In ricordo di Giorgio Piccitto, lessicografo, linguista e padre della dialettologia siciliana

Introduzione

Tra le figure che hanno contribuito allo sviluppo della storia della dialettologia siciliana, non si può non ricordare, nonostante siano ormai passati più di cinquanta anni dalla sua tragica scomparsa, quella del professor Giorgio Piccitto (1916-1972). Nato e cresciuto a Ragusa, dopo la licenza liceale viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove l’incontro, peraltro tanto illuminante quanto casuale1, con il grande dialettologo Clemente Merlo, suo maestro, lo indirizzerà definitivamente verso gli studi linguistici, glottologici e dialettologici in particolare. Conseguita la laurea con lode nel 1938 con una tesi intitolata Fonetica del dialetto di Ragusa e della Sicilia sud-orientale, la cui parte relativa al vocalismo sarà pubblicata nel XVII volume de «L’Italia Dialettale» del 1941, ottiene una borsa di studio a Lipsia, e lì si trattiene fino al luglio 1939, lavorando con il romanista Walter von Wartburg. Rientrato in Italia, e tornato ancora una volta in Germania, gli eventi bellici lo costringono ad abbandonare l’attività di ricerca per circa tre anni, durante i quali sarà prima allievo e poi ufficiale in zone di guerra. Dopodiché tornerà alla sua città natale nel 1944, dove insegnerà latino e italiano al liceo, mentre l’anno seguente viene chiamato per ricoprire il ruolo di docente di Glottologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Qui diviene anche, tre anni dopo, il primo professore ordinario di Dialettologia siciliana, ruolo che ricoprirà fino alla morte.

Questo accenno biografico è forse già sufficiente, ma non basta, per delineare la fisionomia di uno studioso importante, dal momento che con la sua ricerca ha contribuito ad ampliare le prospettive di studio in ambito linguistico e dialettologico in particolare. Non a caso, nel 1951, insieme a Li Gotti, Antonio Pagliaro e altri eminenti studiosi, Giorgio Piccitto fu anche tra i fondatori del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, tutt’oggi operante.

Venendo alla sua opera di ricerca – racchiusa nei due preziosi volumi di Studi di linguistica siciliana curati da Salvatore C. Trovato, pubblicati nel 2012 dal Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani – già illustrata dettagliatamente in più sedi2, cito qui solo alcuni degli scritti che hanno rappresentato un punto di svolta per la dialettologia siciliana. Piccitto fu il primo, nel 1950, in un saggio intitolato La classificazione delle parlate siciliane e la metafonesi in Sicilia, a raggruppare le parlate siciliane secondo criteri linguistici scientificamente attendibili, delimitando geograficamente con precisione le aree metafonetiche da quelle non metafonetiche, e smentendo le precedenti classificazioni infondate, come quella dello Schneegans (1888). Inoltre, qualche anno prima, in Elementi di ortografia siciliana (1947), aveva messo a punto un sistema ortografico del siciliano da destinare a linguisti, studiosi, poeti o chiunque volesse avvicinarsi allo studio del dialetto; ma dalla sua attività emerge anche l’interesse per le lingue classiche, nonché per la poesia dialettale – dedicò ampi studi di carattere filologico ai poeti della Scuola siciliana e a poeti importanti del Settecento come Meli e Tempio – senza dimenticare la passione per la didattica, come testimonia anche l’affettuoso ricordo del nipote e storico dottor Andrea Ottaviano3. Ma l’opera monumentale destinata a segnare per sempre gli studi dialettologici, e su cui questo contributo vuole porre l’attenzione, è senz’altro il Vocabolario siciliano (1977-2002), a cui, a detta dei familiari, pare avesse iniziato a pensare fin dai tempi in cui lavorava alla tesi di laurea. Proprio in un saggio programmatico intitolato Per un moderno vocabolario siciliano (1950) Giorgio Piccitto poneva le basi per la redazione di un vocabolario che potesse descrivere al meglio la ricchezza e la varietà del patrimonio lessicale del suo dialetto. Fino ad allora, la lessicografia siciliana poteva sì vantare diversi dizionari autorevoli – si pensi, per esempio, ai vocabolari del Traina (1868, 1877), del Mortillaro (1876) o del Nicotra (1883), per citare solo alcune delle opere lessicografiche ritenute tra le più importanti verso la metà del secolo scorso –; tuttavia, come ribadito più volte da Piccitto stesso (1950), si trattava prevalentemente di dizionari bilingui, con un forte orientamento verso l’italiano e il latino, che mostravano un livellamento a favore del dialetto delle grandi città dell’isola e del siciliano letterario, offrendo, conseguentemente e inevitabilmente, un’immagine distorta dell’uso effettivo del dialetto. A tutto ciò si aggiunga che diverse discrepanze interessavano l’ortografia e la semantica4. Insomma, seppur autorevole tanto quanto ricca da un punto di vista quantitativo, la lessicografia siciliana aveva bisogno di un’opera di ammodernamento che la riportasse al passo con gli studi. È con un intento innovativo e un carattere scientifico, dunque, che prima Piccitto, e poi i suoi collaboratori, tra i quali occorre menzionare Giovanni Tropea e, successivamente, Salvatore Trovato, rispettivamente co-direttore e direttore del Vocabolario siciliano, si dedicano alla realizzazione di un dizionario che, ancora oggi, rappresenta un punto di riferimento per gli specialisti all’interno del panorama dialettale italo-romanzo e non solo (Marcato 2002).

