Per una lettura eco-gotica di A Sicilian Romance e The Italian di Ann Radcliffe

Introduzione

Il presente articolo, guardando alle fonti filosofiche e letterarie che possono aver contribuito a plasmare l’immaginario di un chimerico “Sud” nell’ambito della letteratura inglese settecentesca, mira a far luce sul rapporto tra le geografie esterne e l’interiorità delle protagoniste di A Sicilian Romance (1790) e The Italian (1797) di Ann Radcliffe. Il landscape gotico, di norma connotato dalla presenza di una natura spaventosa e opprimente che, in tempi più recenti, ha trovato vivida espressione nel filone del Southern Gothic americano, in Radcliffe è ancora in parte interpretabile come oggettivazione della voce, spesso repressa, dei personaggi femminili. In quest’ottica, si tenterà di sottolineare le interessanti dinamiche che informano il rapporto tra le percezioni e i pensieri delle protagoniste e gli elementi naturali nei due testi, alla luce di recenti teorie femministe ed eco-gotiche.

Come è noto, in Gran Bretagna, l’interesse per la materia folklorica, di ispirazione soprattutto per gli autori romantici della prima generazione, fu alimentato non solo dalla fascinazione per un’Europa pagana o medievale intrisa di richiami mitologici e leggende legate alla tradizione orale (come quella delle ballate), ma anche da un’arte pittorica che rivolgeva un’attenzione particolare alla resa dei paesaggi naturali, non più concepiti come meri sfondi, ma in grado di “interagire” in senso proto-psicologico con la vita dei soggetti ritratti, in un sovrapporsi di luci e ombre (Varma 1957: 24). Ciò trovò corrispondenze anche nel testo letterario grazie a una presenza più spiccata di elementi naturali associabili al sentire dei personaggi, con connotazioni simboliche che si facevano oggettivazione di stati d’animo ed emozioni(Di Michele 1977: 624). L’avvicinamento allo studio delle rappresentazioni pittoriche contraddistinte da atmosfere malinconiche e visionarie cominciò a farsi strada discorsivamente anche nelle opere letterarie, in cui spesso venivano citati gli artisti ai quali determinate descrizioni si ispiravano, soprattutto francesi e italiani, come Salvator Rosa, Claude Lorrain, Nicolas Poussin e Guido Reni, quest’ultimo talmente noto in Inghilterra da essere indicato nei diari di viaggio come “Guido”.

A questa tipologia di immagini e atmosfere, soprattutto quelle declinate in sintonia con le categorie del sublime e del pittoresco, farà riferimento anche Ann Radcliffe (1764-1823) nei romanzi A Sicilian Romance e The Italian, ambientati nel sud della penisola italiana. Il concetto di “percezione”, d’altronde, aveva già cominciato a farsi strada nel pensiero di filosofi come l’empirista John Locke, il quale, in opposizione all’innatismo, aveva sottolineato l’importanza dell’esperienza sensoriale, canale primario dal quale sarebbe confluita linfa verso la sfera delle idee. Anche George Berkeley, nell’Essay Towards a New Theory of Vision (1709), indagò il concetto della percezione visiva, stimolata da luce e colori, ponendola su un gradino più alto rispetto al perimetro del tangibile. In questo contesto, è poi fondamentale ricordare uno studio miliare per quanto concerne in particolare il concetto del “sublime”, ossia A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757) di Edmund Burke, che gettò le basi di una nuova percezione e categorizzazione dei sentimenti umani. L’effetto del sublime corrisponderebbe all’emozione più forte, permeante e potenzialmente paralizzante, scaturente da un senso del terribile che, seppur mai scisso dal pericolo e dal dolore, sarebbe in grado di affascinarci in modo misterioso e avvolgente. Il sublime sarebbe alimentato da sensazioni “forti” generate, ad esempio, dal dispiegarsi di paesaggi tempestosi, alture e voragini, ossia orizzonti fluttuanti che lasciano intravedere l’infinito.

