e tenute dall’eminente botanico John Lindley (1799-1865).
Nel panorama editoriale dei manuali di giardinaggio, tuttavia, la Loudon notò una carenza di testi adatti per un pubblico femminile amatoriale: le opere esistenti, a firma maschile, si caratterizzavano per un impianto tecnico ed enciclopedico che, di fatto, presupponeva conoscenze professionali di base già acquisite. Al contempo, a partire dal 1840, ella si attivò per contribuire economicamente al ménage familiare, purtroppo minato da debiti contratti da John Claudius per il finanziamento di importanti studi e progetti, come la pubblicazione di Arboretum et Fruticetum Britannicum nel 1838 (Fanucci 2016: 23). Facendo di necessità virtù, la Loudon decise così di mettere a frutto la sua nascente passione per il giardinaggio e la botanica scrivendo manuali su questi temi, che fossero però pensati per le donne.
Nel 1840 uscì il suo primo testo, Instructions in Gardening for Ladies, che ebbe un notevole successo, vendendo 20.000 copie. L’opera fu pubblicata in un momento in cui in Inghilterra il giardinaggio iniziava a incuriosire le signore della classe medio-alta, che però non avevano ancora una formazione in materia ed erano in qualche modo scoraggiate dal tecnicismo e dalla settorialità dei prontuari in commercio. L’autrice si mise allora metaforicamente al fianco delle lettrici, adottando un linguaggio diretto ma garbato e documentato. In questo e in altri suoi scritti, la Loudon riuscì a creare un’atmosfera confidenziale di dialogo, confronto e immedesimazione, ripercorrendo la propria esperienza di botanica e giardiniera, dapprima limitata, e poi sempre più ferrata grazie ad un impegno costante e alla disponibilità ad apprendere.
Nella sezione prefatoria di Instructions in Gardening for Ladies, ella afferma di aver deciso di scrivere un manuale per aiutare le lettrici che avessero voluto avvicinarsi al giardinaggio, proprio perché lei stessa, avendo iniziato ad interessarsene da pochi anni, avrebbe potuto dare utili consigli con cognizione di causa: «Having been a full-grown pupil myself, I know the wants of others in a similar situation» (Loudon 1840: 3). Seguono spiegazioni circostanziate su come mantenere il proprio giardino senza tralasciare nessun aspetto, partendo dagli indumenti e strumenti necessari fino ai metodi più pratici ed efficaci per ripulire gli attrezzi. Gran parte del manuale del 1840 mira a mettere a fuoco nozioni e tecniche che possano permettere alle signore di occuparsi di mansioni generalmente giudicate appropriate all’uomo o alla servitù, come il potare o il vangare, ritenuti particolarmente faticosi e non consoni a una lady.
La Loudon era convinta che il giardinaggio potesse essere uno stimolo, un sano diversivo e un’occasione per mostrare la propria creatività da parte delle signore borghesi, la cui vita gravitava sostanzialmente intorno alla gestione della casa e alla cura della famiglia. Grazie a Instructions in Gardening for Ladies, le sue lettrici avrebbero potuto scoprire che non solo i giardinieri esperti, ma anche loro stesse erano in grado di occuparsi di molti aspetti inerenti al gardening. Nel manuale sono inoltre inserite riproduzioni di incisioni nelle quali l’attenzione al dettaglio estetico si accompagna ad una funzione informativa ed esplicativa. Tutto ciò contribuisce all’orchestrazione di un tessuto discorsivo in cui Mrs. Loudon si profila come una advisor solerte e comprensiva, pronta a dare consigli senza suonare pedante.
Successivamente, l’autrice si allontanò dall’orticoltura per dedicarsi alle scienze botaniche. Al 1841 risale infatti The First Book of Botany, opera che mirava a fornire i rudimenti della disciplina a un pubblico giovanile. L’anno seguente, la Loudon diede alle stampe Botany for Ladies, testo speculare al manuale di giardinaggio del 1840, in cui, con il medesimo approccio, ella si proponeva di spiegare i principi della botanica ad una platea di donne, che spesso non avevano avuto modo di apprendere la materia a causa del preconcetto che vedeva le scienze come un settore poco adatto alla “mente femminile”. L’opera fu accolta favorevolmente e uscì in numerose edizioni; nel 1851, per esempio, ne fu stampata una versione dal titolo più “ecumenico”, ossia Modern Botany: poiché le scienze stavano diventando un argomento che riceveva importanti riscontri dal pubblico, si decise di dare al volume un titolo di più ampio respiro, capace di rivolgersi ai lettori di entrambi i sessi.
