La invención de Morel e Dormir al sol: l’automa e il simulacro in Adolfo Bioy Casares

Il simulacro e l’automa nella letteratura fantastica argentina

Il genere fantastico1 è da sempre luogo prediletto dai letterati per immaginare ciò che la mente umana potrebbe essere in grado di realizzare. Le meravigliose e pericolose creazioni presentate dagli scrittori hanno spesso a che vedere con il concetto di simulacro, un termine la cui definizione risulta piuttosto complessa, ambigua in quanto «significa “tutto” e “il contrario di tutto» (Secondulfo 2007: 243). Il termine simulacro è un prestito dal latino simulacrum, parola composta dal tema simula-, che troviamo nel verbo sĭmŭlāre, il cui significato è “rappresentare”, “rendere simile, ma anche “fingere”, “simulare”. Tuttavia, il termine latino deriva da un’antica radice indeuropea, sim-, la quale non indica il doppio, la copia o la riproduzione, bensì l’uno, l’unità. Inoltre, la radice simul- presenta anche l’accezione di “al posto di”, che indica la somiglianza qualitativa del simulacro con il modello originale, e nello stesso momento nel quale, che segnala il carattere di simultaneità del presente concetto. Tale ambiguità si è mantenuta anche nel passaggio alle lingue romanze, poiché simulacro continua a far riferimento a qualcosa di vero e falso allo stesso tempo: «”vero” nell’accezione di ritratto, immagine, immagine allo specchio, immagine mnemonica; “falso” nell’accezione di visione, fantasma, ombra, apparenza» (Borrelli 2007: 38). Fin dalle origini, il simulacro intrattiene uno stretto rapporto con il mondo religioso e divinatorio, come ricordano gli studi di Daniela Borrelli (2007) e Jean Baudrillard (1978). Quest’ultimo – principale studioso di tale concetto – pone in relazione il simulacro con l’iconoclastia e sostiene che gli iconoclasti avevano compreso il vero valore delle immagini, in quanto credevano che le icone e le immagini sacre avrebbero potuto sostituire l’idea di Dio e la sua presenza nelle coscienze degli uomini. Dunque, come sostiene Baudrillard, le immagini, da sempre, sono capaci di distruggere la realtà, sono «asesinas de lo real, asesinas de su propio modelo, del mismo modo que los iconos de Bizancio podían serlo de la identidad divina» (Baudrillard 1978: 11). Inoltre, lo studioso francese rifiuta il significato che, generalmente, si attribuisce a tale termine – copia, imitazione perfetta di un oggetto o di un corpo – poiché«no se trata ya de imitación ni reiteración, incluso ni de parodia, sino de una suplantación de lo real por los signos de lo real, es decir, de una operación de disuasión de todo proceso real por su doble operativo, máquina de índole reproductiva, programática, impecable, que ofrece todos los signos de lo real y, en cortocircuito, todas sus peripecias» (Baudrillard 1978: 7). Infatti, il simulacro – secondo Baudrillard – non rappresenta la simulazione della realtà – in quanto il referente da cui scaturisce la copia è condannato a scomparire –, né tantomeno può essere definito falso, una copia, bensì va oltre il concetto di realtà, legandosi, di conseguenza, a quello di iperrealtà. Nell’ultima decade del XX secolo, invece, ulteriori studi hanno permesso di mettere in relazione il simulacro con la realtà virtuale e il ciberspazio, due concetti che si sovrappongono e che indicano la presenza di un mondo altro creato mediante la tecnologia, l’informatica – come afferma Marie-Laure Ryan (1999)2.

Il simulacro, in quanto imitazione, copia di un oggetto o di un essere umano, sovente viene associato al concetto di automa3. Anche in questo caso, il termine presenta una certa ambiguità, come non mancano di ricordare studiosi quali Carlo Sini (2009), Massimo del Pizzo e Giorgio Grimaldi (2015). Vi sono, infatti, due possibili accezioni del termine:

Prima definizione: macchina che si muove da sé o macchina semovente che ha in sé i principi del suo movimento; perlopiù macchine che imitano i movimenti dei corpi animati.

Seconda definizione: non ciò che si muove da sé, ma ciò che si muove secondo la volontà di un altro. Macchina dotata pertanto di automatismi. E anche: ciò che si muove avendo perso la sua volontà, quindi secondo un movimento involontario, cieco, passivo, “automatico” appunto […] (Sini 2009: 10).