In questa cornice contraddistinta da una commistione tra piacere estetico e confronto con l’orrorifico (o terrifico) si colloca pure il romanzo gotico settecentesco, i cui intrecci, siano essi legati alla visione di una natura sconfinata o al setting di una stanza segreta di un castello o un monastero, alimentano sensazioni di angoscia, paura e fascinazione sinistra sia nei personaggi, sia vicariamente nel lettore. In ciò non si deve però ravvisare semplicemente un senso di morbosità voyeuristica, quanto il bisogno di misurarsi con l’ignoto o il pericolo e tentare di esorcizzarlo. Seguendo la traiettoria del gotico, il novel tende notoriamente ad avvicinarsi al polo del romance, dando spazio all’aspetto emotivo e psicologico dei personaggi in un oltrepassamento della barriera costituita dal razionalismo illuminista e in direzione di percezioni più intime, legate all’universo interiore.

Uno sguardo ad alcune fonti documentarie del «gothic written from outside» radcliffiano

Quando venne pubblicato A Sicilian Romance, nel 1790, Radcliffe non aveva ancora compiuto il Grand Tour che, nel 1794, l’avrebbe vista soggiornare per mesi, con il marito, in alcuni paesi europei. Verrebbe quindi naturale supporre che, sulla stesura di The Italian, pubblicato sette anni dopo, potessero invece aver influito contatti con ambienti mediterranei. Questa eventualità va però scartata perché, durante il Tour, l’autrice visitò soltanto l’Olanda e la Germania, come testimonia il suo diario di viaggio, A Journey Made in the Summer of 1794, through Holland and the Western Frontier of Germany, with a Return Down the Rhine.

Per Radcliffe, dunque, l’Italia restò un paese da ricostruire a livello mentale, ideologico e mitopoietico. Per raggiungere questo obiettivo, ella si affidò alle conoscenze tratte dai diari dei Grand Tourists e di coloro che si erano spinti oltre le città più note della penisola per condurre ricerche scientifiche. L’interesse per il Sud Italia, nello specifico, è testimoniato dalle citazioni dai Travels in Sicily, Greece, and Albania (1820) di Thomas Hughes, rinvenibili nel commonplace book dell’autrice recentemente ritrovato, e dalla sua poesia “Scene of the Northern Shore of Sicily” (1826), riportata in apertura di A Sicilian Romance. Nonostante il mancato contatto diretto con la geografia mediterranea, le descrizioni degli scenari inerenti a questo «gothic written from outside», citando Murray Pittock (2013: 235), risultarono talmente vivide da indurre un recensore dell’Edinburgh Review a trarre le seguenti conclusioni:

Mr. Radcliffe […] had been formerly attached to some of our embassies into Italy, where his lady accompanied him; and here she imbibed that taste for picturesque scenery, and the obscure and wild superstitions of mouldering castles, of which she has made so beautiful a use in her Romances. The fair authoress kept herself almost as much incognito as the Author of Waverley; nothing was known of her but her name in the title page. She never appeared in public, nor mingled in private society, but kept herself apart, like the sweet bird that sings its solitary notes, shrowded and unseen (Anonymous 1823: 360).

In A Sicilian Romance, il ricorso di Radcliffe alle testimonianze registrate in vari diari di viaggio, nell’intento di dar corpo a un immaginario connesso al meridione, ne restituì in realtà un quadro poco accurato. Tuttavia, un lettore mai stato Italia non si sarebbe accorto di discrepanze ed errori, come la convivenza di suore e frati negli stessi monasteri, la vista della città di Palermo dal centro di Messina, l’anacronismo riguardante l’operato dell’Inquisizione e la presenza del pianoforte già alla fine del sedicesimo secolo. Questa rielaborazione fittizia finì per apparire eloquente e credibile.

Quanto all’ambientazione naturalistica di A Sicilian Romance, con i rimandi a «corn, vineyards, olives, and groves of mulberry-trees adorning the hills» (Radcliffe 1790: 83), bisogna però segnalare che essa ricorda correttamente i gelsi bianchi e neri disseminati sulle altitudini e ai quali si richiamò John Ray, di passaggio a Messina il 29 aprile 1664. Nel secolo successivo, Joseph Addison avrebbe sottolineato come la Sicilia, un tempo riserva di foraggio per l’Impero Romano, ricoprisse ancora quel ruolo rifornendo, insieme a Napoli, la zona della Liguria e di Monaco. Henry Swinburne, nella seconda metà del Settecento, scrisse inoltre di «a piece of vineyard»appena fuori Messina e di «large unlopped olive trees» vicino a Siracusa (Swinburne 1786: 300). Dal suo riferimento allo «stream [that] flows through pastures and orchards» e al «rich foliage of the agrumi» nei pressi di Girgenti, Radcliffe trasse spunti per lo scenario del «clear majestic stream, whose banks were adorned with thick groves of orange and citron trees» (Radcliffe 1790: 110), unito alla presenza di alberi di mandorlo e castagne.

