Introduzione
Il racconto è una delle forme privilegiate del narrare. Nessuno è in grado di stabilire quando o dove questa forma sia nata, innanzitutto perché nasce in forma orale e solo successivamente è stata trasmessa anche attraverso la scrittura. Già diffusa in Occidente dalla favolistica latina di Fedo ed Esopo, dagli exempla e dalla traduzione di opere orientali, il racconto ebbe grande fortuna nel Medioevo e nel Rinascimento (in particolare dalla pubblicazione del Decameron di Boccaccio alla metà del XIV secolo). Durante il XVII e il XVIII secolo vide un parziale declino, per poi tornare a suscitare grande interesse nel secolo XIX. Moltissimi sono infatti gli scrittori che si sono cimentati con questa forma letteraria, innovandola nei temi, nelle forme e negli obiettivi, ed elevandola a genere non più secondario (Balzac, Stendhal, Edgar A. Poe, Nicolaj Gogol, Charles Dickens, Conan Doyle, Camilo Castelo Branco, Eça de Queirós, Machado de Assis, Jorge Luis Borges, Julio Cortázar).
Nel panorama letterario di lingua portoghese il racconto è una forma che ha sempre avuto grande rilevanza e oggi sembra conoscere una nuova prolifica stagione (Špánková 2020:12-13). Sono molti gli autori e le autrici che si dedicano a questo genere, che oggi si presenta in forme anche molto diverse, sia per l’estensione che per le caratteristiche stilistiche e i temi.
Riguardo all’estensione si registra l’emergenza di sottogeneri riunibili sotto il termine ombrello di “micronarrativa”: componimenti la cui estensione può variare dalle 1500 parole a poche righe. Caratterizzata dal minimalismo, la micronarrazione si serve del suggerimento e della partecipazione attiva del lettore per costruire il significato (Eles eram muito cavalos [2001] di Luis Ruffato; Efeito Borboleta e outras histórias [2008] di José Mário Silva; Mau Vidraceiro [2010] di Nuno Ramos). Altra tendenza del racconto contemporaneo è la narrazione del quotidiano, con ambientazioni e personaggi comuni, talvolta quasi banali. Sono racconti in cui è principalmente la forma a conferire rilevanza alla storia, suscitando emozioni e sensazioni nel lettore. Il banale acquista rilevanza estetica o emotiva, in alcuni casi rivelando l’insolito del quotidiano (Histórias possíveis [2008] di David Machado). Un’altra tendenza riguarda la descrizione: i personaggi e l’ambiente vengono spogliati (in parte o totalmente) di connotazioni regionali o culturali, dando un carattere universale o intemporale alla narrazione, permettendo una1 maggiore identificazione del lettore concentrando l’attenzione su aspetti psicologici o sulla trasmissione di valori etici. Parzialmente opposta e complementare è l’esplorazione dell’alterità culturale, geografica e sociale, e in particolare della diversità presente all’interno del mondo lusofono (Momentos de aqui (2001) di Ondjaki; Doramar ou a Odisseia (2021) di Itamar Vieira Junior). Un’ultima tendenza è la riscrittura e l’elaborazione di testi e temi classici. A fianco della revisione dei testi canonici della letteratura portoghese, troviamo anche riscritture di fiabe che mirano a sovvertire i ruoli dei personaggi tipici, talvolta trasportando la narrazione nella contemporaneità, ma soprattutto innovando il punto di vista tematico ed etico, operando quindi una critica ai valori proposti nel testo originale. Le caratteristiche del racconto contemporaneo sopra individuate appartengono anche alla scrittura di Valter Hugo Mãe e in particolare a O menino de água dalla raccolta Contos de cães e maus lobos (2015).