Dunque, come si evince dall’affermazione di cui sopra, l’automa può essere una macchina che manca di volontà ed autocoscienza, ma se consideriamo la prima accezione del termine, si arriva a un paradosso, in quanto l’uomo per diventare libero dovrebbe trasformarsi in automa. Tuttavia, «rimanendo nel solco del significato che tradizionalmente si conferisce alla parola “automa”, se questo acquisisse coscienza di sé cesserebbe di essere tale» (Del Pizzo e Grimaldi 2015: 58).

L’interesse per i suddetti concetti non fu appannaggio soltanto di inventori4, filosofi o sociologi, bensì anche di scrittori. La letteratura, infatti, è ricca di simulacri: si pensi a Olimpia, l’automa del racconto L’uomo di sabbia di E. T. A. Hoffmann, all’androide femminile di Eva futura di Villiers de l’Isle-Adam, al mostro di Frankenstein dell’omonimo romanzo di Mary Shelley, al Golem di Gustav Meyrink oppure ai robot dell’opera di Karel Čapek, R.U.R (Rezon’s Universal Robots). Tuttavia, l’articolo desidera focalizzare l’attenzione sulla diffusione del simulacro e dell’automa nella letteratura fantastica argentina. Tra i predecessori dell’autore che l’elaborato desidera prendere in esame, non possiamo prescindere dal menzionare Eduardo Ladislao Holmberg, medico, naturalista e scrittore di uno dei primi testi argentini di letteratura di fantascienza: Horacio Kalibang o los autómatas (1879). Il protagonista del romanzo è Fritz, un uomo che si diletta nella costruzione di automi, che rispecchiano perfettamente le caratteristiche umane e che lo scienziato può manipolare a suo piacimento. Fritz, sul finire della storia, confesserà di essere da sempre innamorato di Luisa – il personaggio femminile dell’opera –, ma che, non essendo ricambiato, ha deciso di creare il suo simulacro, un automa – appunto – affinché possa vivere con lei e amarla per sempre. L’amore permette la creazione di un automa anche nell’opera maestra di un importante precursore di Adolfo Bioy Casares, Macedonio Fernández. In Museo de la Novela de la Eterna(1967) – precisamente nel prologo intitolato Deunamor –, infatti, lo scrittore argentino racconta la trasformazione di Deunamor causata dalla morte della donna amata. L’uomo, da vero essere umano, si trasforma così in una creatura artificiale: «fue perdiendo su sensibilidad, hasta quedar reducido a un cuerpo sin conciencia. […] un hombre que nada siente, piensa ni ve, en actitud de espera pero sin sentir la espera» (Fernández 1996: 63). Fin da questi primi accenni letterari, è già possibile notare che la creazione di automi, simulacri umani, scaturisce dalla brama di assurgere a poteri divini dando vita a ciò che ne è privo – come nel caso dell’opera di Holmberg –, dalla necessità di colmare un vuoto emotivo o da un evento traumatico, ad esempio la morte della persona amata. Ulteriori scrittori, cronologicamente vicini a Bioy Casares, che trattano il tema del simulacro sono Jorge Luis Borges e Julio Cortázar. Quest’ultimo pubblica nel 1944 Bruja, un racconto nel quale Paula – la protagonista – si serve dei suoi poteri magici per creare un automa, un uomo da amare e che possa amarla. Borges, invece, è autore del racconto Las ruinas circulares (1940), che ha come protagonista un mago che decide di creare un simulacro umano mediante il sogno. Tale testo, inoltre, riprende la leggenda del Golem e indaga nell’ambito delle filosofie gnostiche il concetto di illusorietà dell’arte. Infine, il simulacro trova ancora spazio e interesse nella letteratura argentina degli ultimi anni del ‘900, si pensi all’opera La ciudad ausente (1992) di Ricardo Piglia e al romanzo breve El sueño (1998) di César Aira. Come nei casi precedentemente menzionati, anche Aira e Piglia mostrano come la realizzazione di simulacri, automi si debba principalmente al desiderio di soddisfare un bisogno emotivo, amoroso. Nel romanzo di Piglia, Macedonio Fernández – importante scrittore argentino, amico di Borges e protagonista dell’opera – rende la donna amata immortale trasformandola in una macchina, un simulacro che a sua volta crea simulacri. Invece, le suore, protagoniste dell’opera di Aira, danno vita, mediante la tecnologia, a dei cyborg, i cosiddetti monjas-bebés, spinte dalla brama di oltrepassare quel vincolo imposto dai propri abiti e soddisfare così il desiderio di essere madre.