Contemporaneamente, la Loudon si concentrò su The Ladies’ Flower-Garden (1840-1848), una serie di quattro volumi focalizzati su un corpus selezionato di esemplari floreali. I volumetti fornivano descrizioni di piante da fiore integrandole talvolta con dettagli complementari, come l’uso in ambito culinario o il contesto folklorico, nonché tavole create dalla Loudon stessa (Fanucci 2016: 42). Grazie all’ottima ricezione della collana, l’autrice proseguì lungo questo percorso con British Wild Flowers (1846), un manuale dall’impostazione similare ma riguardante le specie selvatiche autoctone.
Nel 1843, John Claudius si spense prematuramente a causa di un cancro ai polmoni, lasciando moglie e figlia in una situazione critica, minata da debiti. Nel tentativo di risanare le loro condizioni finanziarie, Jane e la figlia Agnes si apprestarono a comporre nuove opere, concentrandosi anche su progetti di revisione di quelle di John Claudius (Howe 1961: 86). Nel 1845 uscì The Lady’s Country Companion, volume contenente un immaginario scambio epistolare con una giovane sposa appena trasferitasi in campagna, alla quale l’autrice elargisce consigli su come occuparsi a tutto tondo di una piccola tenuta rurale. Alle sue lettrici, Jane Loudon suggeriva qui di «assumere il controllo della propria vita, insegnando loro tutte le operazioni indispensabili per vivere in campagna» (Fanucci 2016: 31).
La Loudon fu anche redattrice. Nel 1841, diresse per un breve periodo la «Ladies’ Magazine of Gardening» e nel 1849 passò a «The Ladies’ Companion», testata che accoglieva articoli miscellanei per un pubblico femminile. L’autrice stessa specificò che, attraverso queste scelte, ella non intendeva “usurpare” il ruolo degli uomini, bensì rendere più consapevoli le donne in merito al loro potenziale, incoraggiandole a svilupparlo e incanalarlo in un modo positivo e gratificante. Il successo di «The Ladies’ Companion», tuttavia, si eclissò in tempi rapidi, circostanza che determinò la sostituzione della Loudon nelle sue funzioni di editor (Howe 1961: 121). Nel suo ultimo editoriale, l’autrice si espresse comunque con toni di ottimismo e fiducia:
Real and vital happiness depends only on ourselves. If once the mind can grasp the truth, and with firmness and courage resolve to draw happiness from the sources whence alone it springs, no storms from without will permanently shake us, no fears depress, no trials overcome us (Loudon 1850: 2).
Jane Loudon continuò a mettere a punto le opere del marito e a dare alle stampe scritti propri fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1858.
2
Come si è anticipato, Instructions in Gardening for Ladies, pubblicato nell’autunno del 1840, era il frutto di un progetto culturale che ruotava intorno al presupposto che il giardinaggio potesse essere non solo un gradevole diversivo, ma addirittura una terapia per i disagi psicofisici di cui varie donne soffrivano in quel periodo, dalla “melanconia” all’“isteria”. Attraverso il giardinaggio, esse si sarebbero allontanate dalla routine domestica grazie ad un’attività non troppo faticosa e, al contempo, partecipata:
The great point is to exercise our own skill and ingenuity; for we all feel so much more interested in what we do ourselves than in what is done for us, that no lady is likely to become fond of gardening, who does not do a great deal with her own hands (Loudon 1840: 344).
Ciò che rendeva il giardino della residenza borghese un ambiente ideale per le signore era che, mentre nelle grandi tenute i parchi erano estesi e distanti dalla dimora principale, qui si trattava di uno spazio intermedio tra contesto domestico e scenario esterno. Era quindi una superficie aperta ma, al contempo, riparata e afferente alla domesticità, una sorta di luogo-soglia rigenerante (Fanucci 2016: 29).