Il Vocabolario siciliano è forse l’opera che più rappresenta e getta luce sulla ricerca e sullo sforzo prodotto da Piccitto negli anni5, teso sempre a reperire quanto più materiale possibile, non solo per la sua importanza in ambito scientifico – è anche merito del Vocabolario siciliano se «la Sicilia, grazie all’opera ideata da Piccitto, è oggi la regione d’Italia più e meglio indagata nel suo patrimonio lessicale» (Trovato 2012: XVI) – ma anche perché ci restituisce l’immagine di uno studioso che, pur prestando attenzione ai minimi particolari, sia in ambito accademico che privato6, sembra non rinunciare al raggiungimento di un obiettivo totalizzante, olistico sotto tutti i punti di vista, che riguardasse e includesse tutte le parlate dell’isola.  Destino ha voluto che Piccitto non sia riuscito a vedere pubblicata l’opera a cui aveva dedicato la maggior parte delle proprie forze, consapevole com’era di lasciare ai posteri uno strumento di fondamentale importanza, a cui attingere nel proseguimento degli studi.

La gestazione dell’opera

Il Vocabolario siciliano si articola in cinque volumi, pubblicati tra il 1977 e il 2002 dal Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, il primo dei quali (lettere A-E), già pronto per la stampa nell’ottobre del 1970, era stato preceduto dalla pubblicazione di un fascicolo di saggio nel 1962, accolta da Piccitto «come fosse nato il terzo figlio», secondo quanto riportato nella Premessa al quinto volume (Trovato 2002: VIII). Il secondo volume, il terzo e il quarto furono pubblicati rispettivamente nel 1985, 1990 e 1997.

Il Vocabolario siciliano non è propriamente un dizionario di prima mano; per la sua realizzazione, infatti, ci si è basati su un ampio materiale letterario, edito o inedito, ma anche lessicografico, attentamente vagliato e analizzato. La grande sfida, però, consisteva nello svolgimento di una ricerca sul campo, ovvero di una vera e propria indagine dialettale che restituisse l’uso vivo e reale dei parlanti dell’isola7. È così che nel ventennio successivo al 1950 Piccitto e collaboratori si dedicarono incessantemente alla compilazione di questionari e alla ricerca di informatori locali stabili – parroci, professori, studenti – che potessero a loro volta fornire delle risposte grazie al contatto diretto con le persone del luogo. A tal fine, furono reperiti oltre 700 informatori in 250 comuni, frazioni incluse, coprendo, così, circa i due terzi dell’isola (Sgroi 1984). Il materiale linguistico pervenuto venne raccolto e schedato – si parla di almeno 500.000 schede (Tropea 1972: 56), ma verosimilmente il numero delle schede, così come quello degli informatori8, è aumentato negli anni – facendo attenzione a tenere separato il materiale proveniente dalle parlate locali, da quello risultante dalle fonti scritte; inoltre, anche le informazioni tratte dai vocabolari analizzati vennero trasposte su schede diverse, rispettivamente dedicate ai lemmi e ai loro significati. Con l’obiettivo di ottenere dei risultati rigorosamente attendibili, venne anche elaborato un valido sistema ortografico che potesse essere facilmente applicato dai vari informatori. Opera certamente ardua per qualunque dialetto che presenti un elevato grado di eterogeneità, ma Piccitto non si fece trovare impreparato; nel 1947, come precedentemente ricordato, aveva pubblicato un manualetto dal titolo Elementi di ortografia siciliana dal quale si sarebbe potuto «estrarre una semplicissima tabella ortografica di agevole applicazione» (Piccitto 1950: 26) alla quale gli informatori dovevano attenersi durante il compito di raccolta e trascrizione.