Automa, simulacro, tecnologia, scienza, amore e brama di essere un dio sono tutti ingredienti fondamentali non solo delle opere appena citate, ma soprattutto della narrativa dello scrittore preso in esame nel presente articolo: Adolfo Bioy Casares.

Il caso di Adolfo Bioy Casares

La produzione letteraria di Adolfo Bioy Casares è ricca di esperimenti scientifici e tecnologici che sovente permettono la realizzazione di un simulacro. Spinto dalla formazione ricevuta e dai propri gusti letterari – studiò le opere di Darwin e amava leggere Wells e Verne – e influenzato dal contesto storico-culturale, ovvero l’Argentina degli anni 20’ e ’30 del XX secolo5, Adolfo Bioy Casares riversa il fascino per la scienza e la tecnologia nelle sue opere, dando vita a creazioni che gli permetteranno di essere definito come una sorta di precursore di scoperte scientifiche che si realizzeranno soltanto tra l’ultima decade del XX secolo e gli anni 2000:

Bioy imagina algo que es ya una realidad para nosotros: una máquina capaz de producir una realidad virtual. Bioy prefigura lo que la técnica de los medios de comunicación será capaz de crear un par de décadas adelante, con la última revolución tecnológica: mundos virtuales al servicio de la investigación técnico-científica, de la producción industrial y de la destrucción bélica, y también, aunque por supuesto no primordialmente, de la creación artística (Serur 1996: 266).

Tuttavia, l’atteggiamento assunto da Bioy Casares nei confronti della scienza e del progresso non si caratterizza soltanto per il fascino e l’interesse che in lui tali discipline suscitano, bensì anche per l’angoscia, il timore. Il suo, quindi, può essere definito un comportamento ambiguo, contradditorio, un atteggiamento in continua lotta tra la seduzione e la paura che sovente si riversa nella sua narrativa. Tutto ciò si deduce, infatti, dai numerosi finali amari, spesso tragici, delle opere di Adolfo Bioy Casares; i protagonisti che realizzano esperimenti scientifici e tecnologici sono costantemente destinati al fallimento, al sacrificio, se non addirittura alla morte6. Lo scrittore sembra, quindi, voler avvertire il lettore in merito alla pericolosità intrinseca alla scienza e alla tecnologia, come mette in evidenza la studiosa Raquel Serur:

Su novela lleva implícita una advertencia. Es como si Bioy Casares nos dijera: “Todo aquello que es verdaderamente fascinante trae consigo un peligro mortal, así también la realidad virtual de los mundos creados por el ser humano. La fascinación que ejerce la agilidad y la reversibilidad que demuestra tener la interacción de los mundos virtuales con el sujeto humano que los crea es tan poderosa, que puede llegar a opacar la interacción poco dócil, lenta e implacable que se encuentra en el mundo de la realidad efectiva del mundo natural y concreto. Esta última, la realidad natural, puede devaluarse ante la realidad virtual; su resistencia al capricho humano puede volverla insoportable, y el sujeto humano, confiado en su poder técnico y económico, puede llegar incluso a ver en ella una entidad prescindible, eliminable. No cabe duda que la realidad virtual de los mundos artificiales puede ser fabulosa como potenciadora de las dimensiones de la vida; pero hay que tener en cuenta que ella misma lleva en sí el germen de la muerte. De la muerte de la otra realidad, de la realidad actual o efectiva del mundo de la vida concreta” (Serur 1996: 267).