Come l’autrice sottolineò nella prefazione, con un gesto di riconoscenza nei confronti del marito, John Claudius Loudon si era prodigato nell’avvicinarla alla materia, al punto che, in dieci anni, ella avrebbe acquisito una competenza sufficiente per impartire a sua volta consigli e insegnamenti, ed il conseguente «account of her triumphant upwards trajectory surely served to inspire a generation of struggling readers» (Bilston 2008: 4). Si legga questo passo significativo del paratesto:
When I married Mr. Loudon, it is scarcely possible to imagine any person more completely ignorant than I was, of every thing relating to plants and gardening; and, as may be easily imagined, I found every one about me so well acquainted with the subject, that I was soon heartily ashamed of my ignorance. My husband, of course, was quite as anxious to teach me as I was to learn, and it is the result of his instructions, that I now (after ten years’ experience of their efficacy) wish to make public for the benefit of others (Loudon 1840: v).
Sempre in sede prefativa, la Loudon tracciò una distinzione tra amateurs e adepts, ossia tra persone che si avvicinavano per la prima volta al giardinaggio e coloro che, invece, avevano già maturato competenze specifiche. A suo avviso, la maggior parte dei libri di giardinaggio era compilata dagli adepti senza tener conto dei neofiti, cosicché le opere risultavano di difficile comprensione per questi ultimi: a parer suo, l’adept avrebbe dimenticato quali strumenti utilizzare per diffondere efficacemente il proprio sapere ad un pubblico di non-iniziati. Poiché lei stessa era stata a lungo una amateur, avrebbe saputo come rivolgersi ad un(a) principiante in materia, puntando sul coinvolgimento e su una comunicazione opportunamente modulata. In sostanza, ella si proiettò in una figura di mediatrice culturale tra il mondo degli esperti e quello dei “desiderosi di apprendere”, partendo dalla propria esperienza sul campo. Nel suo manuale si ravvisa dunque un intento socio-pedagogico:
it is in fact that very circumstance which is one of my chief qualifications for the task. Having been a full-grown pupil myself, I know the wants of others in a similar situation; and having never been satisfied without knowing the reason for everything I was told to do, I am able to impart these reasons to others (Loudon 1840: 1).
Dal punto di vista strutturale, Instructions in Gardening for Ladies presenta una suddivisione in dodici capitoli che, con i loro titoli descrittivi, inquadrano in modo immediato ambiti, categorie e processi pertinenti per il gardening, dalla preparazione del terreno alla semina, dalla potatura alla manutenzione, fino alle tipologie di giardino e ad una calendarizzazione delle attività. È anche interessante segnalare che, poiché le sue conoscenze botaniche derivavano principalmente dall’impostazione accolta da John Lindley, l’autrice imbastì i propri riferimenti intorno al sistema di classificazione perfezionato da Augustin Pyrame de Candolle (1778-1841), privilegiandolo rispetto a quello linneano e ai richiami più espliciti di quest’ultimo al binomio maschile/femminile. Ciò fa riflettere su come la Loudon si adoperasse per consolidare percorsi nuovi nella scrittura femminile senza tuttavia porsi in modo aggressivo o iconoclastico nei confronti della sensibilità dell’epoca, inclusi certi codici pregiudiziali connessi alla sessualità.
Ricordiamo altresì che Jane Loudon apportò un’ulteriore innovazione retorico-formale nel panorama della manualistica legata alla botanica e all’orticoltura, allontanandosi dal modello dello “stile familiare” o epistolare, generalmente utilizzato dalle autrici coeve nei testi di divulgazione scientifica. Di norma, queste conoscenze erano codificate all’interno di opere strutturate in lunghi dialoghi tra una madre (o una figura femminile) e degli interlocutori di giovane età, in un microcosmo sociale di tipo tradizionale. Un’altra formula usuale consisteva nell’accorpare informazioni in un immaginario scambio di lettere tra due signore incuriosite dall’argomento. Nelle sue Instructions, al contrario, la Loudon evitò di calare la donna nel consueto scenario del focolare domestico o della chiacchiera da salotto (Horwood 2010: 247-248).
