Odi et amo – Gli inglesi visti dagli spagnoli fra Otto e Novecento

Premesse storiche

Spagna e Inghilterra hanno da sempre mantenuto una relazione ambivalente, nella quale si intrecciano l’ammirazione e il disprezzo. Tale rapporto affonda le proprie radici nel XV secolo, quando il monarca d’Inghilterra, Enrico VII Tudor, decise di stipulare un accordo con i Re Cattolici allo scopo di sconfiggere la Francia, nemico comune. Ben presto, però, i due Paesi iniziarono a rivaleggiare, principalmente a causa del crescente desiderio da parte di entrambi di ampliare il proprio dominio coloniale. A partire dal XVI secolo, infatti, si susseguirono una serie di guerre che videro l’Inghilterra prevalere tendenzialmente sulla Spagna; non ultima fra queste fu la famosa battaglia di Trafalgar, combattutasi il 21 ottobre 1805, in cui l’alleanza franco-spagnola, a sostegno di Napoleone, fu sconfitta in una battaglia navale dalla flotta britannica, guidata dall’ammiraglio Nelson.

A seguito delle ripetute sconfitte subite, la Spagna divenne negli anni a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo una nazione remissiva ed estremamente fragile, che non poteva far altro che “invidiare” la propria rivale dato che, grazie alle numerose vittorie belliche e al governo della Regina Vittoria (1837-1901), l’Inghilterra era considerata una potenza egemone a livello mondiale, soprattutto dal punto di vista industriale, politico, sociale e civile.

È doveroso ricordare però che le frizioni fra i due Paesi si allentarono quando, durante la Guerra d’Indipendenza spagnola (1808-1814), l’Inghilterra decise di inviare truppe allo scopo di aiutare e sostenere l’esercito spagnolo contro Napoleone. Sebbene inizialmente gli alleati anglospagnoli non furono in grado di ottenere successi definitivi, nel 1813 Arthur Wellesley, duca di Wellington, militare e politico britannico, riuscì a sconfiggere definitivamente le truppe napoleoniche che furono costrette a ritirarsi in Francia, accompagnate peraltro da molti afrancesados1.

Dopo quasi un decennio di lotta armata contro i francesi, la Spagna era riuscita finalmente a sconfiggere la propria avversaria, non curante del fatto che, in realtà, sul proprio territorio si nascondeva un nemico ancora più perfido: Fernando VII. Nel 1814, infatti, il re spagnolo, dopo aver restaurato la monarchia borbonica, tentò di sottrarre spazio agli ideali liberali perorati dalla Rivoluzione francese per riportare in auge, così, non solo le vecchie strutture politiche e sociali, ma anche la morale, la cultura e tutti i valori del passato. Il tentativo fu, tuttavia, fortemente contrastato dal popolo spagnolo che insorse forzando il sovrano a concedere ai propri sudditi rappresentanze parlamentari; Fernando VII fu costretto, infatti, a far appello alla Santa Alleanza2 per soffocare le rivolte liberali sul territorio e nel 1823 ci riuscì definitivamente, obbligando i liberali all’esilio (1823-1834).

Fu allora che entrò di nuovo in gioco l’Inghilterra, unica nazione europea disposta ad accogliere i liberali spagnoli, in quanto l’Europa continentale, coalizzata nella Santa Alleanza, non aveva alcun interesse ad accettare sul proprio territorio esuli portatori di ideali contrari ai principi assolutistici. La durata dell’esilio si protrasse per circa dieci anni e nell’occasione emigrarono non solo chi, in prima persona, aveva combattuto nell’esercito liberale per porre fine alla monarchia borbonica, ma anche politici, commercianti, esponenti della borghesia liberale, musicisti, cantanti e scrittori. Inizialmente, la meta dell’emigrazione fu Londra, vero centro politico e intellettuale, simbolo degli ideali liberali; in particolare, gli esuli scelsero come residenza un quartiere periferico della capitale, dove, già qualche anno prima, si erano rifugiati gli emigrati francesi della Rivoluzione: Somers Town (Llorens 1968: 42). Altri spagnoli, circa quattrocento, decisero invece di dirigersi verso Jersey, isola del Canale della Manica, attratti principalmente dal clima più favorevole e dalla vita più economica.