Attraverso le sue fantasie letterarie, infatti, Adolfo Bioy Casares riesce a far nascere nel lettore dubbi e interrogativi circa la discussa onnipotenza dell’individuo moderno e il rapporto tra l’uomo e la scienza. Il lettore è portato a chiedersi se l’uomo in quanto creatore abbia dei limiti invalicabili, pena il fallimento, se non la sua stessa morte; se sia eticamente giusto sostituire l’anima della persona amata o crearne un clone, solo in parte identico all’originale, semplicemente perché non sopportiamo alcuni tratti del suo carattere; se sia lecito sostituirsi alle leggi naturali e portare indietro le lancette del nostro orologio biologico per permetterci di vivere una storia d’amore che altrimenti avrebbe vita breve. Dunque, lo scrittore argentino si serve della sua fantasia per obbligare il lettore a porsi delle domande alla fine di ogni racconto o romanzo, senza, tuttavia, offrirgli una risposta certa e definitiva. È possibile comunque ipotizzare la sua opinione al riguardo: tenendo in conto i finali lieti a metà, i fallimenti delle macchine innovative e i sacrifici e le morti causate dagli esperimenti scientifici presenti nelle sue opere, non si può non pensare che Adolfo Bioy Casares, per quanto risulti essere un uomo razionale, ottimista, con una grande fede e – soprattutto – speranza nel progresso, ritenesse che la scienza e la tecnologia potessero costituire un pericolo, che i limiti dell’uomo fossero invalicabili e che la natura avesse il diritto di seguire il suo corso, fino ad arrivare all’evento più temuto, la morte.

Come anticipato all’inizio del presente paragrafo, la narrativa di Bioy Casares è ricca di simulacri. Questi ultimi vengono realizzati mediante la tecnologia e la scienza, ma anche attraverso la magia, il pensiero. Quest’ultimo tipo di creazione si riscontra in racconti quali El ídolo, La trama celeste e En memoria de Paulina7. Nel primo caso, una donna riesce a soggiogare il protagonista del racconto e renderlo suo servo, un vero e proprio automa che esegue tutti i suoi ordini. Un simulacro umano è anche al centro del racconto En memoria de Paulina, dove la mente malata del personaggio maschile riesce a creare il simulacro della donna amata ormai deceduta; mentre La trama celeste si caratterizza per la presenza di mondi paralleli, simulacri della città di Buenos Aires.

Il simulacro come creazione di un esperimento scientifico è, invece, presente nel racconto Máscaras venecianas8. Daniela, la donna amata dal narratore, crea un proprio simulacro da donare a Massey – rivale in amore della voce narrante – che fisicamente la ritrae alla perfezione, ma che caratterialmente presenta alcune differenze; Daniela, infatti, conferisce al proprio clone le caratteristiche tanto desiderate da Massey. La creazione di simulacri mediante la scienza e la tecnologia è riscontrabile, inoltre, in due romanzi di Adolfo Bioy Casares: La invención de Morel e Dormir al sol, due opere delle quali l’articolo desidera proporre una breve analisi, in particolare ponendo l’attenzione sulla figura dell’automa.