È importante ribadire che le sue “istruzioni” si caratterizzano per un equilibrio tra accuratezza tecnico-terminologica e respiro dialogico, incisività e ricchezza di esempi e dettagli, con un aggraziato stile paratattico pensato e plasmato per coadiuvare la lettura. Nell’opera emerge insomma la parabola di un percorso logico-consequenziale coordinato da un’istanza autoriale affidabile e ricettiva. Significativamente, poi, la Loudon elabora parallelismi tra il mondo vegetale e il perimetro empirico/epistemico noto alle signore borghesi, in un’alternanza tra passi informativi e paragrafi dai toni più riflessivi, con qualche chiosa gnomica o appelli al sapere comune. Ad esempio, quando descrive il modo migliore di utilizzare il concime stallatico, l’autrice spiega che esso deve essere sapientemente mescolato con acqua, così da non sovraccaricare le radici delle piante, le quali, in caso contrario, «may be said to expire of apoplexy, brought on by indigestion» (Loudon 1840: 27).
Volendo citare qualche altro passo, consideriamo il capitolo di apertura, Stirring the Soil, che contiene indicazioni sulla preparazione del terreno prima della piantumazione e che si apre con un paragrafo incentrato sulle operazioni di scavo. L’orientamento pedagogico del discorso si percepisce sin dalle prime righe, dove l’autrice afferma che un terreno, se non viene zappato per un certo periodo, tende a indurirsi e a diventare inospitale per i semi, poiché le radici da essi sviluppate non riuscirebbero ad espandersi; inoltre, né l’acqua né l’ossigenazione raggiungerebbero il seme stesso. «When a seed is put into the ground, it is the warmth and moisture by which it is surrounded that make it vegetate» (Loudon 1840: 2), rimarca la Loudon, aggiungendo una sintetica spiegazione scientifica sulla crescita dei primi virgulti del vegetale. Si colgono qui parallelismi tra la descrizione della nascita della pianta e la gestazione umana, allorché ci si riferisce a una parte del seme in termini di «vital knot» (Loudon 1840: 2), come se si trattasse di un embrione. Il manuale abbonda di riferimenti di questo tipo, in cui l’ecosistema vegetale e la realtà antropologica (in senso biologico, ontogenetico, intercomunitario) si intrecciano. Non possono poi mancare i richiami al Dio cristiano, in un contesto epistemico ancora piuttosto lontano dagli orizzonti darwiniani e teso a ricomporre in modo coeso ed “eco-escatologico” i vari tasselli del mondo umano e naturale, con uno sguardo rivolto al trascendente:
The manner in which the root is fitted for the purposes for which it was designed, affords an admirable illustration of the care and wisdom displayed by the Great Creator in all his works. In nature nothing is superfluous, and yet everything has been provided for (Loudon 1840: 3-4).
Subito dopo, però, nel descrivere le funzioni della radice, l’autrice torna ad avvalersi di termini specifici come fibrils e spongiole, seppur affiancandoli a un vocabolario corrente e quotidiano. Mentre illustra come affrontare le operazioni di scavo, la Loudon introduce poi la questione relativa al fatto che il giardinaggio possa o meno considerarsi un’attività consona alle donne: «It must be confessed that digging appears, at first sight, a very laborious employment, and one peculiarly unfitted to small and delicately formed hands and feet» (Loudon 1840: 7). Ciò nonostante, ella ritiene che, se si presta la dovuta attenzione ai principî della meccanica e del moto, il lavoro risulterà meno gravoso. In genere, i giardinieri appoggiano la vanga perpendicolarmente al terreno, al fine di inciderlo meglio con la lama; nel caso della donna, dotata di minore forza fisica, si potrebbe adottare una strategia alternativa ma ugualmente efficace:
it must be remembered that all operations that are effected rapidly by the exertion of great power, may be effected slowly by the exertion of very little power, if that comparatively feeble power be applied for a much greater length of time (Loudon 1840: 27).