Valter Hugo Mãe
Valter Hugo Mãe (Saurimo, Angola, 1971) è uno scrittore e giornalista che in pochi anni si è guadagnato un posto di rilievo nel panorama letterario di lingua portoghese e mondiale. Nato in Angola, ma trasferitosi in Portogallo nel 1974, dopo una prima laurea in Giurisprudenza si è specializzato in Letteratura portoghese moderna e contemporanea presso l’Universidade do Porto. Oltre a dedicarsi alla scrittura è anche artista plastico, ha partecipato a diversi progetti musicali (in particolare con la band Governo) e ha condotto un programma di interviste sulla rete televisiva Porto Canal. Attualmente è editorialista per il «Jornal de Letras». Ha iniziato la carriera pubblicando il volume di poesie Silencioso corpo de fuga nel 1996 (A Mar Arte, Coimbra). Nel 2007 ha vinto il Prémio Saramago con O remorso de baltasar serapião. Nel 2009 pubblica il primo racconto per l’infanzia, A verdadeira história dos pássaros, seguito da altri quattro e da una raccolta, Contos de cães e maus lobos (2015).
Nella sua scrittura Valter Hugo Mãe è principalmente interessato a indagare l’animo dei personaggi e lo fa attraverso varie tematiche. I temi prediletti dall’autore sono l’amore, l’amicizia, l’allegria, ma anche la morte, la solitudine, la tristezza. Mãe scrive dei sentimenti e delle emozioni, senza censurarne nessuno, poiché tutti fanno parte dell’esperienza della vita e servono a riflettere su di essa. L’indagine che l’autore svolge sui personaggi procede con scarsità o assenza di descrizioni fisiche o di nomi propri, permettendo al lettore di concentrarsi su ciò che è realmente importante, ovvero i sentimenti e la relazione che si può stabilire tra gli esseri umani. Inoltre, questo procedimento conferisce un carattere universale al contenuto della narrazione, sfuggendo a preconcetti, pregiudizi e caratterizzazioni stereotipate e permettendo al lettore di immaginare il proprio personaggio ed eventualmente di potervisi identificare non effettuando una comparazione sul piano fisico, ma esclusivamente emotivo.
Lo stile è caratterizzato da una narrazione fluida, in cui discorso diretto, indiretto e indiretto libero spesso si susseguono in modo da essere quasi indistinguibili. Sono frequenti il ricorso alla metafora e all’allegoria, e l’uso talvolta libero e creativo della sintassi e del lessico, tutti elementi usati per esprimere l’universo intimo, emozionale e psicologico dei personaggi, spesso in un succedersi di immagini che possono sfociare nel neofantastico o meraviglioso. Il lettore si trova di fronte all’insolito che esiste o si insinua nel quotidiano. Lo scrittore (e quindi il lettore) oscillano costantemente tra il referenziale e la disorganizzazione allucinatoria del reale: la deformazione percettiva della realtà e la ricerca dell’insondabile obbligano a sospendere le categorie logiche. Queste caratteristiche stilistiche appena descritte sono molto evidenti nei romanzi, ma non vengono meno nei racconti, in cui diventa ancora più importante la poetica della suggestione. Agendo in modo verticale, misurando l’intensità e la tensione tra gli elementi, l’autore crea un microcosmo narrativo che non rappresenta solo se stesso, ma elementi archetipici della condizione e della vita umana, permettendo al lettore di averne una visione ampliata. La narrazione di questo autore richiede perciò una partecipazione attiva del lettore per poter rivelare tutti i significati, per riempire quei vuoti lasciati dalla scrittura.
La partecipazione attiva del lettore per Mãe non si dovrebbe esaurire con la lettura, ma dovrebbe potersi espandere nella vita attiva di ogni giorno. L’autore intende infatti la scrittura come un mezzo di trasformazione e miglioramento del mondo:
Vedo l’arte come una speranza, un’utopia di salvare il mondo e redimere tutto, e mi interessa molto che quello che io faccio possa avere un valore per qualcuno. So che non salverò il mondo, ma c’è qualcosa che può venir fuori dal contributo di ognuno di noi, e, per questo, sì, credo e voglio davvero che l’arte salvi il mondo (Veras 2014)1.
Se è vero che è possibile individuare un insegnamento o una morale nelle opere di Mãe, è altrettanto interessante notare come queste non vengano mai presentate come norme predeterminate. Il punto di vista del protagonista o dei protagonisti è mostrato come punto di arrivo di un percorso di conoscenza e riflessione (presentato all’interno della narrazione). In questo modo Mãe non impone, ma propone i suoi principi etici, lasciando il lettore libero di aderirvi o meno.