Faustine: l’automa di La invención de Morel

Nel 1940, Adolfo Bioy Casares pubblica il romanzo che lo consacrerà come scrittore: La invención de Morel, un’opera che lo stesso Borges definisce perfetta9. È la storia di un fuggitivo, che, per sottrarsi alla legge venezuelana, decide di rifugiarsi in una misteriosa isola del Pacifico, dove – come recita l’incipit – «ha ocurrido un milagro. El verano se adelantó» (Bioy Casares 2017: 89). Il miracolo riferito dal narratore e, al contempo, protagonista del romanzo viene realizzato da uno scienziato pazzo che, insieme ai suoi compagni, abita l’isola. Morel, il folle inventore, durante la sua permanenza sull’isola, dà vita ad una macchina che registrerà la settimana che il gruppo trascorrerà nel luogo misterioso e, una volta catturati, li ucciderà. Tuttavia, Morel spiega ai suoi compagni che la macchina non li condannerà ad un sonno eterno, bensì all’immortalità. Le maree, infatti, saranno in grado di attivare la macchina, la quale farà partire la proiezione dei loro corpi che, come automi, ripeteranno per sempre le azioni e le parole della settimana trascorsa sull’isola. I motivi che portano Morel a dare vita a tale invenzione possono essere individuati nella brama di raggiungere l’eternità e, quindi, di sostituirsi a Dio, e nell’amore che l’uomo prova per una delle donne presenti sull’isola. Morel, infatti, è follemente innamorato di Faustine, la quale, tuttavia, non lo ricambia. La delusione amorosa e la volontà di averla sempre con sé, anche solo per osservarla, contemplarla e desiderarla, sono, dunque, i motori che accendono in Morel il desiderio di creare la macchina che condannerà lui stesso e i suoi compagni alla morte, dato che, l’immortalità che Morel crede di aver regalato al gruppo è, in realtà, fittizia, apparente, in quanto la sua invenzione uccide i personaggi della storia per poi crearne dei simulacri, che vivranno per sempre come in un film. Al fallimento legato al tentativo di raggiungere l’immortalità si aggiunge la sconfitta amorosa, in quanto Morel non riuscirà mai ad essere veramente ricambiato dalla donna amata. Difatti, se la macchina rappresenta per Morel il mezzo che gli permette di «[…] dar perpetura relidad a mí [su] fantasía sentimental […]»  (Bioy Casares 2017: 145), di colmare in un certo qual modo un vuoto emotivo, ciò che, in realtà, tale invenzione offre a Morel è un amore frustrato – come afferma Teresa López Pellisa10 –, poiché, pur realizzando il desiderio di vivere eternamente al fianco di Faustine, l’inventore proverà per sempre gli stessi sentimenti di delusione e frustrazione, la medesima consapevolezza di un amore impossibile, irrealizzabile che solo rimarrà nella sua fantasia. Analogamente a Morel, anche il fuggitivo prova le medesime emozioni; il narratore, infatti, si innamora perdutamente di Faustine, per la quale sentirà un forte sentimento anche dopo aver scoperto che, in realtà, si tratta di un’immagine. Anche in questo caso, l’amore del fuggitivo per Faustine lo porta al sacrificio della sua stessa vita, ma, a differenza dell’inventore, il narratore è pienamente consapevole del fatto che la frustrazione causata dall’impossibilità di non poter parlarle o toccarla sarà eterna fino a che – si augura il fuggitivo sul finire del romanzo – un ipotetico lettore della sua testimonianza non riesca ad unirlo all’amata. Sebbene, quindi, sia cosciente di ciò che lo aspetta, il narratore comprende e giustifica le azioni di Morel e decide di farsi catturare dalla macchina, perché – esattamente come l’inventore – il suo unico desiderio è poter continuare a contemplare e desiderare Faustine: «La hermosura de Faustine merece estas locuras, estos homenajes, estos crímenes. […] La verdadera ventaja de mi solución es que hace de la muerte el requisito y la garantía de la eterna contemplación de Faustine» (Bioy Casares 2017: 172-173). Il motivo che spinge il fuggitivo al sacrificio è, secondo Giovanni Darconza, l’amore non per Faustine in particolare, bensì per l’idea di donna perfetta che incarna: «Si profila il tema della donna ideale, la donna dei sogni, più vera di ogni donna reale. Il protagonista sembra dunque provare non tanto amore per una donna in particolare, quanto piuttosto per l’idea stessa di donna» (Darconza 2002: 44). Teresa López Pellisa, invece, ipotizza che l’innamoramento del narratore per Faustine possa essere visto come una sostituzione dell’amore vero, concreto, autentico per Elisa, una donna che, tuttavia, si trova in Venezuela e che il fuggitivo non potrà mai più rivedere: «[…] Faustine se convierte en el revenant de Elisa y podemos preguntarnos si quiso de verdad a Faustine en algún momento o simplemente representaba, simulaba, aquello que él amaba. […] lo que realmente le impulsa a actuar es un referente humano y real que no puede alcanzar materialmente y por eso busca su análogo inmaterial, holográfico o virtual» (López Pellisa 2009: 909).