La permanenza forzata degli esuli spagnoli in Inghilterra apportò notevoli cambiamenti sia in ambito letterario sia in quello politico. È da sottolineare, infatti, che l’esilio permise la diffusione di ideali romantici, allora in voga in Inghilterra, nella penisola iberica, soprattutto grazie al lavoro di mediazione fra i due Paesi attuato da José María Blanco y Crespo (1775-1842), conosciuto come Blanco White per la sua anglofilia, il quale spinse gli autori esiliati a Londra a interessarsi alla letteratura inglese: «en Inglaterra [Blanco White] hizo de vínculo entre el Romanticismo inglés y los liberales exiliados en Londres, y es muy probable que sus artículos influyesen en el cambio de orientación crítica de los emigrados» (Pujante e Campillo 2007: 67).

Gli esiliati spagnoli, inoltre, furono spinti a cercare di comprendere a fondo anche la politica inglese, di cui erano appassionati fin dal XVI secolo, allo scopo di poter riuscire, una volta tornati in Spagna, a gettare le basi di un governo simile, visti gli innumerevoli successi a cui il governo parlamentare aveva portato: durante una prima fase, corrispondente ai primi anni dell’immigrazione, prevalse un atteggiamento propositivo che sfociava in riunioni clandestine volte a discutere i modi attraverso i quali poter rovesciare la monarchia assoluta in Spagna. A seguito, però, dei moti indipendentisti degli anni 1830 e 1831, e in particolare della Rivoluzione parigina del luglio del 1830, gli emigrati spagnoli decisero di prendere le armi: a più riprese, essi tornarono in Spagna organizzando insurrezioni e rivolte, ognuna delle quali fu però soffocata con violenza dall’esercito assolutista.

L’anno della morte del sovrano spagnolo Fernando VII, il 1833, costituì probabilmente una sorta di spartiacque nelle relazioni fra Spagna e Inghilterra: se prima di allora, a eccezione dell’aiuto inglese offerto durante la Guerra d’Indipendenza e durante l’esilio, esse erano state prevalentemente tormentate, da lì in poi l’Inghilterra cercò di placare i rapporti con lo storico nemico, sostenendo la Spagna, o parte di essa, e tentando rapporti diplomatici allo scopo di impedire il ritorno della monarchia assoluta nel Paese. In quell’anno, infatti, la morte del sovrano e l’osteggiata successione al trono di Isabella aprirono un lungo periodo di guerra civile: le guerre carliste, così chiamate dal nome del “legittimo” erede Don Carlos Isidro, si protrassero dal 1833 al 1876, anno in cui vi pose fine la monarchia restaurata di Alfonso XII. Di fronte allo scontro dinastico, l’Inghilterra si schierò a favore di Isabella, spinta anche dal timore di ulteriori mire espansionistiche in America di Don Carlos, di cui conosceva perfettamente lo spirito reazionario e antinglese. Negli stessi anni, l’Inghilterra non solo cercò, attraverso la diplomazia, di risolvere i conflitti in cui la Spagna si trovava implicata ma tentò anche una campagna di modernizzazione, inviando sul territorio spagnolo operai britannici che avrebbero potuto incentivare l’industrializzazione e fornire gli aiuti sanitari necessari a causa della diffusione del vaiolo, «auténtico mal de la época» (Armario Sánchez 1984: 139).

Nella seconda metà del XIX secolo, invece, l’Inghilterra non prese parte diretta alle questioni politiche della Spagna: se la prima potenza rappresentava il liberalismo e un tipo di commercio all’avanguardia, la seconda era una nazione che aveva avuto velleità liberali, ma che aveva fallito, proprio perché le varie vicissitudini erano approdate in una Restaurazione monarchica e in un forte legame fra Stato e Chiesa. Alla fine del secolo poi, la Spagna, in quello che venne definito come «el desastre del ’98», perse durante la guerra ispano-americana gli ultimi domini coloniali d’oltremare, Cuba, Porto Rico e le Filippine, e ciò portò il Paese a rivolgere le proprie ostilità verso una sorta di nuovo nemico, ovvero gli Stati Uniti. I rapporti con l’Inghilterra iniziarono, da quel momento, a basarsi principalmente su scambi di opinioni e considerazioni di vario tenore sulla rispettiva gestione politica interna o estera, nello specifico coloniale. Tali relazioni si presentarono talvolta tutt’altro che distese, in particolare, a proposito di due questioni: il possedimento di Gibilterra, la cui posizione, al confine del territorio spagnolo, e il cui controllo, nelle mani del governo britannico, ponevano i due Paesi in un rapporto di continua tensione; la guerra anglo-boera combattuta in Sudafrica a inizio Novecento, quando l’opinione pubblica spagnola tese a considerare inumane le condizioni in cui erano recluse le famiglie boere nei campi di concentramento istituiti dall’esercito inglese.