In The Italian, oltre ai richiami a una chiesa del Santo Spirito affine a quella di San Spiridio di Palermo (menzionata da Thomas Watkins, 1794), la zona dell’Abruzzo, avvistata dall’eroina  Ellena Rosalba durante il suo rapimento, è associata a un convergere di «almond trees, figs, broad-leaved myrtle, and ever-green rose bushes, intermingled with the strawberry tree, beautiful in fruit and blossoms, the yellow jasmine, the delightful acacia mimosa, and a variety of other fragrant plants» (Radcliffe 1797: 62). Questa vegetazione sembra richiamare le distese di «violets and almond trees in blossom, […] groves of olives, gardens of oranges, […] [the] great variety of trees and shrubs that never lose their verdure» su cui Addison (1718: 125-126) si soffermò descrivendo le zone di Pesaro, Fano e Senigallia, mentre le piante di mimosa ricordano le acacie osservate da John Ray (vd. supra) nei dintorni di Napoli. Inoltre, la presenza di piante esotiche come palme da dattero e fichi sembra riecheggiare i resti di «almonds, dates, […] nuts, figs, grapes, […] oil and wine» (Martyn 1791: 304) sopravvissuti all’eruzione di Pompei, visione che aveva colpito appunto Thomas Martyn, mentre il «red and yellowish ridge of rocks» (Radcliffe 1797: 45) chiama in causa il «red arsenic or arsenic mixed with sulphur»(Addison 1718: 160), il cui colore può variare dal rosso al giallo, oggetto di contemplazione non solo di Addison, ma anche di Johann Jakob Ferber (1718), nei dintorni del Vesuvio.

Suggerimenti per una prospettiva eco-gotica al femminile

Relativamente agli spazi e alle geografie della narrativa gotica settecentesca, il castello o la dimora in cui l’eroina perseguitata si trova prigioniera sono tipicamente letti come un’estensione del potere maschile, mentre lo spazio esterno tende a colorarsi di valenze di libertà e riscatto salvifico per i personaggi femminili.

Ciò vale anche per A Sicilian Romance e The Italian, in cui il legame tra gli scenari naturali e le giovani protagoniste – rispettivamente Julia Mazzini ed Ellena Rosalba – è ulteriormente corroborato dall’elemento della luce, in grado di illuminare il percorso di passaggio tra l’interno e l’esterno, ovvero tra un senso cupo di oppressione e la speranza, i limiti costrittivi del mondo fisico e le fluide diramazioni di quello spirituale. Questo elemento è associato ad un’Ellena «lightened by hope» (Radcliffe 1797: 34), ma anche a Maria de Vellorno (la seconda moglie del Marchese Mazzini), circonfusa da «a sudden splendour» (Radcliffe 1790: 15) mentre entra nel salone del castello. Louisa Bernini (prima moglie del Marchese) sarà avvistata e dunque tratta in salvo grazie alle luci provenienti dalla torre a sud del castello, che sembra trasformarsi in un faro. Quanto a Julia, la possibile origine etimologica del nome da Iovilios o Jovilios, ovvero “sacra a Giove”, la correla appunto al dio del tuono e della luce. Nel testo, ella viene descritta come foriera di luce, tanto che «the objects no longer illumined by her ray, became dark and colourless” (Radcliffe 1790: 26); se, con l’arrivo minaccioso del Marchese, questa connotazione sembra sfumare, al punto che «her fears dissipated with the darkness» (Radcliffe 1790: 151), in chiusura il tutto si ravviva in una ricongiunzione con l’elemento naturale, quando Julia è significativamente «awakened by the sun» (Radcliffe 1790: 173).