Faustine è colei che muove le fila della storia, viene descritta come una donna perfetta, ideale, simile alle donne angelicate di Dante e Guinizelli, capaci di far innamorare l’uomo con un solo sguardo; al contempo, però, Faustine porta i personaggi maschili a prendere scellerate decisioni e, di conseguenza, alla morte, esattamente come le donne fatali che dominano la scena letteraria tra XIX e XX secolo11. Non solo, Faustine è anche e soprattutto un simulacro, un automa. La donna presenta tutti i requisiti necessari in quanto è una copia artificiale della Faustine originale e possiede una coscienza invariabile e immodificabile. La giovane donna è, in un certo qual modo, programmata per non ricordare altro se non l’esperienza sull’isola, per non provare altre emozioni diverse da quelle vissute durante la settimana trascorsa insieme ai suoi compagni e registrata da Morel. Tutto ciò viene perfettamente esplicitato dallo stesso Morel nel momento in cui spiega la sua invenzione ai compagni. Tuttavia, ben prima della confessione dell’inventore, è possibile ipotizzare la natura artificiale e fantastica di Faustine grazie ad alcuni segnali testuali che indirizzano l’interpretazione del lettore; ad esempio, nel momento in cui il narratore la paragona ad un fantasma: «Después caminó hacia mí, con estirar el brazo, la hubiera tocado. Esta posibilidad me horrorizó (como si hubiera estado en peligro de tocar un fantasma)» (Bioy Casares 2017: 109-110), oppure quando Faustine, di fronte ad un’apparizione improvvisa o a una esplicita dichiarazione d’amore del fuggitivo, non mostra nessuna emozione, nessuna reazione che vada oltre a quelle prefissate nella propria coscienza – esattamente come fosse un automa –; tutt’altro, la donna continua la sua conversazione con Morel, come se insieme a loro non ci fosse nessun altro:

Estaba a pocos metros de Faustine. Yo salí muy decidido a cualquier cosa, pero a nada en particular. La espontaneidad es fuente de groserías. Señalé al barbudo, come si estuviera presentándolo a Faustine, y dije a gritos: – La femme à barbe, madame Faustine!

No era una broma feliz; ni siquiera se sabía contra quién iba dirigida. El barbudo siguió caminando hacia Faustine y no tropezó conmigo porque me eché a un lado, bruscamente. La mujer no interrumpió las preguntas; no interrumpió la alegría de su cara. Su tranquilidad todavía me aterra (Bioy Casares 2017: 124).

 

La seguí… corrí, me tiré de rodillas y le dije, casi gritando:

– Faustine, la quiero.

[…]

Morel le decía que necesitaba hablarle. Faustine contestó:

– Bueno, vamos al museo (oí esto claramente) (Bioy Casares 2017: 140).

Oltre a ciò, il lettore è portato a dubitare della vera natura del personaggio femminile giacché il narratore usa reiteratamente, riferendosi a Faustine, il verbo simular – un termine che, come si è visto precedentemente, rimanda al concetto di imitazione, copia –, come accade nei seguenti esempi: «[…] (por eso la mujer vuelve diariamente, simulando un episodio sentimental)», «Pasó, de ida y de vuelta, al lado de mi jardincito, pero simuló no verlo», «Ella simuló no verlo» (Bioy Casares 2017: 110; 115; 117).

Dunque, la volontà sia di Morel che del fuggitivo consiste nel contemplare eternamente la donna amata, nel «placer de mirar a Faustine como un objeto» (López Pellisa 2007: 100), un desiderio che «llegará a convertirse en la perversión que llevará a Morel al asesinato de sus amigos, y al protagonista de la novela a convertirse en un voyeur obsesivo y sádico» (López Pellisa 2007: 100). Il personaggio femminile di La invención de Morel viene trasformato in un simulacro, in un automa a causa di un amore morboso, malato, ossessivo, la cui gioia più grande consiste nel poter contemplare l’immagine di Faustine, la quale finisce per essere considerata un semplice oggetto: «estoy acostumbrándome a ver a Faustine, sin emoción, como un simple objeto» (Bioy Casares 2017: 155) – afferma il fuggitivo.