Alla scoperta dell’Inghilterra

Se, da un lato, la visione inglese della Spagna è stata ampiamente discussa, visto l’assiduo interesse dei britannici nel documentare la situazione del territorio mediante le numerose opere a noi pervenute, non è possibile sostenere lo stesso per quanto riguarda la visione inversa, in quanto «hay un vacío sobre la visión de otras culturas europeas desde la perspectiva española, especialmente durante el siglo XIX» (Nadales Ruiz 2009: 426).

È doveroso affermare che la curiosità e l’interesse nei confronti dell’Inghilterra è, in realtà, rilevabile in alcuni racconti di viaggio, scritti in un arco temporale compreso fra il 1861 e il 1944, da cinque viaggiatori spagnoli: Eugenio de Ochoa, Emilio Alcalá-Galiano y Valencia, Benito Pérez Galdós, Pío Baroja e Carmen de Burgos. Trattandosi di racconti di viaggio basati sull’esperienza diretta di ciò che gli autori hanno visto in Inghilterra, inevitabilmente essi presentano alcune tematiche in comune dovute, forse, ad affinità culturali e ideologiche. Certe differenze sono da attribuire, oltre alla distanza temporale, agli obiettivi che l’autore si è proposto: París, Londres y Madrid (1861) è una guida di viaggio che Eugenio Ochoa potrebbe aver voluto scrivere per schernire le convenzioni letterarie tipiche del genere e a cui si è sempre dimostrato avverso; En Inglaterra, Portugal y España de 1856 á 1860 (1905) è un diario di viaggio che, presumibilmente, Emilio Alcalá-Galiano y Valencia scrive, su commissione del governo, per testimoniare il compimento delle sue mansioni, poiché è inviato in Inghilterra in funzione di secondo segretario della legazione spagnola; Carmen de Burgos, in quanto giornalista, scrive Peregrinaciones: Suiza, Dinamarca, Suecia, Noruega, Alemania, Inglaterra, Portugal (1916) per descrivere, tramite i suoi articoli pubblicati nell’Heraldo de Madrid, il quadro generale dei vari Paesi europei durante la Prima Guerra mondiale. Desde la última vuelta del camino. Final del siglo XIX y principios del XX (1944) di Pío Baroja, La casa de Shakespeare (1894) e Nuevos viajes (Memorias de un desmemoriado, 1915) di Benito Pérez Galdós, invece, sono tre opere la cui stesura è dovuta a un viaggio intrapreso per motivi letterari e, nello specifico, alla volontà di rendere omaggio e conoscere meglio gli scrittori inglesi: Charles Dickens, nel caso di Baroja, e William Shakespeare, nel caso di Galdós.

Per ricostruire non solo la visione della cultura inglese ma anche l’immagine collettiva dell’Inghilterra da parte dei viaggiatori spagnoli, ho deciso di seguire la differenziazione adottata da Linton in The cultural background of personality (1945) tra elementi materiali della cultura e comportamenti culturali espliciti:

It can be seen from the foregoing discussion of culture that the concept includes phenomena of at least three different orders: material, that is, products of industry; kinetic, that is, overt behaviour (since this necessarily involves movement); and psychological, that is, the knowledge, attitudes and values shared by the members of a society. For our present purposes the phenomena of the first two orders may be classed together as constituting the overt aspect of a culture. Those of the third order, that is, psychological phenomena, constitute the covert aspect of a culture (Linton 1947: 25).