I fiori, inoltre, sono l’elemento naturale al quale, in The Italian, Ellena è più frequentemente associata: quando l’amato Vincentio si reca per la prima volta a casa sua, il profumo dei fiori «seemed to announce the presence of Ellena» (Radcliffe 1797: 25). Inoltre, uno dei regali lasciati da suor Olivia nella cella della protagonista è costituito da «a knot of fragrant flowers» (Radcliffe 1797: 91), e saranno ancora i fiori a decorare la villa in cui ella convolerà finalmente a nozze con Vincentio. Allo stesso tempo, è interessante notare come le efflorescenze possano anche velarsi di negatività, soprattutto quando si riducono ad un artificio sterile: dentro l’appartamento della crudele badessa sono infatti presenti «tables […] to be ornamented with artificial flowers, and a variety of other fanciful devices upon which the ingenuity of the sisters had been long employed» (Radcliffe 1797: 119).

La presenza dell’elemento naturale è relazionata anche al giardino che circonda la casa della Signora Bianchi e di Ellena, del quale lei stessa sembra fare parte, come conferma il fatto che Vincentio, guardando il luogo, «experienced for the few first moments a joy as exquisite as her presence could have inspired» (Radcliffe 1797: 12). Il giardino costituisce una soglia che si interpone strategicamente tra la wilderness e l’interiorità soggettiva, l’Es e l’In con una funzione di cruciale spazio intermedio tra la clausura forzata nel convento e l’abisso mortale del precipizio. Si legge che, per vedere Vincentio, «they crossed the garden towards the gate» (Radcliffe 1797: 130): il giardino è in effetti il luogo in cui Vincentio attende Ellena, ma è anche il regno di Olivia, che vi invita Ellena a parlare dopo le prime funzioni religiose e nel quale Olivia stessa è integrata, come sottolinea il suo nome, evocante l’olivo e la vegetazione mediterranea.

Un aspetto da tener presente qui è il fatto che, nel corso del Settecento, architetti paesaggisti del calibro di William Kent, Lancelot “Capability” Brown e Humphry Repton avevano creato un nuovo stile di landscaping, alla base del modello dell’“English landscape garden”, in contrasto con il formalismo dei giardini geometrici delle corti italiane e francesi, associati allegoricamente al rigido controllo del potere monarchico. Il “giardino all’inglese”, improntato a un maggiore senso di libertà e a un dialogo “spontaneo” tra l’essere umano e l’ambiente naturale, guardava anche alle categorie del pittoresco e del sublime. I parchi così progettati si caratterizzavano per i prati ondulati, i boschetti naturali, laghi e ruscelli spesso intervallati da elementi architettonici come tempietti, grotte o rovine gotiche; tutto ciò è stato interpretato da un fronte della critica come cifra politica di una «growth of a national consciousness of liberty» (Müllenbrock 1984: 293), anche se vi erano comunque dei principi ben chiari di ordine e architettura degli spazi. Queste aspettative plasmanti il gusto estetico relativo all’ambiente naturale si riscontrano con chiarezza nei Travels Through France and Italy (1766) di Tobias Smollett:

In a fine extensive garden or park, an Englishman expects to see a number of groves and glades, intermixed with an agreeable negligence, which seems to be the effect of nature and accident. He looks for shady walks encrusted with gravel; for open lawns covered with verdure as smooth as velvet, but much more lively and agreeable; for ponds, canals, basins, cascades, and running streams of water; for clumps of trees, woods, and wildernesses, cut into delightful alleys, perfumed with honey-suckle and sweetbriar, and resounding with the mingled melody of all the singing birds of heaven: he looks for plats of flowers in different parts to refresh the sense, and please the fancy; for arbours, grottos, hermitages, temples, and alcoves, to shelter him from the sun, and afford him means of contemplation and repose; and he expects to find the hedges, groves, and walks, and lawns kept with the utmost order and propriety (Smollett 1949: 234).

Se, da un lato, nei due testi radcliffiani l’associazione tra i personaggi femminili e i tratti del paesaggio naturale assume una valenza rassicurante, con sfumature bucolico-pastorali, dall’altro lato è necessario evidenziare la compresenza di geografie esterne più potenti e meno “addomesticate”. Un esempio pregnante, in questo senso, è costituito dai vulcani cui si richiamano entrambi i romanzi e che, distinguendosi dal resto del paesaggio per collocazione topografica e per le fiamme dell’eruzione, stimolano l’immaginario e la fascinazione sia in Ellena («she distinguished the top of Vesuvius peering over every intervening summit, she wept as her imagination charactered all the well-known country it overlooked»), sia in Madame de Menon, che racconta una storia riguardante «those dreadful eruptions of Ætna, which deluged this valley with a flood of fire» (Radcliffe 1790: 28).