Diana: l’automa di Dormir al sol

Dormir al sol è l’opera più amata dallo stesso Bioy Casares, il quale racconta di essersi divertito molto durante la stesura e che «si mis libros fueran casas, la casa en la que me gustaría vivir sería Dormir al sol» (Cross e della Paolera 1988: 97). Pubblicato nel 1973, il romanzo narra la storia di Lucio Bordenave, un orologiaio di Buenos Aires, che decide di affidare la moglie Diana alle cure di un folle scienziato, il dottor Samaniego, affinché possa renderla una donna dal carattere perfetto, finalmente in possesso di tutte quelle caratteristiche tanto desiderate dal narratore e protagonista dell’opera. Ancora una volta, dunque, vediamo che la scienza e l’amore rappresentano le colonne portanti dell’opera di Bioy Casares. La decisione del narratore di affidarsi alla scienza è, infatti, dovuta a un desiderio amoroso: Lucio, stanco di sopportare il difficile carattere della moglie, ma allo stesso tempo totalmente innamorato del suo aspetto fisico, non riesce a rinunciarci e sceglie, quindi, di cambiarle il carattere, l’anima affinché possa essere come lui desidera, ossia una donna pacata, amorevole, dolce e obbediente. Ciò che, invece, porta il dottor Samaniego a inventare un esperimento, che permette di isolare l’anima dal corpo umano, riporla nel corpo di un cane e, una volta educata e addomestica, restituire l’anima al legittimo proprietario, è la brama che ogni scienziato ha: andare oltre i limiti della natura, assurgere a poteri divini, sostituendosi finalmente a Dio. Difatti, in ragione del fatto che l’esperimento del dottor Samaniego punta all’addomesticamento e alla rieducazione delle anime, si potrebbe affermare che il vero scopo di Samaniego non è semplicemente curare le malattie dell’anima, bensì creare una società composta da individui «sin neurosis, una sociedad plenamente biológica y adormecida» (Vilar 2010: 374). Dunque, in un certo qual modo, si potrebbe parlare di una società di automi che devono rispondere ai requisiti di sanità mentale del dottor Samaniego e ai quali non è concesso avere difetti o un brutto carattere, essere nevrotici o frivoli, esattamente come nel caso di Diana12.

Il personaggio femminile – proprio come Faustine – può essere definito automa, poiché l’anima di Diana viene addomesticata, programmata per un determinato fine: essere perfetta per il marito Lucio. Ciò trova conferma nel reiterato utilizzo dei seguenti termini rivolti alla donna: cambiar, curar, aleccionar, e da alcune affermazioni del dottor Samaniego: «[…] ¿me promete que usted no va a extrañar costumbres, o maneras de ser, que la señora haya olvidado?» (Bioy Casares 2019: 112) oppure «La aleccionamos con los elementos que pudimos reunir» (Bioy Casares 2019: 199). La trasformazione in automa di Diana e lo scopo nascosto del dottor Samaniego vengono notati anche da due studiosi Mariano García (2017) e Mariano Vilar, quest’ultimo, infatti afferma: «[…] el Frenopático aísla a los sujetos y los reconstruye como seres sujetos a la domesticación. La ciencia tiene el atributo de convertir la vida humana en vida post-humana […] entregada exclusivamente a la pacificación» (Vilar 2010: 372).

Inoltre, all’interno del romanzo è possibile individuare numerosi doppi di Diana. Alicia Borinsky (2013) mette in evidenza la presenza di due doppi: la sorella Adriana María, la quale mostra tratti fisici molto simili a Diana – l’unica differenza è, infatti, il colore dei capelli – e la cagna in possesso della sua anima. Vi sono, tuttavia, altri due doppi, ovvero la Diana addomesticata, in possesso di un’anima ben diversa, e il cane che Bordenave acquista dal professor Standle – alleato del dottor Samaniego – e che porta lo stesso nome della moglie. La cagna, precisamente come la donna, non viene accettata né dalla sorella – che si mostra all’interno del romanzo gelosa della Diana-donna – né da Ceferina – la governante che non ha mai nutrito molta simpatia nei confronti della moglie di Lucio – e fa innamorare il protagonista13.

Dunque, esattamente come nel caso di La invención de Morel, la creazione di un automa si deve al desiderio del protagonista maschile di possedere e amare a pieno la donna in questione, ma anche alla brama di un folle inventore di acquisire poteri divini e travalicare i confini imposti dalla natura.

Bibliografia primaria

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Vilar Mariano (2010), Ciencia, animalidad y domesticación en Dormir al sol de Adolfo Bioy Casares, «Gramma», 3, 1, p. 369-375.