Elementi materiali della cultura

Il tema dei mezzi di trasporto è presente in tutte le opere analizzate, probabilmente a causa del forte contrasto esistente fra lo sviluppo delle infrastrutture in Inghilterra e l’eccessiva arretratezza della Spagna. Come sostiene lo storico britannico Carr, «Spain was distinguished by the tardiness, the sporadic incidence of development. Railways, the great begetters of a progressive and unified economy, came late» (Carr 1985: 430). Fra le opere prese in esame, París, Londres y Madrid di Eugenio de Ochoa è quella che, più delle altre, descrive dettagliatamente i vari mezzi di trasporto utilizzati dai britannici: gli omnibus, i taxi (cabs), le carrozze (hamsoncab), i calessi e le navi. L’autore afferma però che ognuno di essi presenta tanti benefici quanti svantaggi: se da un lato le navi e gli omnibus sono piuttosto economici, dall’altro il viaggio potrebbe richiedere più tempo del dovuto, date le numerose soste previste nei tragitti; allo stesso modo, i taxi, i calessi e le carrozze sono molto più rapidi, ma il prezzo, già elevato di per sé, viene spesso incrementato da scelte personali dell’autista. Galdós è l’unico a parlare delle difficoltà che un viaggiatore potrebbe dover affrontare nel Paese: di fatto, egli sottolinea che, se da un lato non si può che ammirare l’abbondanza di reti ferroviarie, dall’altro la loro numerosità potrebbe indurre alcuni viaggiatori inesperti, come lo sono gli spagnoli, a compiere errori e sbagliare direzione.

A confermare l’idea della superiorità inglese in merito ai trasporti vi sono anche i numerosi commenti sull’espansione dei porti britannici e, in particolare, quelli londinesi. Curioso è il fatto che tutti gli autori utilizzino il sostantivo docks anziché il termine equivalente muelle: probabilmente questo si deve al fatto che i porti inglesi sembrerebbero non essere neppure paragonabili a quelli spagnoli. Questo aspetto è sottolineato nell’opera di Ochoa, il quale afferma che «si se hubiera de designar a las ciudades con nombres emblemáticos, Roma pudiera denominarse Artistópolis, la ciudad de los artistas y de los anticuarios, Londres, la de los industriales y los comerciantes, Traficópolis» (Ochoa 1861: 22).

Un ulteriore elemento che secondo i viaggiatori spagnoli rende l’Inghilterra egemone è l’efficienza riscontrabile nei servizi pubblici, soprattutto in relazione al servizio postale e municipale. Carmen de Burgos nota che ovunque a Londra vi sono indicazioni per raggiungere i servizi pubblici principali, motivo per cui, a suo parere, «así se explica que pasen tantas gentes mirando al suelo, como si buscaran algo» (Burgos 1916: 304). L’autrice, inoltre, in quanto osservatrice particolarmente attenta alla condizione femminile, chiama in causa il servizio domestico, che contrasta in toto con quello spagnolo: in particolare, fa riferimento alle cameriere che lavorano presso la pensione in cui ella soggiorna a Torrington Square, le quali, oltre a essere estremamente ordinate, si prendono cura dei propri clienti con gentilezza.

Una tematica comune è la tradizione culinaria britannica, ritenuta da tutti gli autori poco varia e attraente per uno spagnolo, soprattutto a causa degli ingredienti principali utilizzati. È interessante sottolineare il fatto che Ochoa sostiene perfino che, in ambito culinario, gli inglesi si mostrano arretrati rispetto agli altri Paesi europei: «[Los ingleses] no han adelantado un paso desde el siglo XII acá; comen como comían sus antepasados los sajones y los normandos del tiempo de la conquista, en calidad y en cantidad» (Ochoa 1861: 252). Data la sua ampia diffusione nel Paese, gli autori commentano, inoltre, la tradizione di bere il tè nel pomeriggio: essi non criticano quella che per gli inglesi è divenuta una vera e propria istituzione, ma si limitano a notare che essa risulta inderogabile; i giudizi negativi riguardano principalmente i puddings e le salse, soprattutto quelle piccanti, utilizzate per accompagnare i pasti principali.

Grazie alle numerose descrizioni riguardanti l’aspetto fisico, è possibile delineare un’immagine omogenea degli inglesi, che vengono presentati come di bell’aspetto, con i capelli biondi, gli occhi chiari e la pelle candida. A rendere ancor più uniforme la descrizione, vi sono numerosi commenti sull’abbigliamento; a emergere è l’eleganza degli abiti, presi a modello in tutta Europa, nonostante il livello sembri impossibile da raggiungere. Alcalá-Galiano descrive, in particolar modo, gli abiti indossati durante le riunioni di carattere diplomatico o le cerimonie a cui egli stesso partecipa. In occasione dell’apertura del Parlamento, egli osserva il lusso mostrato dalla maggior parte delle persone e, in contrapposizione, la presenza di abiti semplici:

Concurrieron a esta ceremonia el Cuerpo diplomático extranjero, de uniforme en su tribuna, los Lores con manto de púrpura y arminio; sus madres, hermanas, mujeres e hijas, descotadas y de manga corta, sentadas en los escaños de la Cámara. Los miembros de la de los Comunes, que acudieron a la barra con su Presidente, llamados por el ujier de la vara negra […] llevaban traje de calle. Las tribunas, exceptuando la de los periodistas, y la mayor parte de la galería alta, ocupadas estaban también por señoras vestidas de sociedad (Alcalá-Galiano y Valencia 1905: 15-16).

Curioso, a tal proposito, è il commento di Ochoa, che si stupisce dell’uniformità dell’abbigliamento fra le diverse classi sociali: le persone povere si vestono con gli scarti dei ricchi, mentre questi si differenziano dai poveri solo per la pulizia. Significative sono anche le considerazioni di Carmen de Burgos sull’abbigliamento femminile; in particolare, l’autrice allude all’abitudine di fare toilette e vestirsi elegantemente prima di pranzare, in presenza o meno di ospiti.

Gli aspetti culturali espliciti

I numerosi riferimenti degli autori alle tradizioni del Paese danno la possibilità di delineare un profilo culturale britannico. Uno dei temi che emerge è il carattere degli inglesi, descritti come freddi e seri, sempre corretti e sinceri negli affari, costantemente preoccupati di adempiere alle buone maniere; essi, inoltre, sono fortemente patriottici, aspetto che gli autori spagnoli ritengono talvolta eccessivo, in quanto ciò porta gli inglesi a denigrare e disprezzare le persone di diversa provenienza, soprattutto gli italiani, i tedeschi e i francesi (Baroja 1949: 770). Un altro elemento evidente è il coraggio britannico, dimostrato soprattutto in occasione dei conflitti bellici: ricordiamo che gli spagnoli hanno potuto osservare questo tratto del carattere britannico non solo in loco, ma anche durante la Guerra d’Indipendenza (1808-1814), quando la presenza dell’esercito inglese è stata determinante nel risultato.

Significativi sono i commenti di Eugenio de Ochoa, che descrive i britannici come persone molto formali, che non si prodigano amorevolmente per gli ospiti, nonostante nutrano un profondo rispetto per gli altri, e di Carmen de Burgos, la quale sostiene che quella inglese sia «una raza firme y tranquila; esforzada, algo nómada, y atenta siempre a velar por su poderío y su justicia de un modo digno, serio, fundamental, después de haber pasado los períodos burrascosos» (Carmen de Burgos 1916: 286).

I cinque autori considerano l’Inghilterra come la patria delle libertà, caratteristica che essi percepiscono fin dal loro arrivo nel Paese, data la mancanza di controlli presso le dogane e sui mezzi di trasporto. Probabilmente come conseguenza di questo atteggiamento senza costrizioni, gli autori sottolineano anche l’elevato rispetto civile e la preoccupazione del popolo inglese di non arrecare disturbo gli altri, tanto che per le strade di Londra «no se grita, que no se estorba, y que así cada uno tiene su independencia» (Burgos 1916: 298). È la figura del policeman che contribuisce maggiormente a rendere possibile un tale rispetto dell’ordine e delle regole; egli viene descritto come il rappresentante dell’autorità e provoca stupore in tutti gli spagnoli, i quali notano la sua figura imponente, l’aspetto fisico e la sensazione di sicurezza che trasmette ai cittadini.

Un altro elemento preso in considerazione dagli autori spagnoli è il club. Tutti gli autori affermano che si tratta di un’invenzione inglese e che nonostante vi siano imitazioni in tutt’Europa, Spagna compresa, le altre nazioni hanno solamente falsato l’originale, che risulta ineguagliabile. L’espansione dei club a Londra si deve probabilmente al raggiungimento dei pieni diritti civili conseguenti ai Reform Acts3; i britannici, infatti, credono che essere soci di un club consenta loro di diventare parte integrante della società stessa. Di quest’istituzione, gli autori spagnoli mettono in risalto gli eccellenti e lussuosi allestimenti, i ristoranti e gli altri servizi di cui i membri possono beneficiare.