Scavare è un’attività sfibrante, ma non impossibile, assicura l’autrice, in quanto anche una signora, utilizzando uno strumento più leggero di quello adoperato in genere da un giardiniere, riuscirebbe verosimilmente nell’intento. Last but not least, nel compiere quest’azione la lady proverà un senso di gratificazione personale per averla svolta con successo e in autonomia. Se si pensa a quanto il lavoro fisico più pesante fosse al tempo sconsigliato alle signore, non solo perché poteva intaccarne la salute delicata, ma anche perché rischiava di apparentarle alle donne della classe operaia, si deduce come la Loudon tentasse di promuovere fra le righe una nuova politica culturale e di genere. Ella riteneva che il progresso scientifico e tecnologico dovesse essere applicato anche a vantaggio delle donne amanti del giardinaggio: gli attrezzi, come vanghe e carriole, potevano essere scelti in un formato più piccolo e, per semplificare alcune operazioni, era possibile fare appello alle leggi della meccanica. In questo manuale, la donna non viene quindi ritratta in assoluta sinergia con il modello della “creatura delicata”, ma come un soggetto partecipe che può avvalersi delle innovazioni introdotte negli ultimi decenni, superando una serie di ostacoli riconducibili alla sua presunta “fragilità” (Bilston 2008: 4-6)1.
Tra i dispositivi utili per le gardening women, la Loudon menziona accessori come calzature speciali, guanti rinforzati e un abbigliamento meno costipante. Anche questo elemento «finisce per costituire una precocissima liberazione dalle costrizioni che affliggevano il corpo delle donne» (Fanucci 2016: 46), dai corsetti e dalle crinoline che ne “regolamentavano” pose e movimenti. È dunque significativo che Jane Loudon abbia scelto di raffigurare, nel frontespizio della sua opera, una signora affiancata da una bambina, entrambe ritratte nell’atto di fare giardinaggio: una ha in mano un rastrello e l’altra una vanga. Le due indossano vestiti comodi, come un grembiule con grandi tasche, poco elegante ma decisamente pratico, dato che può contenere piccoli attrezzi per l’orticoltura e resti di materiale vegetale (Fig. 1).
Inoltre, la descrizione dei guanti da lavoro è accompagnata da un’illustrazione (Fig. 2) con in primo piano il braccio di una donna che, come si può intravedere, indossa un vestito dalle maniche molto ampie e di tessuto morbido (Fanucci 2016: 46-47).
Nel terzo capitolo – Sowing Seeds, focalizzato sulla semina, sulla piantumazione di bulbi e tuberi e sulle operazioni di trapianto e annaffiatura – si notano altri momenti in cui l’autrice adotta una strategia “addomesticante”, considerando la pianta quasi alla stregua di un bambino: ad esempio, riferendosi ai semi, ricorre ad espressioni come «giving birth to the root» (Loudon 1840: 49). I paragrafi a sfondo scientifico si alternano poi a resoconti che attingono al vissuto personale, come quando ella afferma che, inizialmente, non si era fidata del consiglio datole dal marito di innaffiare le piante con acqua calda, in modo da velocizzare il processo di fioritura. Tuttavia, dopo aver visto John Claudius bagnare con acqua quasi bollente dei giacinti ed essersi molto preoccupata per la loro sorte, «[she] could scarcely refrain from crying out» (Loudon 1840: 69) quando constatò che i giacinti erano effettivamente fioriti. Un’altra strategia alla quale la Loudon ricorre per rafforzare il “cerchio della fiducia” con le lettrici è dare consigli pratici su dove reperire alcuni prodotti, poiché il suo pubblico, profano in materia di giardinaggio, poteva avere difficoltà nell’acquistare gli utensili menzionati (parlando di un arnese per l’innesto, precisa che «[it] may be purchased in any ironmonger’s shop» [Loudon 1840: 56]).