Note

  1. Per approfondire l’articolata questione circa il genere fantastico si veda Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica (trad. Elina Klersy Imberciadori), Milano, Garzanti, 1977; Jaime Alazraki, En busca del unicornio: los cuentos de Julio Cortázar, Madrid, Editorial Gredos, 1983; Remo Ceserani, La narrazione fantastica, Pisa, Nistri-Lischi, 1983; Rosalba Campra, Territori della finzione: il fantastico in letteratura, (trad. Barbara Fiorellino), Roma, Carocci, 2000.
  2. Per ulteriori studi sul simulacro si veda Pierre Klossowski, Simulacra: il processo imitativo nell’arte, (a cura di Aldo Marroni), Milano, Mimesi, 2002; Jesús Montoya Juárez, Narrativas del simulacro: videocultura, tecnología y literatura en Argentina y Uruguay, Murcia, Universidad de Murcia, 2013.
  3. La parola automa deriva dal greco ατόματος, il cui significato è “che agisce di proprio impulso, che si muove da sé, automatico […], spontaneo, naturale” (Montanari 2004: ατόματος).
  4. Mario Giuseppe Losano (1990) ricorda come fin dalle origini artisti, ingegneri e inventori si dedicarono alla realizzazione di automi. Lo studioso cita, ad esempio, Erone d’Alessandria, Leonardo da Vinci, Bartolomeo Campi e Jacques de Vaucanson.
  5. Si tratta di un periodo storico caratterizzato dalla diffusione delle ultime scoperte scientifiche e dall’arrivo di ulteriori innovazioni europee, tra cui il cinema e la radio, nel mondo ispano-americano. In merito al contesto storico-culturale in cui si trova a vivere e scrivere Adolfo Bioy Casares si rimanda a Beatriz Sarlo, La imaginación técnica: sueños modernos de la cultura argentina, Buenos Aires, Nueva Visión, 1992.
  6. Si pensi al suo secondo romanzo Plan de evasión (1945) o ai racconti Bajo el agua – inserito nella raccolta Una muñeca rusa (1991) – e De los reyes futuros – pubblicato in La trama celeste (1948) –, testi dove la scienza si ritorce contro l’uomo dimostrando ancora una volta quanto l’essere umano sia inferiore alla natura.
  7. I tre racconti menzionati si trovano nella raccolta La trama celeste (1948).
  8. Racconto appartenente alla raccolta Historias desaforadas (1986).
  9. Il prologo, infatti, viene redatto dall’amico e maestro di Adolfo Bioy Casares, Jorge Luis Borges, il quale non manca di elogiare l’opera, classificandola come uno dei migliori romanzi di avventura.
  10. «De hecho, Morel es una imagen eterna en la que podemos percibir su amor frustrado, porque su alma, o conciencia […] expresaba las tensiones volitivas de su cuerpo: la imposibilidad de poseer a Faustine» (López Pellisa 2009: 98).
  11. Si pensi a Fosca dell’omonimo romanzo (1869) di Ugo Tarchetti, Beatriz della leyenda El monte de las ánimas (1861) di Gustavo Adolfo Bécquer o alle donne raffigurate nelle poesie all’interno di Les fleurs du mal (1857) di Charles Baudelaire.
  12. L’esperimento realizzato dal dottor Samaniego e il suo desiderio di creare una società ideale può consentire un parallelismo con l’opera di Evgenij Zamjatin, Noi (1924). Analogamente a Dormir al sol, anche il leader di Noi, il cosiddetto Benefattore, desidera creare una società perfetta, composta da automi, individui la cui mentalità si caratterizza per il totale dominio della razionalità e della logica, mediante un intervento chirurgico volto all’asportazione della fantasia e delle emozioni dal cervello.
  13. Lucio Bordenave instaura un parallelismo tra il cane e la moglie: «A mí me une a la perra una simpatía muy fuerte. Cuando le veo el hocico tan negro y tan fino, los ojos dorados, tan expresivos de inteligencia y devoción, no puedo sin quererla. A lo mejor acertó Ceferina cuando me dijo que soy un enamorado de la belleza. Hay en esto un punto que me preocupa: la belleza que a mí me gusta es la belleza física. Si pienso en la atracción que siento por esta perra, me digo: “Con Diana, mi señora, me pasa lo mismo. ¿No adoraré en ella, sobre todo, esa cara única, esos ojos tan profundos y maravillosos, el color de la piel y del pelo, la forma del cuerpo, de las manos y ese olor en que me perdería para siempre, con los ojos cerrados?” […] Por la manera de mirarme yo debí entender que esa perra me quería. No creo que nadie tenga ojos así» (Bioy Casares 2019: 95-96).
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