O menino de água: la poetica della brevità e il topos del mare
O menino de água è il secondo racconto della raccolta Contos de cães e maus lobos e probabilmente è il più enigmatico. Narrato in terza persona da un narratore extradiegetico, presenta la disperazione di una madre per la morte del figlio. Come in altri racconti di Mãe, non abbiamo indicazioni temporali o geografiche: la protagonista non ha nome né viene descritta fisicamente; l’ambiente è ridotto a un indefinito mare e ad una non meglio specificata casa. Abbiamo i fatti: i gesti e i sentimenti di chi sperimenta un grande lutto. La protagonista identifica l’acqua del mare con il figlio che ha perso, perché è lì che è morto. Nelle poche pagine di questo testo la protagonista si immerge nel mare per cercare ancora e ancora il figlio. La madre identifica il contatto con l’acqua con il contatto con il figlio: l’unico modo che ha per continuare a prendersene cura è portare il mare in casa, riempiendo dei vasi. La disperazione opera in modo allucinatorio: la madre crede che il movimento e lo scintillio dell’acqua siano modi di comunicare. Suo figlio è l’acqua e con questa lei gioca, immergendo automobiline, barchette e soldatini nei grandi vasi trasparenti di cui si è circondata. Il racconto si chiude con una considerazione: l’acqua che evapora dai vasi è un modo per uccidere il mare, un modo per vendicarsi di cui la donna non è cosciente. Il mare assume quindi un ruolo di coprotagonista dal doppio significato: rappresenta il figlio ma ne è anche l’assassino.
La brevità di questo racconto rappresenta una delle tendenze del racconto contemporaneo: compresso in meno di 600 parole, può essere classificato come micronarrazione. L’autore si serve del suggerimento e della suggestione per presentare una situazione i cui confini sono più ampi dello spazio ristretto del testo. Questo racconto, benché possa apparire enigmatico e apparentemente rappresentare solo la reazione di una madre al lutto, acquista toni realistici leggendo una nota dell’autore in cui afferma che «Il bambino d’acqua è per tutte le persone che credono che i bambini non si possano perdere a causa della tragedia del mondo che gli adulti creano.» (Mãe 2015b: 10)2.
Le parole dell’autore non possono che farci pensare innanzitutto ai naufragi di migranti che avvengono periodicamente nel mar Mediterraneo, per poi estendere il pensiero a tutte le sofferenze che i bambini sono costretti a subire a causa di conflitti, disuguaglianza sociale ed economica, e razzismo. O menino de água ha quindi un tema nascosto sotto quello immediato del lutto: la brutalità e l’assurdità degli adulti che ricade su chi non ha colpe, né mezzi per difendersi, mostrata dall’autore nella speranza che possa servire come presa di coscienza per migliorare il mondo. L’assenza di descrizioni lascia al lettore il compito di completare l’ambientazione, i gesti e l’aspetto del personaggio, permettendo anche di dare un tono universale al racconto: il lettore può immaginare questa storia in base al proprio bagaglio culturale e al proprio universo mentale senza che venga meno l’intenzione dell’autore. Anzi, proprio in virtù dell’assenza di caratterizzazione fisica, la madre del racconto rappresenta tutte le madri che hanno perso un figlio.
Il mare, coprotagonista del racconto di Valter Hugo Mãe, è il secondo elemento di grande interesse. Il mare è un topos della letteratura di lingua portoghese a causa della geografia e, soprattutto, della storia del Portogallo e delle sue ex-colonie. Identificato come spazio mitico che ha definito la nazione portoghese, è stato presentato alternativamente con toni euforici o disforici. Nella letteratura per adulti si è molto insistito sugli aspetti eroici che legano il mare e i portoghesi, particolarmente nel secolo XX durante l’Estado Novo. Nella letteratura per l’infanzia il mare e la spiaggia rappresentano principalmente il divertimento e l’allegria, e sono luoghi che suscitano sentimenti poetici di ammirazione e incanto per la bellezza della natura (Blockeel 2001: 247-249). È il caso di A menina do mar (1958) di Sophia de Mello Breyner Andresen. Il testo della Andresen (uno dei più famosi della scrittrice portoghese) narra la storia di un bambino che incontra un essere marino, una bambina del mare, con cui stabilisce un rapporto di amicizia nonostante le grandi differenze. Questo racconto non si pone come dichiaratamente morale, ma nello svolgersi delle vicende narrate emerge un appello ai valori sociali ed etici dell’amicizia e del rispetto in contrapposizione all’egocentrismo e all’attaccamento ai beni materiali (Gomes 2007: 2). Tuttavia, ci sono e ci sono stati autori che hanno dato una lettura disforica e tragica del mare ed è soprattutto con questi che il testo di Valter Hugo Mãe dialoga. Ci riferiamo, per esempio, alla História trágico-marítima (1735-1736) di Bernardo Gomes de Brito e a O navio negreiro – tragédia no mar (1868) di António de Castro Alves, dove il mare è teatro della violenza, del sopruso e della tragedia, e ancora Capitães da areia di Jorge Amado (1937) che ritrae un gruppo di ragazzini di strada, abbandonati a se stessi, ambientato sulle spiagge di Salvador de Bahia. Pensando alla contemporaneità, sono notevoli le analogie con i racconti brasiliani Menina sem-terra no mar (2015)di Geovani Martins e Meu mar (fé) (2021) di Itamar Vieira Junior.