Il sesto capitolo (The Kitchen-garden) ci consente di far luce su aspetti ulteriori, legati al kitchen-garden e alla coltivazione delle verdure. L’orto dovrebbe essere ubicato vicino alla casa ed ogni villetta borghese dovrebbe avere una stradina sul retro per permettere alla servitù di consegnare le verdure raccolte, mentre i vegetali di utilizzo più immediato, come le aromatiche, si posizionerebbero meglio in prossimità della porta della cucina. I camminamenti creati nell’orto devono rispondere a un principio di utilità e opportunità: la disposizione dei vegetali in filari consente a chi li coltiva di muoversi più agevolmente, nonché di lavorare il terreno ed estirpare le erbacce; il rivestimento di ghiaia resiste meglio alla pioggia e al passaggio della carriola; i percorsi devono garantire un accesso diretto al kitchen-garden, senza che la persona rischi di inciampare tra le piante o che i vestiti vi rimangano impigliati.
Quanto alle specie più adatte all’orticoltura, l’autrice si concentra principalmente su quelle che le destinatarie del testo conoscevano meglio e avevano forse già avuto modo di cucinare. Per esempio, viene dedicato un paragrafo alla cura del sea kale (il cavolo marino), una pianta autoctona che, fino a poco tempo prima, veniva consumata solo dai pescatori, ma che in quel momento era diventata molto popolare. La Loudon si interessa insomma di tendenze in ambito culinario e la sua rivalutazione di colture regionali può ricordare ciò che attualmente associamo a un’attenzione per i prodotti “nostrani” e “biologici”. Nel testo si contano molte pagine inerenti ad altri ortaggi e piante erbacee o da frutto comuni nel Regno Unito, sebbene talvolta non native, come il rabarbaro, sul quale la Loudon dà consigli per proteggerlo dalle escursioni termiche tipiche del clima britannico. Di numerose specie ella ricostruisce sinteticamente il percorso che avrebbero compiuto per arrivare sulle tavole inglesi, come lo «scarlet-runner», il fagiolo runner scarlatto, che è «a native of South America, and was not introduced till 1633, when it was at first only cultivated in the flower-garden as an ornamental plant» (Loudon 1840: 171).
Una considerazione a parte merita l’ottavo capitolo, The Flower-garden, in cui l’autrice non può fare a meno di riconoscere come il giardino floreale sia l’ambiente che, per tradizione, si sposa meglio con le inclinazioni e il gusto estetico della donna vittoriana:
Whatever doubts may be entertained as to the practicability of a lady attending to the culture of culinary vegetables and fruit trees, none can exist respecting her management of the flower-garden, as that is pre-eminently a woman’s department (Loudon 1840: 244).
Si registra qui un avvaloramento del topos della sensibilità femminile intrinsecamente legata ai fiori, secondo un concetto radicato nell’assiologia collettiva. Si noti che, benché gettasse le basi di una strada innovativa, la Loudon non si fece mai portavoce di un pensiero completamente rivoluzionario: ella rimarca qui che «[t]he culture of flowers is exactly in the happy medium between what is too hard and what is too easy» (Loudon 1840: 245), equilibrio al quale si uniscono la gioia e la soddisfazione che derivano dal coltivare un flower-garden, un vero e proprio valore aggiunto per una dimora borghese, in un’ottica di complementarità rispetto all’“utile” del kitchen-garden. La Loudon ci rammenta inoltre che esistono perlomeno due tipologie di flower-garden, ovvero natural (informale) e geometrical (formale). Riprendendo il pensiero del coniuge, ella immagina una compenetrazione tra il modello italiano e quello inglese, benché il flower-gardennon si sposi bene con quest’ultimo, appellandosi ad un ordine che è, di fatto, artificiale:
The principal beauty of a flower-garden consists, indeed, in the elegance with which it has been arranged, and the neatness with which it is kept; or, in other words, in the evidence it affords of the art that has been employed in forming it. This being the case, it is quite clear that an artificial mode of arrangement is more suitable to it than any other, as it is best adapted for keeping up the harmony of the whole (Loudon 1840: 246).
Quanto allo stile formale, esso sarebbe comunque più adatto a un giardino fiorito di grandi dimensioni, mentre, se lo spazio è piccolo, è preferibile evitare di creare masse separate di fiori, cercando di piantare gli esemplari in modo da valorizzarli sia “in dialogo”, sia singolarmente, in linea con le tesi del gardeneque di John Claudius Loudon.