L’opera di raccolta delle fonti non si arrestò nemmeno dopo la pubblicazione del primo volume, anzi, fu implementata parallelamente ad alcune operazioni di rinnovamento di natura redazionale, di cui darò conto più avanti, che interessarono via via i volumi seguenti.

La struttura del Vocabolario Siciliano

Il primo volume del dizionario è accompagnato da una Premessa firmata da Giovanni Tropea, il quale, dopo la morte improvvisa di Piccitto, avvenuta nel marzo del 1972, si incaricò di proseguire l’opera. Nella Premessa vengono fornite varie informazioni relative alla metodologia di lavoro portata avanti negli anni, alcune delle quali sono state indicate nel paragrafo precedente, con particolare riferimento al ruolo degli informatori, ringraziati singolarmente nelle sei fitte pagine che seguono la Premessa, all’uso delle fonti scritte utilizzate e al lavoro di schedatura, alla creazione e all’invio dei questionari, sei dei quali (dal 9 al 14) vengono riportati per intero a mo’ di esempio nella Premessa stessa.

Dopo le pagine contenenti i nomi e le località di provenienza degli informatori ringraziati singolarmente, a pagina XXIV troviamo le «Avvertenze per la consultazione del vocabolario» articolate in più sezioni. La prima è dedicata principalmente ai segni grafici particolari utilizzati per la trascrizione dei lemmi, sui quali più avanti ci soffermeremo; segue l’elenco delle abbreviazioni per la citazione delle fonti scritte, ampliato man mano che sono stati pubblicati i volumi successivi al primo. Nella terza sezione viene specificato in maniera molto dettagliata l’uso delle sigle di localizzazione, da quelle più generali a quelle più specifiche; infine, la quarta e la quinta sezione sono dedicate rispettivamente all’elenco delle abbreviazioni e ad una breve descrizione riguardante la struttura delle voci. Conclusa la parte relativa alle Avvertenze, si trovano quattro cartine geografiche fuori testo: una della Sicilia intera (immagine 1), isole comprese, mentre le altre non sono altro che rappresentazioni su larga scala delle province di Palermo, Messina e Catania. Le cartine sono state inserite all’interno di tutti i volumi del Vocabolario siciliano e presentano alcuni pallini numerati che stanno a indicare i punti di inchiesta, ai quai si può risalire facilmente grazie alle sigle di localizzazione contenute nelle Avvertenze. Allo stesso tempo, rappresentano un’innovazione nella lessicografia siciliana (Sgroi, 1984: 317) e sono particolarmente esplicative, non solo perché danno un’idea della mole di lavoro necessario per portare a termine una capillare inchiesta dialettale, ma anche perché restituiscono l’effettiva vitalità di un determinato lemma e dei relativi significati in una determinata area geografica, senza escluderne del tutto la presenza in un’altra area dell’isola, come riportato in una nota a pagina XXIX.