Il racconto di Martins si serve del mare e della spiaggia come scenario per mettere in mostra il razzismo e l’emarginazione che sperimenta chi si trova in una condizione socioeconomica svantaggiata. In questo racconto il mare è considerato un lusso per pochi: i bagnanti della spiaggia di Ipanema (spiaggia di Rio de Janeiro considerata elegante) vorrebbero che fosse proibito l’accesso a un gruppo di Senza Terra3, la cui condizione socioeconomica sfavorevole li identifica (agli occhi di bagnanti e polizia) come un disturbo. Rispetto a Mãe, Martins chiude positivamente la sua narrazione, come a voler auspicare la possibilità di un cambiamento sociale: tutti hanno il diritto di godere del mare, poiché la natura appartiene a tutti, a prescindere dalla condizione socioeconomia, e non deve essere trasformata in un bene per pochi. Il racconto di Itamar Vieira Junior ha gli stessi toni del racconto di Mãe e presenta la tragedia vissuta dalla protagonista4, una donna immigrata clandestinamente dal Senegal in Brasile. Questa donna (di cui non conosciamo il nome) ha perso il marito in mare dopo che dei trafficanti di esseri umani li hanno gettati in acqua. Come la protagonista di O menino de água, giorno dopo giorno la donna si reca sulla spiaggia per cercare il marito. Il mare, causa del suo dolore, viene personificato: la donna lo identifica come il padre del bambino che ha partorito (conseguenza dello stupro subito dai trafficanti). Il finale di questo racconto è agrodolce: la protagonista accetta di aver perso il marito, ma trova conforto nel figlio, una nuova vita carica di speranza nonostante sia frutto della violenza.
Oltre alla brevità e alla revisione del tema del mare, anche in questi racconti (come in quello di Mãe) possiamo registrare: 1) l’adesione alla tendenza moderna di presentare temi e soggetti che mostrino la diversità presente oggi nel mondo lusofono, composta da soggetti storicamente silenziati (indios e afrodiscendenti) e da nuovi soggetti emarginati ed esclusi dal discorso pubblico (immigrati e poveri); 2) la presenza di un impegno etico e civico: attraverso la narrazione gli autori vogliono stimolare una riflessione sulle ingiustizie che ci sono nel mondo e di come queste spesso ricadano sui soggetti più deboli e indifesi.
Il bambino d’acqua
Il bambino nuotò fin oltre una grande onda e non tornò. La madre tese le mani nell’acqua cercando il suo corpo diluito. Credeva che il figlio si fosse diluito come una zolletta di zucchero che non riesce ad addolcire il mare. Giurò che lo avrebbe sempre cercato. L’avrebbe riconosciuto anche se fosse diventato minuscolo. L’avrebbe trovato anche nascosto nella più insignificante goccia d’acqua. Lo giurava. Se il suo bambino fosse stato vicino, lei non lo avrebbe mai ignorato.
Nuotò fino alla fine del mare, nella bocca degli squali, dentro il vuoto delle balene, sotto le pance cieche delle navi, nei pensieri dei pesci e sui loro dorsi, tra la sabbia, dietro le rocce e sotto. Cercò nello scintillio della luce che entrava nell’acqua trasformando tutto in un enorme cristallo, forse, ora, il figlio era una stella e sapeva solo luccicare. La madre guardava il luccichio come se anche il luccichio la stesse osservando. Aspettava e, comunque, sarebbe rimasta per sempre ad aspettare.