Nel nono capitolo (Management of the Lawn, Pleasure-grounds, and Shrubbery, of a Small Villa), lo sguardo si estende dalla floricoltura ai prati e alle aree boschive di piccole residenze di campagna. Il cosiddetto pleasure-ground rivestiva una grande importanza per la middle class di metà Ottocento, poiché vi si svolgevano attività legate allo svago e alla convivialità; lo scopo funzionale non doveva tuttavia andare a detrimento del lato estetico, poiché i proprietari della tenuta erano soliti ricevere ospiti ed era dunque necessario che il luogo fosse bello e pratico al tempo stesso. Di conseguenza, i camminamenti avrebbero dovuto essere abbastanza ampi da consentire il passaggio contemporaneo di almeno tre persone, una di fianco all’altra,
as nothing can be more disagreeable than the situation of the third person, whom the narrowness of the walk obliges to walk before or behind his companions; and who is obliged either to remain silent or to carry on a most uncomfortable and disjointed kind of conversation (Loudon 1840: 312).
In questo passo, la Loudon pare allinearsi con la posizione adottata dalle scrittrici dei primi manuali di botanica, dove le informazioni scientifiche venivano integrate con richiami alle regole del galateo. I percorsi del verde dovevano insomma essere progettati tenendo presenti le norme dell’accoglienza e della cortesia, facendo anche tesoro delle consulenze offerte dai landscape designers.
3
Instructions in Gardening for Ladies è un’opera ben più ricca di quanto lo spazio qui disponibile ci ha dato modo di illustrare. Tuttavia, nelle nostre osservazioni si è inteso farne emergere alcuni aspetti cruciali. Da un lato, il suo essere un esempio pregevole e innovativo di una letteratura manualistica femminile caratterizzata da uno stile sobrio ed elegante, da una scrittura lucida e documentaria ma mai pretenziosa, volta a introdurre le lettrici al tema e alle pratiche del giardinaggio. Dall’altro lato, il suo farsi testimonianza di come Jane Loudon riuscisse a modulare la propria voce alleggerendo le formule moraleggianti dei testi canonici coevi e favorendo un’interazione comunicativa e paritaria con le destinatarie. Creando un’atmosfera di empatia e facendo leva sulla funzione fàtica, l’autrice si impegnò affinché l’opera risultasse il più possibile fruibile da un pubblico di neofite, incoraggiandole ad appassionarsi gradualmente alla materia senza esserne inibite. Nel fare questo, naturalmente, Jane Loudon diede anche un contributo cruciale, a livello di politica culturale, ad un percorso di emancipazione della donna borghese in epoca vittoriana.
Bibliografia primaria
Loudon Jane (1840), Instructions in Gardening for Ladies, London, John Murray, consultato il 27/05/2021, URL: <https://archive.org/details/instructionsinga00loud/page/80/mode/2up>.
Bibliografia secondaria
Bilston Sarah (2008), Queens of the Garden: Victorian Women Gardeners and the Rise of the Gardening Advice Text, «Victorian Literature and Culture», 1, 36, p. 1-19.
Fanucci Paola (2016), Women Gardeners. Stivali, penne e pennelli di giardiniere appassionate, Pisa, Edizioni ETS.
Hopkins Lisa (2003), Jane C. Loudon’s “The Mummy!”: Mary Shelley Meets George Orwell and They Go in a Balloon to Egypt, «Cardiff Corvey», 10, p. 5-16.
Horwood Catherine (2010), Gardening Women: Their Stories from 1600 to the Present, London, Virago Press.
Howe Bea (1961), Lady with Green Fingers: The Life of Jane Loudon, London, Country Life Limited.
Loudon Jane (1850), A Few Words on the Condition of Woman, «The Ladies’ Companion», 2.
Morris Colleen (2004), The Diffusion of Useful Knowledge: John Claudius Loudon and His Influence in the Australian Colonies, «Garden History», 1, 32, p. 101-123.
Note
- Non dobbiamo però dimenticare che, su un fronte parallelo, la Loudon non si affrancò del tutto dall’assunto della frailty femminile, per esempio facendo notare che, nei giorni più umidi, era preferibile che le donne evitassero di dedicarsi al giardinaggio, in quanto avrebbero corso il rischio di ammalarsi.