Un ulteriore elemento tipicamente britannico è il riposo domenicale. Molti autori evidenziano il contrasto fra i giorni lavorativi e la domenica; è considerato un giorno triste e malinconico, solitario, durante il quale le persone solitamente non passeggiano per le strade; tutti i negozi sono chiusi, così come i musei:

réstame recordar un rasgo muy característico de la sociedad inglesa, y es el aspecto singular que adquieren todas sus poblaciones, en especial Londres, los domingos. El puritanismo inglés ha tomado al pie de la letra el precepto del reposo dominical, y esta ciudad en tales días parece un cementerio: todas las tiendas están herméticamente cerradas, cesa casi por completo el movimiento de carruajes y de transeúntes por las calles, y ni es lícito tocar un piano ni reírse de una manera bulliciosa. El pueblo inglés, siempre de suyo muy taciturno, lo es doblemente los domingos: cada vecino de Londres se convierte por veinticuatro horas en fraile trapense o en viva imagen del Convidado de piedra (Ochoa 1861: 262-263).

Infine, ad attrarre l’attenzione del lettore sono i commenti sul sistema educativo britannico. A differenza dell’Inghilterra, Paese ritenuto come uno dei più civilizzati a livello di istruzione, la Spagna si trova in una posizione di svantaggio: nel 1860, il numero di analfabeti ruota, infatti, attorno all’ottanta per cento e ciò conferma la sua situazione di arretratezza. L’impressione degli autori spagnoli è senza dubbio positiva, tanto che considerano l’educazione britannica un modello di innovazione e modernità da dover seguire. È necessario affermare però che essi si concentrano sulla situazione educativa delle classi sociali privilegiate; come dimostra lo storico Hobsbawm, fino al 1870, in Inghilterra l’insegnamento primario non è universale e le scuole pubbliche, istituite a partire dal 1840, sono principalmente destinate all’educazione dei figli degli uomini d’affari più influenti o dei membri della nobiltà (Hobsbawm 1982: 163, 79). Anche nelle scuole secondarie – grammar school –, la percentuale di alunni appartenenti alla classe operaia è molto ridotta, motivo per cui lo storico dichiara che «los ingleses entraron en el siglo XX y en la época de la ciencia y tecnología modernas como un pueblo patéticamente mal instruido» (Hobsbawm 1982: 163). È possibile dunque sostenere che seppur la situazione educativa inglese sia in realtà lacunosa, agli occhi dei viaggiatori spagnoli, provenienti da una realtà ancora retrograda, essa risulti sviluppata e progredita.

Considerazioni finali

I cinque racconti di viaggio, volti ad analizzare l’ottica adottata dagli spagnoli nei confronti del popolo inglese tra il XIX e il XX secolo, hanno rivelato una visione tendenzialmente omogenea. Da quanto emerso, infatti, si evince che gli autori spagnoli ammirano in particolar modo gli aspetti materiali della vita britannica: essi elogiano la modernità e il progresso delle infrastrutture, l’efficienza dei servizi pubblici e anche il servizio domestico; commenti altrettanto positivi sono rivolti all’aspetto fisico e all’abbigliamento, malgrado gli autori sottolineino un’usanza inglese, ritenuta inspiegabile, come l’uniformità vestiaria fra ricchi e poveri. L’unica critica è diretta alla tradizione culinaria britannica, considerata antiquata e insensata; in quanto al tè, si mostrano rispettosi dell’istituzione ma non possono fare a meno di considerarla una bevanda mediocre. Molta ammirazione suscita l’indole degli inglesi, insieme all’alto grado di patriottismo e di libertà. Si apprezzano, inoltre, l’importanza di appartenere a un club per divenire un membro integrante della società e il sistema educativo inglese, considerato innovativo e moderno rispetto a quello spagnolo, seppur lo storico Hobsbawm abbia dimostrato che, in realtà, esso mostra forti carenze se paragonato ad altri Paesi europei.

Tra gli aspetti peculiari dei singoli autori, un commento che contribuisce a evidenziare la differenza tra le realtà dei due Paesi è quello relativo a Londra, una metropoli sconfinata, inesistente fino a quel momento sul territorio spagnolo:

o sino, dígaseme, ¿dónde empieza, dónde acaba Londres? Una vasta extensión de terreno más o menos poblado, sin límites conocidos, sin principio ni fin, a la que unos atribuyen cincuenta millas de circuito, otros mucho más y otros mucho menos, no realiza de manera alguna la idea que los europeos nos formamos de una ciudad, o sea de un terreno circunscrito por algo, ya este algo se llame murallas, puertas, barreras o siquiera campos o monte o tierras de pan llevas. Nada de eso hay en Londres (Ochoa 1861: 243).