Finora, come è giusto che sia, si è fatto riferimento prevalentemente al primo volume. Tuttavia, conviene segnalare adesso che il Vocabolario siciliano è stato sottoposto ad aggiunte, tagli e modifiche in quanto a criteri redazionali già a partire dal secondo volume, e in particolare sulla base degli Atti della Tavola Rotonda sul ‘Vocabolario siciliano’ e sul ‘Vocabolario etimologico siciliano’ del 1978, come ci informa Sgroi (1984), ma anche lo stesso Tropea nella Premessa al secondo volume. A detta di Salvatore Trovato (2002: VIII) le modifiche più sostanziali che si registrano tra il primo e il quinto volume riguardano l’ampliamento delle fonti, una maggiore attenzione per le polirematiche e il miglioramento del sistema ortografico. Aggiungo io, qualche revisione si registra anche nel sistema delle abbreviazioni e nell’elenco delle sigle generali relative alla localizzazione. Per esempio, mentre nel primo volume l’asterisco *, non in grassetto, indica le forme ricostruite secondo una consuetudine nota tra gli studiosi di indoeuropeistica, nel quinto volume l’asterisco *, stavolta in grassetto, viene utilizzato per segnalare tutte quelle varianti fonetiche e morfologiche poste alla fine della voce fondamentale e che sono anche semantiche, cioè portatrici di altri significati e con una loro entrata lessicale nel dizionario. Nel quinto volume, inoltre, sembrano mancare altre abbreviazioni e simboli come > = “diventa” o < = “deriva da”. Relativamente alle sigle generali di localizzazione, il primo volume presenta tre sigle in più (S.C.Or. = Sicilia centrale e orientale; S.N.Or = Sicilia nordorientale e S.Oc. = Sicilia occidentale), omesse già a partire dal secondo.

Per quanto riguarda il sistema ortografico, invece, il discorso si fa più complesso. L’ultimo volume conta ben dieci segni grafici in più rispetto al primo, del quale però non sono stati replicati tutti. Per esempio, il grafo <ə>, usato per rappresentare la vocale mutola o indistinta, viene soppresso già nel terzo volume; mentre dal quarto in poi vengono aggiunti i nuovi grafi <chj>, <cchj> e <gghj>, rispettivamente per l’affricata pospalatale sorda lene di chjazza ‘piazza’, l’affricata pospalatale sorda forte di acchjanari ‘salire’ e l’affricata pospalatale sonora forte di figghju ‘figlio’. Occorre citare anche l’aggiunta dei grafi <ṣṭṛ> per la fricativa prepalatale sorda forte con pronuncia cacuminale (per esempio, come in ṭṛata ‘strada’) che troviamo nella lista dei segni grafici particolari già nel secondo volume, quando nel primo tomo, a pagina XXIV, si legge che «non viene mai indicata, nel testo del Vocabolario, la pronunzia cacuminale (o invertita) dei nessi tr, ttr e str, tipica del siciliano, trattandosi di fenomeno quasi generale, che riguarda la stragrande maggioranza dei dialetti dell’Isola, compresi quelli dei centri maggiori o comunque dotati di più grande prestigio».

Per concludere, il Vocabolario siciliano non si presenta come un dizionario del tutto omogeneo dal punto di vista redazionale; ciò rischia di disorientare i lettori meno esperti o coloro che si cimentano per la prima volta nello studio del dialetto siciliano9. La lettura delle Premesse e delle Avvertenze che introducono ognuno dei cinque volumi (e non solo quelle relative al primo) potrebbe essere risolutiva dinanzi a qualsiasi dubbio si palesi durante la consultazione del dizionario; sta di fatto che il Vocabolario siciliano è sicuramente uno strumento pensato per specialisti, i quali, nonostante le piccole anomalie riscontrate, si trovano tra le mani uno strumento solido, in larga parte coerente e ricco dal punto di vista linguistico, che non tutti i dialetti possono vantare. Un motivo in più per portare a termine quanto prima il processo di informatizzazione del Vocabolario siciliano, oltre alla realizzazione di un Conciso dello stesso, così come auspicato da Salvatore C. Trovato (2002) nella Premessa del quinto e ultimo volume. Parimenti, sarebbe auspicabile, e sembrerebbero esserci tutti i presupposti, per restituire vitalità all’iniziativa di cui lo storico Andrea Ottaviano si era reso promotore, ovvero la richiesta affinché il Vocabolario siciliano di Giorgio Piccitto possa essere inserito dall’UNESCO nella “Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità”. Un riconoscimento che sarebbe certamente in linea con le direttive UNESCO di valorizzazione e di garanzia del mantenimento di tradizioni e aspetti culturali in generale.