Non asciugava mai il corpo perché l’acqua, ora, era il suo bambino. Si bagnava, protendeva le mani intorno come radar afflitti che cercano disperatamente un abbraccio e immaginava che il bambino facesse le onde. Forse le onde erano un modo di parlare.
E lei ondeggiava. Percepiva le maree come il respiro del mondo che si muove. Sentiva che il tempo era movimento e viaggio. Era così che capiva che l’attesa le creava una distanza insopportabile, come se l’intero pianeta andasse costantemente da un’altra parte. Come se l’intero pianeta se ne stesse andando in fretta e lei dovesse agire con urgenza.
Credeva anche che il suo corpo che si asciugava fosse come una partenza continua del figlio. Quando sentiva i vestiti e la pelle asciutti diceva: se ne è andato. Come se il figlio si alzasse dal suo grembo. Dal dormire sul suo petto, come faceva di solito. Forse il bambino evaporava per osservare le cose dalle nuvole. La madre rimaneva sola. Si chiudeva in casa a ricordare.
Pensava che il corpo del mare fosse il corpo del figlio, senza distinzione. L’amarezza del sale non l’avrebbe mai illusa di fronte alla mancanza di baci, alla nostalgia dei baci e alla delicatezza del suo bambino. Nuotava dentro il figlio. Era per questo che si distendeva e solo allora si calmava.
Una volta la madre riempì d’acqua un vaso enorme che portò a casa senza rovesciarlo. Lo fissò perplessa. Risplendeva nella luce del pomeriggio come una lampada liquida o una stella intrappolata. Con attenzione abbracciò il vaso e lo accarezzò a lungo. Quello era un posto del suo bambino. Dopo la madre immerse un soldatino cosicché l’acqua potesse giocare. Disse: gioca, figlio. L’acqua si calmò. Forse luccicava solo per giocare.
Allora ripeté quei gesti ogni giorno fino a quando tutta la casa divenne il mare. Un mare dentro vetri puri, trasparenti, attraverso i quali lei lo sorvegliava e lo esponeva al sole. Immergeva lupi e macchinine da corsa, supereroi e dinosauri. Faceva galleggiare barchette di carta e immergeva altri soldatini. Un esercito di giocattoli, anch’esso in attesa nella trasparenza dei vetri. E la madre scrutava il movimento delle acque o un brillare più intenso per capire se il suo bambino stesse comunicando.
Anche lei si muoveva acquatica, ballerina prudente, tra i vetri sacri e quelli evaporavano lentamente come se, lentamente, senza che lo intuisse o lo confessasse, la madre si stesse vendicando uccidendo il mare. L’avrebbe guardato evaporare vaso dopo vaso, la dimensione di un bambino piccolo, fino all’infinito. Avrebbe amato e incolpato il mare fino all’infinito.
Bibliografia / Sitografia
Bibliografia
Mãe, Valter Hugo (2015), «O menino de água», In: Mãe, V. H., Contos de cães e maus lobos, Porto, Porto Editora, p. 35-37.
– (2015b), «Prefácio», In: Mãe, V. H., Contos de cães e maus lobos, Porto, Porto Editora, p. 9-10.
Špánková, Silvie (2020), Rumos do conto português contemporâneo, «Metamorfoses», 17, 1, p. 12-18.
Sitografia
Veras, Luciana (2014), «Acho que a arte tem de conter uma utopia», In: Revista Continente,01/04/2014, consultato il 05/11/2024, URL: <https://revistacontinente.com.br/edicoes/160/racho-que-a-arte-tem-de-conter-uma-utopiar>.
Note
- Traduzione mia.
- Traduzione mia.
- Appartenenti al MST (Movimento Sem Terra), organizzazione sociale e politica attiva in Brasile che si batte per la giustizia economica e sociale, e i diritti umani.
- Da notare che anche Vieira Junior non dà un nome alla sua protagonista né la descrive fisicamente, come per farne un simbolo di tutte le donne che si trovano o si sono trovate nella situazione che presenta.