In A Sicilian Romance, il paesaggio della Sicilia, al quale sono peraltro attribuite qualità del giardino all’inglese, viene più spiccatamente associato a una «wild and picturesque scenery» (Radcliffe 1790: 6), in quanto meta più difficilmente raggiungibile rispetto all’Italia continentale. A dare adito a questa interpretazione, oltre ai resoconti storici sulle numerose dominazioni che vi si erano succedute, erano stati i diari di viaggio del Grand Tourist Patrick Brydone, che nel suo primo resoconto pubblicato sulla Sicilia raccontava di come l’isola fosse considerata impervia dagli stessi italiani per l’assenza di luoghi di accoglienza, per le strade pericolose che correvano a filo con dirupi e per le foreste, dove si annidavano «the most resolute and darking banditti in all Europe» (Brydone 1773: 2). Un quadro noto anche a Radcliffe, visto che in A Sicilian Romance si legge che «he [Duke de Luovo] knew that the wilds of Sicily were frequently infested with banditti» (Radcliffe 1790: 84).

La natura selvaggia dell’isola, nel sentire comune, affiorava già con l’attraversamento dello Stretto di Messina, sul quale, come sottolinea Brydone, circolava ancora la leggenda di un possibile e terribile incontro con i mostri di Scilla e Cariddi, che Omero, Virgilio e Aristotele avevano collocato tra la Calabria e la Sicilia e che sarebbero stati in grado di affondare qualsiasi imbarcazione. Ad esprimere la stessa preoccupazione era stato Henry Swinburne nei suoi Travels in the Two Sicilies (1786):

Near the light-house is a kind of whirlpool in the sea, shewn as the Charybdis of the ancients. I saw nothing in it more than a rippling occasioned by the meeting of the tide and currents. The bottom of the Streights is shallow, and full of rocks; consequently, numberless points and cavities must occur to obstruct and perplex the regular course of the current, and cause whirlpools that are dangerous in stormy weather; or even in dead calms, when vessels may be embayed and drawn among the shallows from which they want wind to extricate themselves. I take it for granted that the sea has worn itself a passage through the Faro much more easy and expanded than it was when Homer composed his Odyssey, which perhaps was not many centuries after the waves had burst through the connecting Isthmus between Sicily and the coast of Reggio. Then Scylla might indeed be a tremendous rock, and the hollows under the sea, where the waters yet foaming, and agitated by the resistance they had met with at Scylla, were hurried and whirled about, must have been an irresistible vortex, from which no ship could escape (Swinburne 1786: 365).

Radcliffe, in quanto autrice “illuminata”, poco incline a far leva su miti e leggende a fini di veicolare una propaganda politica, non richiama esplicitamente le due temibili creature mostruose, ma solletica la curiosità del lettore inglese facendo riferimento allo scoppio di una tempesta nel momento il cui Julia proverà ad attraversare lo Stretto insieme al fratello, e descrivendo con dovizia di particolari «the dark rocky coast of Calabria»(Radcliffe 1790: 5), costa che, secondo il mito, era un’oggettivazione di Scilla.

L’attrazione di Julia per le coste della Calabria e la fascinazione di Ellena per l’energia potenzialmente distruttrice del vulcano avvalorano da un lato la vicinanza tra i personaggi femminili e gli elementi naturali, ma fanno emergere dall’altro una dinamica relazionale in cui le eroine non rivestirebbero più solo un ruolo ancillare nei confronti delle meraviglie dello scenario naturale. In questo tipo di proiezione nei fenomeni naturali più eversivi e incontrollabili si coglie infatti il sentore di una «productive yet potentially ruinous force» (Lesslie 2016: 160), in cui si estrapola una cifra sotterranea gravitante intorno ad una medusea wilderness femminile. In quest’accezione, la narrativa di Radcliffe sembra aprire le porte a un gotico femminile nel quale la natura minacciosa non è più nemica, ma segreta alleata.

Bibliografia

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