Immagine 1 tratta dal primo volume del Vocabolario siciliano

Immagine 2 tratta dal primo volume di Studi di linguistica siciliana

Ringraziamenti

Desidero ringraziare vivamente il professor Giovanni Ruffino, presidente del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, e il dottor Andrea Ottaviano, nipote di Giorgio Piccitto, per la loro disponibilità, gentilezza e per aver messo generosamente a disposizione gran parte del materiale bibliografico. Senza di loro non avrei potuto scrivere questo articolo. Ringrazio anche la professoressa Roberta Cella e la professoressa Federica Cappelli per il loro sforzo e il loro sostegno, oltre che per l’inappagabile fiducia riposta in me fin dall’inizio. Un ringraziamento particolare va anche a Padre Ignazio La China, Vicario Foraneo del Vicariato di Scicli.

Bibliografia

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Fanciullo Franco (2015), Prima lezione di dialettologia, Roma-Bari, Editori Laterza.

Gulino Giuseppe (1995), «Lessicologia e lessicografia dialettale nell’attività scientifica di Giorgio Piccitto», In: Dialetto, Lingua e Cultura materiale: Atti della giornata di studio su Giorgio Piccitto, Ragusa 27 maggio 1993, a cura di Giuseppe Gulino, presentazione di Giuseppe Miccichè, Ragusa, Centro Studi “Feliciano Rossitto”, p. 47-62.

Marcato Carla (2002), Dialetto, dialetti e italiano, Bologna, Società editrice il Mulino.

Mortillaro Vincenzo (1876), Nuovo dizionario siciliano italiano, Palermo, Stabilimento tipografico Lao.

Nicotra Vincenzo (1883), Dizionario siciliano italiano, Catania, Bellini.

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Piccitto Giorgio (2012), Studi di linguistica siciliana, a cura di Salvatore Carmelo Trovato, Catania-Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani.

― (1977–2002), Vocabolario siciliano, a cura di G. Piccitto, co-diretto da G. Tropea, diretto da S. Trovato, Catania-Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Opera del Vocabolario siciliano.

― (1962), Vocabolario siciliano (lemmi aagnusdei), a cura di Giorgio Piccitto, Catania-Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani.

― (1961), Clemente Merlo (ricordi di uno scolaro), «Belfagor», 16, 1, p. 104-107.

― (1950), Per un moderno vocabolario siciliano, Catania, Università di Catania, Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia.

― (1950), La classificazione delle parlate siciliane e la metafonesi in Sicilia, Catania, Società di storia patria per la Sicilia Orientale.

― (1947), Elementi di ortografia siciliana, Catania, G. Crisafulli.

Ruffino Giovanni (2018), Introduzione allo studio della Sicilia linguistica, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani.

Schneegans Heinrich (1888), Laute und Lautentwickelung des sicilianisched dialects, Strassburg, Karl J. Trübner.

Sgroi Salvatore Claudio (1984), Problemi teorici della lessicografia dialettale: Il Vocabolario siciliano di Giorgio Piccitto, «Romance Philology», 37, 3, p. 313-327.

Traina Antonio (1977), Vocabolarietto delle voci siciliane dissimili dalle italiane, Torino, Stamperia Reale di Torino.

― (1968), Nuovo vocabolario siciliano italiano. Volume unico, Palermo, Giuseppe Pedone Lauriel Editore.

Tropea Giovanni (1972), La scomparsa di un Maestro comparso, XV, «Zootecnia e vita», XV, 2, p. 48-57.

Trovato Salvatore Carmelo (1995), «“Letteratura in dialetto”, “letteratura e dialetto”, lessicografia e lessicologia. A proposito del Vocabolario Siciliano», In: Dialetto, Lingua e Cultura materiale: Atti della giornata di studio su Giorgio Piccitto, Ragusa 27 maggio 1993, a cura di Giuseppe Gulino, presentazione di Giuseppe Miccichè, Ragusa, Centro Studi “Feliciano Rossitto”, p. 195-209.

Varvaro Alberto (2019), Profilo di storia linguistica della Sicilia, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani.