Un ulteriore commento è quello che Alcalá-Galiano y Valencia e Galdós scrivono in relazione al sistema politico britannico; probabilmente a causa dei personali trascorsi politici, essi esprimono un apprezzamento particolare nei confronti del sistema bipartitico: «el sistema político inglés […] es admiración y debiera ser ejemplo de todo el mundo» (Galdós 2020: 143).

La visione di insieme degli autori spagnoli, dunque, si mostra estremamente positiva, sebbene essi non si esimano dal criticare alcuni aspetti: la nebbia, che rende difficile apprezzare e godere in toto le bellezze dell’Inghilterra; il contrasto inspiegabile fra ricchezza e miseria; l’importanza e la necessità di conoscere la lingua inglese per poter comunicare coi britannici, probabilmente perché questi ultimi nutrono una sorta di avversione nei confronti delle altre culture oltre a un elevato orgoglio nazionale.

Risulta importante sottolineare che, a mio avviso, emerge una radicata convinzione da parte degli autori spagnoli che l’emulazione del modello britannico potrebbe portare a migliorare quegli aspetti che in Spagna risultano essere ancora arretrati. Ciononostante, ritengo che gli scrittori reputino l’estrema operosità inglese come un’arma a doppio taglio: la concentrazione sul lavoro, sulla produttività e sul progresso porta gli uomini alla diffidenza e alla difficoltà nello stringere relazioni che esulino dal mero interesse mercantile. Potrebbe esserne una dimostrazione la tristezza e la malinconia provata durante la domenica, giorno in cui i britannici, al riparo dalla frenesia dei giorni lavorativi, avvertono ciò che Baroja sostiene essere la malattia di Londra, ovvero «el aburrimiento» (Baroja 1949: 782). Dietro questa valutazione però si nasconde, ancora una volta, un plauso: la laboriosità spinge l’uomo a rifugiarsi nella vita domestica e nelle comodità, descritte nelle opere con l’utilizzo del forestierismo comfort: «en ninguna parte se entiende el bienestar interior como en Inglaterra. La palabra inglesa (comfort) con que se expresa ese perfecto bienestar, no tiene equivalente en ningún país, y no es extraño, porque en ninguno existe la cosa con que ella se representa» (Ochoa 1861: 252).

Attraverso il percorso che ho tracciato si evince come il rapporto odio-amore fra le due nazioni sia effettivamente, fin dalla fine del XV secolo, una costante: nonostante prevalga una sorta di atteggiamento reverenziale verso un Paese che ha raggiunto un indubitabile grado di progresso in diversi ambiti, non solo a livello tecnico, ma anche nella vita sociale, a mio avviso, le critiche, seppur in quantità ridotta, sono principalmente dovute al tradizionale attrito fra i due Paesi nonché a un certo senso di inferiorità degli spagnoli, consapevoli di vivere in una realtà retrograda rispetto a quella britannica. Da tutto questo emerge come lo scopo dei viaggi effettuati in Inghilterra fra il diciannovesimo e ventesimo secolo dagli spagnoli sia valso a rigenerare il proprio Paese d’origine oltreché a comprendere la propria identità (Sánchez García 2016: 325).

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Note

  1. Termine con cui si fa riferimento ai borghesi appartenenti all’élite amministrativa e intellettuale, che consideravano la presenza francese nel territorio un’opportunità per un cambiamento della rigida società spagnola.
  2. Coalizione creatasi nel 1815 fra Russia, Austria e Prussia, di cui fecero parte successivamente anche la Francia, i Paesi Bassi, la Svezia e il Regno di Sardegna. Lo scopo della coalizione fu quello di reprimere le rivolte liberali e restaurare l’assolutismo in Europa.
  3. Con il termine Reform Acts si fa riferimento alle leggi approvate dal Parlamento nel corso del XIX secolo allo scopo di modificare il sistema di elezione dei membri della Camera dei Comuni. Nello specifico, furono emanati tre Reform Acts: il primo nel 1832, il secondo nel 1867 e il terzo nel 1885, grazie al quale si permise alle classi lavoratrici agricole di votare.
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