Note

  1. In uno scritto commemorativo a seguito della morte del maestro, lo stesso Piccitto (1961) racconta il suo primo incontro, per certi versi fortuito, con Clemente Merlo. Nel novembre/dicembre del 1934, Piccitto, allora matricola alla Scuola Normale, è in ritardo per la lezione di Storia Medievale e finisce per sbaglio in un’altra aula. Proprio mentre sta per uscire dall’aula, ecco che arriva Merlo, il quale, chiudendo la porta alle sue spalle, si avvia verso la cattedra. A quel punto, rimasto intrappolato, Piccitto è costretto a seguire, a malincuore, la lezione di dialettologia tenuta dal maestro, e rimane tanto affascinato dall’argomento e dalla spiegazione, che a fine lezione lo avvicina per chiedergli qualche chiarimento.
  2. Fra tutte il saggio di Tropea (1972) La scomparsa di un Maestro comparso in «Zootecnia e vita».
  3. Dai ricordi familiari emerge anche il grande numero di persone che accorrevano in aula, sia durante le lezioni tenute dal professor Piccitto, sia durante le sessioni di esami.
  4. «Mentre in certi casi sono attribuite alle parole siciliane accezioni che esse mai hanno avuto e che sono state date attribuendo loro senz’altro i significati delle corrispondenti parole italiane, in altri casi sono stati trascurati significati peculiari del dialetto, talvolta importanti per formulare un retto giudizio sulla storia delle singole parole.» (Piccitto 1950: 10).
  5. A testimonianza della meticolosità nel condurre i suoi studi, vale la pena citare un episodio con cui Andrea Ottaviano aprì un suo articolo apparso in «Ragusa Sottosopra» nel 2010: «Una camionetta dei Carabinieri è appostata nell’assolata strada sterrata che da Cava D’Aliga porta a Sampieri. I militari in un torrido mezzogiorno di agosto controllano i carretti e le rare autovetture; fermano anche un giovane che transita in bicicletta. Gli chiedono le generalità, e alla richiesta del motivo per cui si trova in giro a quell’ora il giovane tira fuori un quaderno pieno di vocaboli, incolonnati rigo per rigo, e spiega al maresciallo che è occupato a chiedere ai marinai e ai contadini della zona la traduzione in dialetto delle parole elencate. Erano tempi brutti e ogni persona che si comportava in modo strano o quantomeno non usuale era degna di ogni sospetto. Il nostro giovane viene così condotto in caserma e sottoposto a fermo: l’intervento di ragusani che villeggiavano a Sampieri e ben noti al maresciallo, però, chiarisce subito l’equivoco. Era l’anno 1936 e l’episodio ricordato segna l’inizio della carriera di studioso e di attento indagatore delle lingue parlate di Giorgio Piccitto, ragusano, e giovane studente alla Scuola Normale Superiore di Pisa».
  6. Sempre il dottor Ottaviano ricorda come il professor Piccitto amasse appostarsi sul balcone di casa, in occasione della processione del Venerdì Santo a Ragusa Ibla, per ascoltare il rumore dei passi delle persone che sfilavano in silenzio col cero acceso in mano lungo le vie della città.
  7. A tal proposito, vennero consultate anche le inchieste allora reperibili dell’ALI e dell’AIS, quest’ultimo pubblicato in otto volumi tra il 1928 e il 1940.
  8. Dalla premessa del primo volume del dizionario si legge: «Veniva contemporaneamente preparato e diffuso un agile opuscolo illustrativo con allegata una scheda di adesione, e tale opuscolo veniva ampiamente diffuso in tutte le scuole secondarie dell’Isola, inviato a tutte le persone che erano state segnalate come possibili informatori locali, e distribuito fra gli studenti delle Università siciliane. Le adesioni furono numerose. Per i Comuni per i quali non si riusciva in tal modo a trovare persona che sembrasse idonea, si scrisse ai Sindaci e ai Parroci, ottenendo spesso buone segnalazioni» (Tropea 1977: III).
  9. Ricordiamo – e questo vale per la maggior parte dei dialetti – che difficilmente un dialetto raggiunge un elevato grado di standardizzazione (anche se la redazione di un dizionario può rappresentare un primo passo tra i molti da compiere); d’altra parte, questa è una delle diverse ragioni per cui si parla di dialetto e non di lingua. Ancora oggi la ricerca di un criterio ortografico unico è un problema irrisolto per molti dialetti, siciliano compreso.
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